Ffs, una rete che si sfilaccia

Il presidente della Confederazione, Samuel Schmid, ha un sesto senso? Se l’è chiesto il “Blick” subito dopo la paralisi totale, per caduta di corrente, occorsa all’intera rete delle Ffs nel tardo pomeriggio di mercoledì 23 giugno. Quella mattina, infatti, in una conferenza stampa dedicata alla sicurezza Schmid aveva parlato di «infrastrutture altamente critiche», come quella delle ferrovie, «altamente tecnicizzate, molto complesse ed interdipendenti», da proteggere meglio poiché è da esse che «dipende l’odierna società». Parole profetiche, per quello che sarebbe successo da lì a poche ore. A grandi linee, le dimensioni della mega-panne sono note: 200 mila passeggeri fermi nelle stazioni e nei treni bloccati in piena corsa (alcuni in galleria). Il direttore generale delle Ffs, Benedikt Weibel è in viaggio in Francia, sulla via del ritorno in Svizzera. Il direttore dell’infrastruttura, Hansjörg Hess lo chiama col telefonino e gli parla di «qualcosa di gravissimo». Weibel lo rassicura che prima del suo arrivo alla frontiera tutto sarà sistemato. In realtà nessuno dei dirigenti e dei tecnici ha capito subito quale fosse la causa del blackout. Il ministro dei trasporti, Moritz Leuenberger, in una conferenza stampa improvvisata parla di «inquietudine», di «solidarietà», di «responsabilità morale», di «deresponsabilizzazione organizzata» da evitare. I passeggeri reagiscono con sorprendente calma alle quattro ore di blocco ed agli ulteriori disagi connessi: il caldo per i condizionatori fuori uso, la mancanza di spiegazioni sufficienti, i trasferimenti di fortuna, gli ulteriori ritardi e conseguenze. Si capisce subito che il guasto è puramente tecnico, che l’organizzazione ed il fattore umano non sono affatto venuti meno. Anzi, si vedono scene di solidarietà reciproca tra personale Ffs e passeggeri. Il consigliere agli Stati giurassiano e futuro presidente del sindacato dei ferrovieri Sev, Pierre-Alain Gentil, richiama parlamento e governo all’urgenza di finanziare i necessari rimedi tecnici per evitare che simili panne si verifichino ancora, ed auspica che «l’assenza di gravi conseguenze umane non generi una minimizzazione di questa panne». Le cadute di corrente ed i guasti tecnici, rivelatori della fragilità della rete delle Ffs, non sono comunque una rarità. Ma di solito le conseguenze restano limitate a livello locale o regionale. Negli ultimi anni i maggiori problemi ci sono stati in Romandia. Già nel settembre 1994 tutta la rete ferroviaria romanda era rimasta senza elettricità per un’avaria alla linea ad alta tensione di Vernayaz (Vallese). Per fortuna l’incidente avvenne di notte e le conseguenze furono limitate. La serie più preoccupante si è avuta tra il ’97 e il ’98. Il 21 aprile 1997, a causa di lavori sulla linea elettrica presso Düdingen (canton Friburgo) che avevano richiesto una breve e circoscritta sospensione dell’alimentazione, l’improvvisa partenza contemporanea di 25 treni nella Svizzera francese aveva aumentato l’assorbimento al punto da fare scattare gli interruttori di sicurezza in una reazione a catena. Su un’ampia parte della rete ferroviaria romanda l’elettricità era mancata per un’ora e mezza, causando disagi a 20 mila viaggiatori. Altri due incidenti si verificarono quell’anno il 23 e il 31 agosto. Il primo, occorso alla centrale di conversione di Kerzers (Friburgo), causò l’interruzione di corrente per un’ora sull’intera rete ferroviaria romanda. Il secondo, attribuito ad un breve sovraccarico della linea elettrica, causò una caduta di corrente da 30 a 50 minuti su ampi tratti della rete Ffs in Romandia. Nel 1998 fu invece la Svizzera tedesca ad essere colpita. Il 26 marzo, un corto circuito nei vecchi cavi posti sotto i binari della stazione centrale di Zurigo causava 30 minuti di blackout in tutta la regione. 100 mila passeggeri irritati e 200 treni fermi. Una caduta di tensione registrata il 18 agosto fu invece colpa di un fulmine caduto sulla linea tra Kerzers e Rapperswil (Argovia). Rimase senza corrente per un’ora l’intera rete della Romandia e di parte del “Mittelland”. La storia del fulmine s’è ripetuta un anno dopo, il 21 agosto del 2000, sempre nella stessa zona tra Svizzera tedesca e Romandia. 