La peggiore crisi dalla Grande Depressione, oppure ancora "l'alba di una Nuova crisi degna del 1929". Ormai anche gli osservatori più cauti e le testate giornalistiche che da sempre sostengono un mercato dei capitali con pochi "lacci e laccetti" criticano apertamente la finanza globalizzata. Il "laisser-faire" in questo periodo non va più di moda e il risveglio è davvero brusco. Ancora oggi non sappiamo se stiamo scivolando verso una crisi a livello mondiale o se c'è ancora uno spiraglio di salvezza.
Il sogno di milioni di famiglie americane di una casa propria si è rivelato un incubo per gli Stati di mezzo mondo e dei loro cittadini. Perché i famigerati "subprime" – le ipoteche americane elargite generosamente in periodi di bassi tassi di interesse – sono stati la miccia che ha acceso l'ennesima crisi. Una crisi che questa volta si è rivelata più grave del previsto. La bolla dell'immobiliare americana sta facendo tremare istituti finanziari, banche centrali e investitori sparsi in tutto il mondo. Prima è scoppiata la bolla dell'immobiliare, perché di fronte all'evidenza del mancato pagamento delle ipoteche anche i più illusi hanno dovuto aprire gli occhi. Poi? Poi è arrivata quella che viene chiamata la "sfiducia del mercato". Ed è qui che siamo ancora incagliati, con istituti finanziari e intermediari che cadono come foglie sui rami d'autunno. I governi accorrono in ordine sparso al loro capezzale per iniettare nuova linfa.
Ma in cosa consiste questa crisi di sfiducia? Che cosa vuol dire che le banche sono solide, ma hanno un "problema di liquidità"? Perché è necessario intervenire? Quali sono le conseguenze per il normale cittadino? Cosa succederebbe se si decidesse che è la volta buona del "laisser-faire" e si provocasse il collasso della finanza malata?
Di seguito le risposte di Loretta Napoleoni, un'economista italiana esperta in questioni finanziarie.

Loretta Napoleoni lei è in grado di spiegarci che cosa sta succedendo nei mercati finanziari?
Stiamo vivendo una gravissima crisi di liquidità degli istituti bancari e non una crisi di insolvenza vera e propria. Mi spiego meglio: le banche si sono eccessivamente indebitate tra di loro per partecipare alla corsa ai mortgage backed securities (si tratta di titoli obbligazionari che possono essere emessi da un istituto bancario. Sono assicurati tramite il flusso ipotecario, ndr). Il valore di questa obbligazione è legato sia al tasso di interesse dei mutui (con bassi tassi il suo valore aumenta, ndr) che al valore immobiliare. Se il prezzo di una casa cresce, aumenta anche il valore della mortgage securities che la banca ha in portafoglio. Questo indipendentemente dal fatto che si tratti di una bolla speculativa o meno. La crisi è quindi una conseguenza del crollo del mercato immobiliare statunitense: molte famiglie americane non sono state più in grado di far fronte al pagamento del mutuo. Improvvisamente l'ubriacatura collettiva sui mortgage securities è terminata, non perché il mercato si è voluto fermare, ma perché si è dovuto arrendere all'evidenza dei fatti. Quelle ipoteche non potevano essere remunerate. Si è dovuto allora riconoscere che il valore di quelle obbligazioni in portafoglio era sopravvalutato. Alcune banche, come ad esempio la Lehman Brothers, hanno preso enormi quantità di denaro a prestito per comprare queste obbligazioni. Si è calcolato che nel momento in cui questa storica banca, che bisogna ricordare era considerata una delle meglio gestite a livello mondiale ed era stata valuta con la tripla A dalle agenzie di rating (come segno di solidità, ndr), per ogni dollaro in attivo ne aveva 33 presi a prestito. Il valore sulla carta delle mortgage è stato a sua volta inserito nei bilanci delle banche e sulla base di questi conti si è prestato ulteriore denaro. Si tratta di un circolo vizioso diabolico.
