I casi Mikron e Schindler

Sono due i casi di licenziamenti nell’industria ticinese di cui hanno riferito le cronache in questi giorni. Due importanti aziende come la Mikron e la Schindler hanno annunciato il taglio di personale. In totale una cinquantina di persone ha perso il posto di lavoro. I motivi alla base di queste scelte sono diversi. Un denominatore comune però c’è: nonostante gli utili milionari queste aziende attive a livello mondiale e che si definiscono “socialmente responsabili” hanno deciso di tagliare dei posti di lavoro in Ticino.

 

«Mikron riduce le capacità (…) presso il sito di Agno»; «Mikron: crescita di fatturato e dell’Ebit»; «Il Gruppo Mikron inaugura una succursale in Lituania». Ecco, in ordine cronologico, tre degli ultimi comunicati stampa della Mikron Holding, la società di Bienne (Be) che ha da poco annunciato il licenziamento di venticinque impiegati e di sette interinali presso il proprio stabilimento di Agno. Il motivo del taglio? La crisi dell’auto. A diminuire, infatti, è la domanda di macchine utensili da parte di quell’industria automobilistica che copre il 32% della clientela di Mikron. Il primo novembre era già stato introdotto il 15% di lavoro ridotto. Una decisione già presa in passato e che lasciava presagire un passo successivo. Il 19 novembre, Mikron comunica che si vede «costretta» a ridurre la struttura attuale di circa il 7 per cento.


Fondata nel 1908, Mikron è oggi attiva a livello mondiale nella produzione di sistemi d’automazione e macchinari ad altissima precisione. Prodotti destinati all’industria automobilistica e farmaceutica, ma non solo. Il principale azionista (41,6%) della società è l’Ammann Group Holding, basato a Langenthal (Be). Si tratta, per intenderci, del gruppo controllato dalla famiglia dell’ex consigliere federale Johann Schneider-Ammann. Il secondo maggiore azionista (14,1%) di Mikron è invece Rudolf Maag, patrimonio stimato da 2 a 3 miliardi di franchi. «È uno degli uomini più ricchi del Paese, ma la maggior parte degli svizzeri non ne ha mai sentito parlare» ha scritto di lui il giornale economico Handelszeitung citando le sue partecipazioni in diversi fiori all’occhiello dell’industria elvetica. Fino allo scorso mese di marzo vi era un terzo azionista di riferimento, il fondo svizzero Veraison, che ha però da allora venduto tutte le sue azioni (7,2%). Il motivo della vendita non è noto, ma Veraison ha comunque affermato che si compiace «del successo dello sviluppo» di Mikron. Il resto del pacchetto azionario (36,2%) è quotato in Borsa.

 

Utili decuplicati
Lo scorso anno gli affari per Mikron sono andati alla grande. Il fatturato è cresciuto del 26,8%: nuovi ordini in entrambi i segmenti operativi del gruppo – quello “Machining” e quello “Automotion” – hanno permesso di raggiungere il risultato record di 362,3 milioni di franchi. Con un Ebit (l’utile operativo lordo prima delle deduzioni per interessi e imposte) di 13,9 milioni di franchi, nel 2018 Mikron ha nettamente superato il risultato dell’anno precedente (2,8 milioni di franchi). L’utile aziendale conseguito nel 2018 si è moltiplicato per dieci, passando dagli 1,2 milioni del 2017 a 12,2 milioni. In sostanza, lo scorso anno, ogni lavoratore ha generato 8.714 franchi di utile (erano 857 franchi nel 2017).


I dividendi versati agli azionisti sono circa 836.000 franchi (erano gli stessi nel 2017, nonostante risultati meno brillanti). A questi vanno aggiunti una distribuzione agli azionisti di circa 3,3 milioni di franchi sotto forma di “riserve da apporti di capitale”. Sorridono gli azionisti, ma se la passano bene anche i manager: tra salario fisso e bonus, il Ceo Bruno Cathomen ha guadagnato 756.000 franchi (100.000 in più rispetto a due anni fa). Per quanto riguarda il Cda, in media ogni membro ha intascato 73.300 franchi (26.000 in più rispetto al 2016).


