Di negozi, orari e di altro

Alcuni mesi fa, due sociologi americani hanno pubblicato una ricerca sul rapporto tra salute ed investimento. Per la loro analisi, sono partiti da una semplice constatazione: gli investimenti, i contributi pubblici ed il sostegno della popolazione non dipendono né dalla gravità, né dalla diffusione di una determinata malattia. E si sono posti un altrettanto semplice domanda: come mai?
Come spesso accade nelle scienze sociali, il risultato della loro ricerca non è per niente sconvolgente né folgorante. L'interesse economico e sociale verso una determinata malattia dipende dalla capacità di trasformare una situazione in un problema, o, detto in altro modo dalla capacità di pochi di influenzare la percezione e l'interpretazione della popolazione.
Tecnicamente, i sociologi definiscono questo modo di porsi di fronte ad una situazione come "strategia di cambiamento". In effetti, come recitano vari proverbi e modi di dire sparsi in tutto il mondo, un problema deve avere una soluzione.
Questa strategia è ben compresa dai commercianti ticinesi e dai loro megafoni, che dopo la sentenza del Tribunale Federale sul ricorso di Unia, hanno tempestato i giornali locali di lettere, prese di posizione e spunti di dibattito. L'obiettivo è chiaro: si tratta di convincere che c'è qualcosa di cui dobbiamo discutere, che gli orari attuali di apertura dei negozi sono un problema.
Non solo: in una strategia di cambiamento, l'attenzione e le possibilità di cambiare saranno tanto maggiori quanto più si dà un carattere di urgenza al "problema" da affrontare. Ecco quindi che, ci dicono i commercianti, è imperativo trovare delle "soluzioni": gli orari di apertura costituiscono un problema urgente.
D'altra parte, far avvertire una differenza tra due situazioni distinte è anche un modo di indurre il cambiamento: si pretende che c'è uno scarto da recuperare, che è necessario adeguarsi per mettersi alla pari. Ecco quindi che, da una parte del confine abbiamo lo spirito imprenditoriale positivo, dall'altra i reazionari che mettono in pericolo l'economia.
In tutto questo sbattersi e dibattersi, si dimentica però una cosa: gli orari di apertura dei negozi non fanno discutere solo da noi, ma in tutta Europa. Il 14 giugno, il Tribunale d'appello di Versailles (Francia) ha ordinato la chiusura domenicale di 64 negozi di un centro commerciale. Motivo: l'apertura domenicale non è legalmente ammessa. Anche qui, i discorsi si sprecano sulla salvaguardia dei posti di lavoro, sulle abitudini che sono cambiate, la gente che non vuole più andare a messa ma far la spesa, eccetera eccetera eccetera.
Finalmente, bisogna pur ammettere che un problema c'è e che è pure urgente. E bisogna discuterne. Non è questione di apertura serale, festiva e/o domenicale, ma dell'esistenza di centri commerciali più grandi di cattedrali. Ne abbiamo veramente bisogno?
Ite missa est.

Pubblicato il

30.06.2006 13:00
Mauro Marconi
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