Questo è stata la miccia della crisi. Oggi il problema è di "fiducia interbancaria". Alcuni istituti non hanno più la liquidità per fare le operazioni correnti. Ogni giorno le banche hanno degli squilibri di cassa, che possono essere sia negativi che positivi. Le banche che hanno uno squilibrio negativo hanno quindi bisogno di prendere a prestito denaro alla chiusura giornaliera dei conti. Questo prestito avviene all'interno del circuito bancario. Se 10 giorni fa si prestava denaro al 2 per cento – e in passato a tassi ancora più bassi – oggi nel money market siamo saliti al 10,5 per cento. O peggio ancora: i prestiti non vengono più concessi perché dall'oggi al domani quell'istituto potrebbe non essere più in grado di ripagare il debito che ha acceso con un'altra banca. La liquidità sta scomparendo. Esattamente come è successo con la crisi del 1929 le banche si trovano in difficoltà per mancanza di liquidità.
Parecchi osservatori parlano di una nuova Grande Depressione alle porte. Sta davvero arrivando? Quali sono le similitudini e le differenze per rapporto al 1929?
Non posso dirle se siamo all'alba di una crisi come quella del 1929. Tuttavia le assicuro che questa volta ci siamo molto vicini. Ci sono certamente parecchi elementi in comune fra la crisi del '29 e quella che stiamo vivendo. Si tratta anche oggi di un problema di liquidità e di mancanza di sfiducia fra le stesse banche. Durante la Grande Depressione vi era un vero e proprio problema di circolazione del denaro, non ve n'era più nel circuito economico e le banche centrali non ne potevano stampare. Ed è qui che sta la differenza fondamentale fra questa crisi e quella di 70anni fa. Allora esisteva la parità aurea, cioè a fronte del coniaggio di qualsiasi valore monetario vi doveva essere una pari quantità di oro a garantirne il valore. Questa parità è stata abolita negli anni Settanta. Le banche centrali, come la Federal Reserve, stanno già immettendo enormi flussi di denaro nel mercato monetario. Il problema oggi sono le enormi dimensioni che hanno assunto i mercati globalizzati. Non esiste più il giogo del tallone aureo, tuttavia oggi nessuna banca centrale è in grado di far fronte alle necessità di liquidità del mercato. I suoi fabbisogni sono soddisfatti proprio grazie alla intermediazione monetaria fra gli agenti stessi, cioè di queste banche che oggi non si fidano più una dell'altra. Il mercato oggi è più ricco di qualsiasi Stato, della loro somma e di tutte le loro banche centrali.
Lei non mette in discussione  la necessità di un piano Paulson o di un qualsiasi altro piano di emergenza che è stato messo in cantiere dai paesi di mezzo mondo. Perché?
Qualsiasi piano che viene presentato oggi non è sicuramente perfetto e condivisibile da un punto di vista etico. Siamo in una situazione di emergenza e la sola esistenza di un piano e della disponibilità dei governi a intervenire dovrebbe calmare il mercato. Io non sono così convinta che questi piani saranno una soluzione, ma sono necessari. Purtroppo siamo ridotti a guardare giorno per giorno i listini di borsa e vedere come reagiscono i mercati. Se la borsa scende, la fiducia non è ancora stata riconquista (dopo questa intervista e l'approvazione del piano Paulson lunedì i mercati hanno chiuso pesantemente in rosso, ndr). Il quadro è in continua mutazione.
Per quale motivo dovremmo dare fiducia ai mercati se non si è imparata la lezione? La crisi del 1987, la bolla della new economy, il crac dell'Argentina che stava in condizioni migliori degli Stati Uniti di oggi, la speculazione sui cereali… perché avere ancora fiducia?
Capisco cosa intende. Ma in questo caso non stiamo parlando della fiducia dei cittadini, stiamo parlando di ristabilire quella degli operatori finanziari. Parliamoci chiaro: chi sta su questo mercato lo fa per fare profitti, per guadagnare. Non hanno certamente obiettivi superiori. Nel momento in cui questi operatori penseranno di poter ricominciare a fare soldi, il mercato tornerà ad essere quello che è. I cittadini hanno il diritto di essere sfiduciati. I contribuenti sono stati chiamati alla cassa. È comprensibile che il cittadino americano sia arrabbiato con questa amministrazione. Ma non illudiamoci: anche se venisse eletto Barack Obama faccio fatica a credere che la situazione muterà. Per un semplice motivo: i candidati alle presidenziali sono sostenuti coi soldi di Wall Street. Il problema è come regolamentare questa economia canaglia una volta passata la bufera. Gli Stati saranno disposti a farlo?
