E la piazza esplode di nuovo. Ponti, piazze, vicoli, moschee sono state circondate mercoledì sera da una folla che festeggiava la fine della presidenza Morsi. Sulle sorti di Morsi si farà chiarezza nelle prossime ore. Sarebbe agli arresti domiciliari e gli è stato imposto il divieto di espatrio. Tutti i maggiori leader del partito Libertà e Giustizia sarebbero agli arresti. Insieme alla guida spirituale della Fratellanza Mohamed Badie, a Khairat el Shater, Essam Sultan e Mohamded El-Beltagui.


I primi sentori che questo sarebbe stato l'epilogo della richiesta di dimissioni avanzate dalle opposizioni e avallata dai generali si erano avuto martedì pomeriggio, quando carri armati erano apparsi all'ingresso della televisione di stato sulla Corniche del Nilo e in piazza Tahrir. Incaricati di disegnare i tempi di una roadmap per uscire dalla nuova crisi sarebbero il gran imam di al Azhar, Ahmed El-Tayeb, il papa copto, Tawadros II e il portavoce delle opposizioni Mohamed El-Baradei, in presenza di giovani del movimento Tamarrod (Ribelli). Secondo indiscrezioni, la roadmap prevederebbe un periodo di transizione seguito da elezioni presidenziali e legislative, poteri presidenziali al presidente della Corte costituzionale e la formazione di un governo tecnico.


Nella notte dello scorso martedì un gruppo di sostenitori del presidente è stato attaccato da uomini non identificati alle porte dell’Università del Cairo, 16 sono stati i morti e oltre 200 i feriti. Poche ore prima, Morsi aveva pronunciato un discorso in cui aveva assicurato di non voler dimettersi. «Non c'è traccia di questa possibilità nella Costituzione vigente. Può dimettersi se vuole, ma non ci sono segni in questo senso. Può essere sfiduciato dal parlamento per alto tradimento e non ci sono gli estremi per farlo», spiega il costituzionalista Zaid Al Ali.


Dopo le proteste del 2011, i Fratelli Musulmani hanno monopolizzato e alterato le richieste degli attivisti e ottenuto una certa autorità. L'esercito ha adottato quindi la Fratellanza per ripristinare una certa distinzione tra élite politica e militare, in difesa delle conquiste corporative post-coloniali. Ma ora, di fronte all’impopolarità di Morsi, i militari sono pronti a cambiare alleato. A questo punto, per risolvere la crisi è entrato in gioco il premio Nobel per la pace, Mohammed el-Baradei, indicato dai ribelli della campagna di raccolta firme per le dimissioni di Morsi, Tamarrod, e dal Fronte delle opposizioni come negoziatore in questa fase delicata. In tutti i momenti critici il nome del liberale Baradei viene fatto a gran voce, nonostante abbia uno scarso seguito elettorale. Ma il paese sembra ormai spaccato e sull’orlo del caos.

 

Pubblicato il 

03.07.13

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