Anche le prospettive per il 2019 erano valutate abbastanza rosee: «È ipotizzabile che alcune grandi commesse ottenute nel 2018 non si ripetano nell’esercizio 2019. Nel complesso Mikron prevede un ulteriore incremento del fatturato e un nuovo miglioramento della redditività». Infatti, lo scorso mese di giugno il comunicato sul primo semestre 2019 affermava che «rispetto all’anno precedente ha incrementato il fatturato del 14%, raggiungendo quota 176,4 milioni di franchi e l’Ebit del 25%, portandolo a 7,5 milioni di franchi». Certo, si afferma che l’andamento positivo concerne soprattutto il segmento “Automation” mentre il calo della domanda dell’industria automobilistica ha avuto ripercussioni sul segmento “Machining”, quello toccato oggi dai tagli. Ma, come visto, l’azienda sta benone al punto che azionisti e manager hanno incamerato lauti guadagni.
Una scelta, quella di licenziare le persone al primo momento di difficoltà, che non stupisce Sergio Rossi, professore di macroeconomia e di economia monetaria all’Università di Friburgo: «Non mi sorprende in alcun modo che Mikron licenzi un numero rilevante di persone nonostante i risultati aziendali positivi e in crescita notevole rispetto al recente passato. La gestione manageriale di questa impresa, come di molte altre in Svizzera e altrove, è orientata anzitutto a massimizzare gli utili aziendali, al fine di versare sempre maggiori dividendi agli azionisti e aumentare la quotazione dell’impresa nei mercati finanziari». Per questo attento osservatore dell’economia elvetica, il caso Mikron è un esempio che permette di criticare un certo modo di fare impresa: «Vista la carenza di domanda nel mercato dei prodotti, a causa delle enormi disparità nella distribuzione del reddito, le imprese non investono in maniera produttiva i loro utili al netto delle imposte, avendo già difficoltà nel vendere tutto ciò che producono. I manager preferiscono parcheggiare questi utili nei mercati finanziari, dai quali cercano di ottenere dei rendimenti con cui massimizzare i dividendi versati agli azionisti». Una visione a corto termine che per il professor Rossi «danneggia in fin dei conti anche l’impresa, che non investe tutto ciò che potrebbe nelle attività di ricerca e sviluppo di nuovi materiali, nuovi metodi di produzione e nuovi prodotti, che dovrebbero proteggere maggiormente l’ambiente e il clima oltre a soddisfare i bisogni dell’economia e della società».

 

Taglia anche la Schindler
In questi giorni è giunta la notizia che anche la Schindler di Quartino licenzierà 15 persone. L’azienda che fa parte del Schindler Group di Lucerna, il secondo più grande produttore di ascensori al mondo, raggrupperà tutte le sue attività ticinesi nel centro di Locarno. Un centro per il quale si prevede un importante investimento.In effetti, l’azienda controllata dalle famiglie Schindler e Bonnard (71,4% delle azioni) e che possiede filiali in 51 Paesi, gode anche lei di ottima salute. Nel 2018, l’utile netto del gruppo ha superato il miliardo di franchi, ciò che ha permesso al Ceo Thomas Oetterli e al presidente del Cda Silvio Napoli di guadagnare circa 3,6 milioni di franchi a testa. «È difficile capire e accettare come un’azienda che sta così bene non abbia potuto trovare lo spazio per un ricollocamento a Locarno per queste quindici persone che vengono lasciate a casa in Ticino a causa di questa nuova organizzazione» ci spiega Igor Cima di Unia, che sta seguendo la vicenda. «È chiaro – continua il sindacalista – che si poteva e doveva fare qualche sforzo in più ma si è preferito purtroppo seguire la strada più facile dando un segnale a nostro giudizio sbagliato». L’obiettivo di Unia, ora, è quello di aprire un tavolo negoziale e fare in modo che venga allestito un piano sociale.


Responsabili socialmente
Mikron ha affermato che «s’impegna ad attuare la riduzione in modo socialmente responsabile». Eppure non sembra essere socialmente responsabile scaricare alcuni lavoratori dopo che l’azienda e i manager hanno macinato utili importanti. Non lo è nemmeno licenziare il giusto per evitare di raggiungere quel quorum che imporrebbe un piano sociale. Anche Schindler, sul suo sito afferma che «in qualità di azienda ci assumiamo la nostra responsabilità sociale». Le due aziende, così come altri virtuosi esempi dell’economia ticinese – a partire da quella Luxury Goods International che malgrado un utile netto di 2,5 miliardi di franchi nel 2018, taglierà decine di posti di lavoro in Ticino – figurano in uno studio commissionato dal Dipartimento economia finanze del Canton Ticino (Dfe) nel 2016 in cui si vogliono mappare le buone pratiche di Responsabilità sociale delle imprese in Ticino. Questo concetto, ancora vago e basato su misure volontarie e autocertificazioni, sembra ormai essere diventato un mantra a cui le autorità politiche si affidano per dirci come le aziende sono belle-brave-buone. A fine novembre, il Dfe ha addirittura organizzato una rappresentazione teatrale a Bellinzona intesa a sensibilizzare chi opera sul territorio sul tema della Corporate Social Responsibility. Lo stesso Dfe ha annunciato che dedicherà nel 2020 la sua annuale giornata dell’economia proprio a questo tema. Su un’apposita pagina web, il Cantone spiega come, negli ultimi anni, sono molte le imprese che hanno deciso di elaborare un report di sostenibilità. Tra i report allegati ad esempio non poteva mancare quello della Mikron: dieci paginette che se non altro hanno il merito di dirci che, nel 2017, Mikron ha ricevuto 404.000 franchi da parte del Canton Ticino per l’aiuto alla ricerca e allo sviluppo.

Pubblicato il 

04.12.19
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