Che cosa è diventato il mercato azionario di oggi? Perché non è in grado di stabilire il valore di un titolo finanziario, di un'azienda o della solvibilità di un'ipoteca?
Nel mercato finanziario globalizzato oggi non esiste più il vero valore di un'azienda come lo intende lei. Quanto vale Lehman Brothers? Vale esattamente quanto il mercato è stato disposto a pagarla. Questo è il principio del capitalismo. Un principio che si è rivoltato contro di noi e rischia di farci sprofondare nel baratro.
Portiamo il ragionamento alle estreme conseguenze. Nessun piano Paulson, nessuna rassicurazione per questo mercato globalizzato. Provochiamo il crac del mercato finanziario. Cosa succederebbe?
Vivremmo una nuova Grande Depressione, sicuramente. L'effetto domino dall'economia finanziaria a quella reale sarebbe istantaneo. Milioni di disoccupati nel mondo, l'accesso al credito a tassi proibitivi e lo spostamento di enormi quantità di denaro su beni rifugio, le relazioni internazionali fra i paesi cambierebbero. Già oggi viviamo questa realtà, ma senza un soccorso alla finanza gli effetti sarebbero pesantissimi. La chiusura degli Stati a seguito della crisi del 1929 che ha portato le nazioni ad adottare misure protezionistiche ha prodotto grandi tragedie per l'umanità.
È dal 2005 che si parla di una bolla speculativa (area ne aveva scritto nell'ottobre del 2004, ndr) nel settore immobiliare statunitense. Da allora, cioè fino a quando non sono state le famiglie povere americane a non poter pagare le ipoteche non si è fatto nulla. Perché?
Perché lo Stato non vuole intervenire, siamo figli del neoliberismo e del "laisser faire", del mercato che si autoregola. Sono i governi che hanno permesso questa ennesima ubriacatura mercatista. Siamo in un periodo storico che si potrebbe connotare come quello degli "Stati-mercato" e non più "Stati-nazione". Lo Stato mercato ha posto le condizioni migliori affinché pochi individui e grandi multinazionali possano trarre il massimo beneficio dal sistemo economico. È questa la visione dello Stato che hanno le élite politiche. Ma anche noi cittadini siamo colpevoli, perché crediamo ed eleggiamo queste persone.
I mercati dei capitali servono ancora a fornire denaro a bravi imprenditori?
Questo ruolo è diventato secondario. I mercati di oggi investono le enormi riserve di liquidità a loro disposizione negli strumenti finanziari slegati dalle logiche di impresa. Prenda l'esempio di Warren Buffet: si è appena comprato importanti partecipazioni in Goldman Sachs. Sui giornali ho letto che bisognerebbe prendere esempio da lui che sta salvando il mercato. Ma le assicuro che c'è ben poco di filantropico nelle sue intenzioni. L'unica ragione di questa operazione è da cercare nel fatto che ha potuto comprare a prezzi stracciati una banca. L'economia finanziaria non ha più nulla di filantropico.
Da più parti si invoca il silenzio stampa su questa crisi. Un politico svizzero (Fulvio Pelli, ndr) ha affermato che «meno se ne parla, meglio è» facendo capire che i "rumors", le voci di corridoio, possono far crollare i mercati. Bisogna fare buon viso a cattivo gioco?
Io non credo che sia corretto prendersela con i media. Siamo in una crisi serissima. Al vostro politico dovreste piuttosto chiedere cosa è stato fatto in tutti questi anni per regolamentare il settore finanziario. I media stanno facendo il loro lavoro, riportano quello che osservano al posto di riportare quello che dicono i politici. Usare lo spauracchio del "fomentare la crisi" lo trovo profondamente disonesto. È giusto che la popolazione sappia cosa sta succedendo. Ed è anche giusto che possa essere libera di ritirare il proprio denaro se pensa che la banca dove lo ha depositato non sia solida.

Pubblicato il 

10.10.08

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