Festa o funerale del lavoro?

Domani, in varie parti del pianeta, si terrà l’annuale Festa del lavoro. Questa ricorrenza fornirà di nuovo l’occasione per riflettere sui cambiamenti che sta subendo sempre di più il concetto di attività lavorativa, per constatare le conseguenze sugli individui e sulla collettività della crescente insicurezza nell’occupazione pubblica o privata, dovuta alla flessibilizzazione del lavoro, alla globalizzazione dei mercati ed alla mondializzazione della finanza. La giornata di domani, darà inoltre modo di rivendicare migliori condizioni d’impiego, specialmente per quanti sono costretti alla precarietà finanziaria da un grado insufficiente di guadagno. In barba alle promesse di benefici, che le ristrutturazioni aziendali avrebbero dovuto garantire all’intera società mondiale ed in particolare alle nazioni in via di sviluppo, in questo 1° maggio, anche in Svizzera saremo obbligati a prendere atto del progressivo degrado nell’ambito occupazionale. E che non si venga a dire, come fa regolarmente ad esempio l’on. Silvio Berlusconi, che “tutto va bene”, mentre aumentano le incertezze per chi ancora lavora, ma non sa fino a quando e secondo quali modalità. Pertanto ritengo che saranno pochi i motivi per festeggiare il lavoro, a meno di celebrarne in maniera un po’ cinica il funerale anticipato! Come altrove, nel nostro paese, negli ultimi tempi sale la pressione di dipendenti e sindacati su quel che rimane dei servizi pubblici: Confederazione, Amministrazioni cantonali e comunali, Ferrovie, Posta, Swisscom ed aviolinee nazionali. In tutti questi campi è stato gradatamente abolito lo statuto di funzionario, ritenuto per decenni il simbolo di posto lavorativo sicuro a proposito di livello della retribuzione, qualità delle prestazioni sociali e garanzia dell’assunzione. È invece stato sostituito con la figura più vulnerabile e meno difendibile sul piano sindacale dell’impiegato. Credo che ci si possa legittimamente chiedere se tutto questo complesso processo di trasformazione sia ragionevole, dato che non è in grado di portare i frutti annunciati. E ci si può domandare se si possa ancora rallentare la corsa folle del treno, prima che esso esca completamente dai binari e provochi danni irreparabili alle singole persone, ai nuclei familiari ed alla società nel suo insieme, nonché al sistema economico mondiale. Dal mio punto di vista, l’interrogazione va rivolta altresì alle istituzioni religiose. Esse pure sono datrici di lavoro (con quali contratti collettivi?), mentre sono forti di una lunga ed articolata disamina etica e teologica dell’uso delle capacità intellettuali e manuali umane. Davanti alle sfide odierne, può bastare indicare in san Giuseppe un esempio di lavoratore indefesso o denunciare le ingiustizie sul fronte del lavoro ed additare i pericoli di globalizzazione ed affini?

Pubblicato il

30.04.2004 13:00
Martino Dotta
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