È calato un gelido inverno

L’inverno, e non solo quello meteorologico, è calato sulla Svizzera. I presagi erano nell’aria già da tempo, ma hanno cominciato a farsi sentire più forte – e più pungenti – solo poco giorni fa. Il brusco risveglio nella stagione del torpore l’abbiamo avuto settimana scorsa. Fra la notte di mercoledì e giovedì, per cinque ore quattro grandi centri di smistamento della Posta sono stati bloccati provocando ritardi nella distribuzione di pacchi e lettere. Ce ne siamo accorti tutti. Il Gigante giallo compreso, che si è reso conto di “quanto fragile possa renderti il periodo natalizio”. Ma non solo gli affari de La Posta sono fragili, lo sono anche i suoi lavoratori. Ma non è successo solo questo. A Reconvilier gli operai della Swissmetal hanno deciso di scioperare a oltranza, anche contro il parere dei sindacati, rivendicando non tanto salari più alti ma una diversa gestione d’impresa. Hanno chiesto, e in parte ottenuto, l’allontamento del direttore esecutivo Martin Hellweg, enfant prodige della finanza ma che poco o nulla sa (e vuol sapere) del settore della produzione di componenti in rame. Sempre settimana scorsa, l’Organizzazione internazionale del lavoro (Oit) ha bacchettato una Svizzera da troppo tempo assopita sul proprio caldo giaciglio, coperta dalla pace sociale. Su suolo elvetico è infatti possibile essere licenziati perché si è attivisti sindacali. La legge prevede la reintegrazione sul posto di lavoro solo quando il licenziamento viola la parità di trattamento fra i sessi. Paradossalmente se ricordate questo alla vostra collega, ingiustamente licenziata perché incinta, siete voi stessi a rischiare di essere messi alla porta. L’Oit – interpellata dall’Unione sindacale svizzera su 11 casi di licenziamenti per motivi sindacali – ha ricordato al Consiglio federale che 3 o 6 mesi di salario di “buono uscita” non sono esattamente quello che si può definire un mezzo per garantire la libertà sindacale dei lavoratori. Chi vuole licenziare se ne fa un baffo dei 3 o 6 mesi di paga. Per tutta risposta, si è subito prodigato il Segretariato di Stato dell’economia (Seco) che ha fatto sapere di non voler accettare, ma neanche respingere (?), la raccomandazione ricevuta. “Grazie, ci pensa il nostro Consiglio federale”, devono aver pensato al Seco. Chissà quando anche loro si renderanno conto che la coperta della pace sociale è diventata ormai troppo corta, per quanto la si tiri e la si aggiusti ci si trova sempre scoperti, e fuori fa freddo.

Pubblicato il

03.12.2004 00:30
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