45 minuti d’interruzione. Nel giugno del 2001 è toccato invece a Basilea vedersi il trasporto ferroviario paralizzato, ma questa volta per i problemi informatici alla nuova centrale di comando. Per due giorni ripetute panne hanno sconvolto i piani di viaggio di un’ottantina di treni. Nel 2002 è toccato alla stazione di Berna, con due corto circuiti verificatisi il 20 ottobre ed il 13 dicembre. 80 minuti di paralisi la prima volta, ben tre ore la seconda. Nel 2003 si è verificata una serie di disfunzioni, soprattutto a Zurigo. Il 24 ottobre la collisione ferroviaria di Oerlikon, che ha fatto un morto e 61 feriti. Le panne tecniche accadute in ottobre e novembre, ancora nella regione di Zurigo, hanno peggiorato notevolmente la media annuale dei ritardi dei treni passeggeri. Nel febbraio dello stesso anno sono stati invece neve, ghiaccio e il pericolo di valanghe a bloccare la linea del San Gottardo. Infine, lo scorso 7 febbraio una panne informatica alla centrale di comando della stazione di Zurigo ha creato il caos, con ripercussioni su oltre 900 convogli: 600 hanno subìto ritardi fra i cinque minuti e una o più ore, 300 collegamenti sono stati almeno in parte cancellati, e sono saltati due collegamenti internazionali con Monaco di Baviera e con Venezia. Gabriele Chiesi, segretario del Sev (il sindacato dei ferrovieri) di Bellinzona, è in pensione dal 1. luglio. Data la sua grande esperienza (è stato anche otto anni nel consiglio d’amministrazione delle Ffs) l’abbiamo intervistato sulla panne del 23 giugno prima che lasciasse definitivamente il suo ufficio. Il capo dell’infrastruttura delle Ffs ha ammesso che se ci fosse stato qualcuno al convertitore di frequenza di Zurigo-Seebach si sarebbe evitato il collasso dell’intera rete. Quanto è importante il fattore umano, il ruolo del ferroviere, nel funzionamento del sistema? Proprio questo esempio lo dimostra in modo lapalissiano. Voler concentrare tutto, porta a queste situazioni, con tempi che si allungano e perdita di know-how, cioè di esperienza del dipendente che è da anni sul posto e conosce tutti i segreti e i trucchi del mestiere. Quando è successa la panne, mi sono immaginato quelli che stavano alla centrale di Zollikofen e guardavano probabilmente angosciati gli schermi dei computer senza capire cosa stava succedendo. E rispetto ai disagi che devono subire i viaggiatori, quanto conta la presenza dei ferrovieri? Il ruolo del personale è fondamentale in queste situazioni, soprattutto per l’assistenza ai viaggiatori. Si pensi per esempio ai treni fermi in galleria, o al rischio che si diffonda il panico. Il servizio pubblico costa, ma è fondamentale per la qualità della vita. L’automazione e la centralizzazione servono a risparmiare, ma contribuiscono poco alla qualità della prestazione, che è ancora necessariamente e giustamente da ascrivere a un personale sufficiente, qualificato, motivato, ben retribuito e con condizioni di lavoro moderne, la cui soddisfazione si riflette anche sulla soddisfazione dell’utenza. A proposito d’investimenti, come valuta la politica d’investimenti e di risparmi delle Ffs? Ci sono rischi per la sicurezza? Da anni c’è la tendenza a ridurre le spese correnti. Come quella per il personale, la cui incidenza sugli oneri globali è scesa dal 60-70 per cento al 50 per cento o anche meno, il che è molto significativo per un’azienda di servizio pubblico. È quindi comprensibile un certo conflitto interno tra investimenti unici e costi ricorrenti. Ma è un problema che dipende molto anche dalla politica della Confederazione. Nel 2003, con il rinnovo del contratto di prestazioni, la Confederazione s’era impegnata a sborsare 5,2 miliardi in 4 anni, ma poi a due riprese ha ridotto tale importo per le misure di risparmio decise dal parlamento. Alle Ffs non resta che rivedere i conti e tagliare dov’è possibile. E presumo che forse anche qualche investimento non assolutamente indispensabile per la sicurezza sia stato tagliato. Però abbiamo visto che sulla nuova linea tra Mattstetten e Rothrist non era ancora pronto il nuovo sistema di segnalazione ed hanno dovuto investire qualche centinaio di milioni in più per rimettere ancora i segnali tradizionali e garantire la sicurezza. Non credo che le Ffs speculino sulla sicurezza. Il professor Wolfgang Kröger, del Politecnico federale di Zurigo, dice che l’affidabilità è solo una questione d’investimenti, e che “non aiuta” un ritorno alla statalizzazione. Secondo lei è una tendenza corretta, questa? Secondo me la tendenza corretta è quella che le Ffs hanno percorso finora, cioè, a differenza di altre realtà in Germania e