Domenica si consuma

«L’apertura domenicale dei negozi presso le stazioni ferroviarie aumenta la sicurezza dei cittadini e rende più attrattivi i servizi pubblici». È proprio vero che non c’è limite all’indecenza: per giustificare l’ingiustificabile si ricorre ad ogni mezzo. Ne ha dato prova pochi giorni fa la maggioranza borghese del Consiglio nazionale, approvando una modifica della Legge sul lavoro che di fatto spiana la strada ad un’apertura generalizzata dei negozi ventiquattro ore su ventiquattro per 365 giorni all’anno. Per ora ci si accontenta di autorizzare l’apertura domenicale negli aeroporti e nelle stazioni che, «tenuto conto dell’importante traffico di viaggiatori, rappresentano dei centri di trasporto pubblico». Una definizione talmente vaga, da prestarsi ad ogni tipo di interpretazione. I fautori del progetto, che ha origine in un’iniziativa parlamentare del liberale-radicale zurighese Rolf Hegetschweiler, sostengono che il solo obiettivo della nuova norma è quello di legalizzare una situazione già acquisita: quella dei veri e propri centri commerciali che si sono sviluppati presso le stazioni di Zurigo, Winterthur, Berna, Basilea, Lucerna, Ginevra e Losanna. Realtà che il Tribunale federale ha avuto modo di giudicare più volte come non conforme al diritto vigente. Per anni i commercianti, unitamente alle Ffs, hanno giustificato le aperture domenicali evocando una disposizione della Legge sulle ferrovie, secondo cui queste ultime sono autorizzate ad installare dei “servizi accessori” sui treni e nelle stazioni nella misura in cui siano destinati “ai bisogni della clientela”, senza dover applicare le disposizioni cantonali e comunali in materia di orari di apertura. Ma in seguito, di fronte alla nascita di negozi di vestiti, di calzature, di sport, di dischi, di informatica, di fotografia e di elettronica, la definizione si è fatta stretta e la Corte di Losanna lo ha fatto presente con una nuova sentenza. «Questi negozi non possono impiegare personale di domenica», hanno affermato i giudici. Immediata la contromossa dei fautori della deregulation, che hanno subito proposto (e ora ottenuto il primo sì dalla Camera del popolo) la modifica della legge sul lavoro, che di fatto regolarizza una situazione di illegalità e che getta le basi perché tutte le stazioni svizzere di media grandezza si trasformino in centri commerciali, dove i cittadini possano soddisfare i loro bisogni sette giorni su sette. In un primo tempo la commissione dell’economia e dei tributi del Nazionale avrebbe addirittura voluto approfittare dell’occasione per prolungare fino all’una di notte l’orario di apertura giornaliero, ma poi ha pensato di non mettere troppa carne al fuoco, magari col rischio di vedersi bocciare l’intero progetto in caso di referendum. E forse per la maggioranza borghese sarebbe stato difficile trovare altri argomenti tanto ridicoli come quelli addotti per giustificare le aperture domenicali. Abbiamo citato in entrata quelli del bisogno di sicurezza e di promozione dei mezzi pubblici, ma durante il dibattito ne abbiamo sentiti altri, come la necessità di finanziare le Ffs attraverso gli affitti pagati dai commercianti o la creazione e il mantenimento dei posti di lavoro, soprattutto a beneficio di studenti e genitori monoparentali. Per non parlare poi dei presunti «nuovi bisogni della popolazione», per cui la spesa di domenica sarebbe ormai una necessità irrinunciabile. Peccato che il popolo svizzero nel 1996 abbia bocciato la revisione della legge sul lavoro (che avrebbe permesso ai negozi di impiegare personale senza autorizzazione per sei domeniche all’anno) e che in tredici Cantoni hanno subìto la stessa sorte proposte di legge per la liberalizzazione degli orari di apertura dei negozi. Ora le premesse per il lancio di un nuovo referendum sono date, visto oltretutto che il Nazionale si è rifiutato di statuire l’obbligatorietà di un contratto collettivo di lavoro per il personale. Un appello per il ricorso al voto popolare è già stato lanciato dal gruppo “A gauche toute”, di cui fanno parte i parlamentari del Partito del lavoro Josef Zisyadis e Marianne Huguenin e Pierre Vanek (Solidarietà). Il copresidente del sindacato Unia Andreas Rieger ha dal canto suo dichiarato che il referendum «è possibile» (cfr. articolo sotto), anche perché è inaccettabile che il Parlamento, a colpi di iniziative parlamentari, distrugga pezzo per pezzo la legge sul lavoro fino a raggiungere la deregolamentazione totale. La battaglia si preannuncia dura! «Studieremo con la base tutte le misure da prendere nella situazione attuale, compreso un eventuale referendum». I sindacati Sei, Flmo, Fcta, Unia e Comedia non hanno dubbi nel condannare, con un comunicato congiunto, il chiaro voto del Consiglio nazionale che vuole autorizzare i negozi situati nelle stazioni più importanti ad essere aperti anche la domenica (cfr. articolo sopra). E minacciano apertamente di ricorrere al popolo qualora il Consiglio degli Stati, nel giugno prossimo, confermasse il voto del Nazionale. I motivi del forte scontento sindacale sono chiari: «Accettando l’iniziativa Hegetschweiler il Consiglio nazionale ha consumato la prima fetta della deregolamentazione totale degli orari d’apertura dei negozi. Infischiandosene della volontà popolare più volte espressa in votazioni federali e cantonali di preservare un giorno di riposo comune, la domenica, il parlamento apre oggi la porta ad una precarizzazione accresciuta delle condizioni di vita e di lavoro del personale di vendita, in maggioranza femminile». Proprio la volontà di preservare la domenica come giorno di riposo comune fu all’origine del no popolare alla Legge sul lavoro nel 1996. Inoltre in diversi cantoni gli elettori hanno respinto progetti di legge che miravano ad una deregolamentazione del settore della vendita (Basilea Città e Soletta nel 2002, San Gallo e Friburgo nel 2003 e prima ancora Argovia, Ticino, Grigioni, Uri e Zugo). Il comunicato di Sei, Flmo, Fcta, Unia e Comedia rileva anche che, con l’approvazione dell’iniziativa Hegetschweiler, si legalizza una situazione di privilegio per determinati negozi dovuta alla loro localizzazione. Inoltre si sottolineano altre conseguenze di una simile deregolamentazione: aumento del traffico dovuto a fornitori e clienti, pressione sugli altri servizi (posta, banche, ecc.) perché adattino i loro orari di apertura, impoverimento della vita famigliare per le lavoratrici e i lavoratori del settore. Infine, rileva ancora il comunicato congiunto, «con il suo rifiuto di legare la liberalizzazione degli orari d’apertura dei negozi nelle stazioni a un miglioramento delle condizioni di lavoro, il parlamento attuale ha dimostrato la sua profonda indifferenza nei confronti delle legittime preoccupazioni del personale della vendita».

Pubblicato il

19.03.2004 01:30
Gianfranco Helbling
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