soprattutto in Inghilterra, quella di dotarsi di strumenti di gestione più moderni, più efficaci, più snelli, come per esempio la società anonima ma di diritto pubblico o di diritto speciale come sono le Ffs attuali. Dove però la proprietà sia chiaramente in mano al settore pubblico, e ci sia un controllo democratico ed un indirizzo ben preciso deciso dal padrone, cioè dallo stato, ossia fare gli investimenti necessari per un servizio pubblico efficiente, in grado di rispondere alle esigenze di una popolazione sempre più mobile. Hanno imparato la lezione? Sembrerebbe di sì, stando almeno a quanto dichiarato ai mass media dai più alti responsabili delle Ferrovie federali svizzere nei giorni seguenti la paralisi totale nella quale è incorsa il 23 giugno l’intera rete Ffs. Non sono affermazioni molto esplicite, ma sufficientemente chiare da non lasciare troppi dubbi. «La domanda se non avremmo potuto contenere a livello regionale la caduta di corrente, è giustificata e viene anche da noi presa in esame», ha detto per esempio il direttore generale Benedikt Weibel. E questa frase vuol dire evidentemente due cose: che i vertici delle Ferrovie stanno seriamente riflettendo sulla grave panne che si è verificata, e che sono consapevoli del fatto che avrebbero potuto limitare i danni del blackout. Questa duplice interpretazione è confermata da una seconda affermazione di Weibel («Dobbiamo valutare a fondo l’intera situazione») e da un’altra dichiarazione del capo della divisione Infrastruttura delle Ffs, Hansjörg Hess. Al momento della caduta di corrente, «alla centrale di conversione di frequenza di Zurigo-Seebach non c’era nessuno, e tale impianto non si può telecomandare da Zollikofen. Tale circostanza ha contribuito al collasso dell’intera rete», ha detto Hess. Un’esplicita ammissione, questa, che se non si fosse risparmiato troppo sul personale si sarebbe potuto controllare meglio la situazione critica. Sulla politica di risparmi Hess è stato esplicito: «Sempre, da qualche parte, si toccano i limiti. Il nostro compito è di ammodernare gradualmente la rete ferroviaria svizzera, che dispone in parte di tecnologie superate». Questo significa che certe spese, come quelle per la manutenzione dei binari, «non possono essere in alcun modo tagliate. Ne va della sicurezza del trasporto ferroviario». Ma insieme all’Ufficio federale dei trasporti, le Ffs pianificano «un ragionevole sviluppo della rete», che richiede investimenti anche nell’infrastruttura di produzione e distribuzione di energia. E poiché «i mezzi non sono illimitati, si tratta di porre delle priorità». A queste valutazioni s’è aggiunto il parere di Wolfgang Kröger, professore di tecnica della sicurezza presso il Politecnico federale di Zurigo e specialista di analitica della sicurezza. «In seguito alla liberalizzazione del mercato», ha detto Kröger, «i gestori delle reti hanno ridotto le riserve esistenti, per risparmiare. In molti settori c’è una tendenza all’investimento sottodimensionato». Bisogna esserne consapevoli, ed abituarsi all’idea che «di tanto in tanto» i nostri sistemi possono collassare. «Una panne non è sempre una catastrofe», ha aggiunto lo scienziato. Kröger ha quindi affrontato il problema dell’affidabilità dei tre sistemi fondamentali interconnessi tra loro: la rete elettrica, la rete dei trasporti e la rete delle telecomunicazioni. «Dobbiamo sapere che la scienza non conosce ancora perfettamente questi sistemi altamente complessi ed interconnessi, e che non può neppure modellarli. Appellarsi allo stato, invocare una sovraregolamentazione, certamente non aiuta». Bisogna invece decidere se si vuole porre l’accento sul contenimento dei danni in caso di panne, o sulla prevenzione dei guasti. «La gente dovrebbe riflettere, ed accettare che la sicurezza assoluta non esiste. Al contrario, un alto grado di affidabilità è possibile» ma «troppo costoso». «Perché allora non potremmo convivere con le panne del sistema, soprattutto se non saranno né troppo estese né troppo frequenti?», s’è chiesto Kröger. Questo però comporta la necessità di abituarsi al rischio, e dunque di sviluppare anche la capacità di controllare le crisi. Una cosa che le Ffs finora non hanno fatto: «Probabilmente abbiamo prestato troppo poca attenzione alla gestione del rischio delle odierne ferrovie», ha riconosciuto Hansjörg Hess.

Pubblicato il

01.07.2005 01:30
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