Forzieri svizzeri sotto assedio

La piazza finanziaria svizzera è sotto pressione. Gli Stati Uniti, l'Unione europea, ma anche la Germania e la Francia, sono determinati a mettere la Svizzera sulla lista nera dei "paradisi fiscali" contro i quali il G-20, in agenda per l'inizio di aprile, potrebbe adottare delle sanzioni. Ma il Consiglio federale prende tempo, tergiversa e cerca di stabilire fragili alleanze con il Lussemburgo e l'Austria. E si inizia a dire che il segreto bancario dovrà essere modificato.

«Per le banche svizzere è importante. Ma non è il loro più importante ed unico fattore di successo». A dirlo, riferendosi al segreto bancario, è il candidato presidente dell'Ubs, Kaspar Villiger. La sua è la conferma di un'opinione sempre più condivisa. Il segreto bancario – che negli ultimi decenni è servito a proteggere soprattutto gli affari di dittatori, mafiosi ed evasori fiscali e, nei suoi primi anni di vita, a coprire i traffici e le collaborazioni con il regime di Hitler e le ruberie sistematiche dei nazisti a danno degli ebrei – danneggia l'immagine della Svizzera ed ha sempre meno ragione d'esistere.
Sancito dal codice civile, dalla legge sulla protezione dei dati e dalla legge sulle banche, il segreto bancario svizzero garantisce la riservatezza – nei confronti di chiunque, anche dei poteri pubblici – di tutte le informazioni che riguardano i clienti delle banche. Con dei limiti. L'obbligo del segreto viene infatti tolto su ordine dell'autorità giudiziaria se c'è il sospetto di attività criminali quali terrorismo, crimine organizzato, riciclaggio di denaro sporco o frode fiscale. Da questa lista è tuttavia esclusa l'evasione fiscale, che in Svizzera è definita «sottrazione d'imposta» e non è un reato ma soltanto una contravvenzione punita in via amministrativa.
Va però anche detto che in Svizzera non esistono conti bancari anonimi: la banca è tenuta a conoscere il titolare del conto. Inoltre, in virtù del principio di territorialità secondo il diritto internazionale, la tutela del segreto bancario è limitata al territorio svizzero. Pertanto la Svizzera non può impedire che all'estero autorità locali accedano a dati che qui sarebbero coperti dal segreto bancario. Quindi il segreto bancario protegge i singoli evasori, ma non può nascondere (e le banche non possono negare) fenomeni come il riciclaggio o l'evasione fiscale quando assumono proporzioni ed importanza economica notevoli.
Grazie alla distinzione tra frode fiscale e sottrazione d'imposta, Berna concede assistenza amministrativa e giudiziaria all'estero soltanto nei casi di frode e non in quelli di evasione. Ma gli sviluppi della vicenda Ubs potrebbero presto condurre all'abbandono di questa differenziazione. Negli ultimi tempi, soprattutto la Germania e gli Usa hanno fatto di tutto, anche ricorrendo allo spionaggio o all'acquisto di informazioni da "insider", per esercitare pressione sulle piazze finanziarie che, a causa del segreto bancario, diventano rifugio di evasori fiscali. Anche l'Ue e l'Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) chiedono a queste "oasi fiscali" di collaborare, tramite l'assistenza giudiziaria e lo scambio d'informazioni, alla lotta contro tutti i crimini legati ai movimenti di capitali.
A tale pressione hanno finora ceduto il Liechtenstein, Singapore e Hong Kong, adottando, o promettendo di farlo, modifiche ai propri ordinamenti per fornire maggiore collaborazione internazionale. La Svizzera ha offerto l'applicazione della propria tassazione del risparmio, basata sull'imposta preventiva del 35 per cento sugli utili da capitale, rimborsabile solo dopo dichiarazione al fisco. Una soluzione apprezzabile ma ancora nettamente insufficiente per Paesi che lamentano fughe colossali di capitali, come la Germania e la Francia (tra i 20 e i 50 miliardi di euro all'anno) o come gli Stati Uniti (circa 100 miliardi di dollari all'anno). Secondo le stime, circa un terzo del mercato mondiale del risparmio gestito "offshore" si trova nelle banche svizzere.
Al di là delle considerazioni di moralità e di giustizia legate a questi movimenti incontrollati di capitali, pesa però la loro notevole importanza economica: in Svizzera, per esempio, la sola piazza finanziaria rappresenta l'11,5 per cento del prodotto interno lordo. Questo spiega perché il Consiglio federale assuma in materia un atteggiamento difensivo. Ma dimostra anche – come ha sottolineato lo storico Sébastien Guex su L'Hebdo – che «l'aiuto alla frode e all'evasione fiscale, ossia l'aiuto al non rispetto del diritto degli altri Paesi, costituisce da più di un secolo la particolarità della piazza finanziaria svizzera».
Il tentativo del Consiglio federale di cercare l'alleanza di Austria e Lussemburgo non porta da nessuna parte. Questi sono Paesi dell'Unione europea e come tali non attaccabili dall'esterno: finché rispettano (anche se "obtorto collo") le intese e le direttive europee sullo scambio d'informazioni in materia fiscale, il loro segreto bancario opposto agli Usa o ad altri Paesi terzi è né più né meno che il segreto bancario dell'intera Ue.
Perciò nella sinistra svizzera le voci contrarie al mantenimento del segreto bancario si stanno facendo più consistenti. In particolare è cambiata la posizione del Ps, che in linea di principio continua a difendere il segreto bancario, ma che oggi critica la lentezza con cui il Consiglio federale si apre alle esigenze poste dagli altri Paesi. Per il Partito socialista (Ps), le oasi fiscali vanno «prosciugate», la distinzione tra frode fiscale e sottrazione d'imposta «dev'essere abbandonata» e gli accordi sulla fiscalità del risparmio «devono essere estesi geograficamente e nei contenuti, e portati avanti con decisione».

La confidenzialità nella storia

All'origine del segreto bancario elvetico c'è un arresto. A Parigi, nel 1932, la polizia arrestò due alti rappresentanti della basilese Handelsbank, sequestrando loro elenchi di clienti francesi. La reazione della Svizzera fu che due anni dopo le Camere federali approvarono senza voti contrari la legge sulle banche che cuciva la bocca ai banchieri. Questa legge ha contribuito a formare (e deformare) l'immagine internazionale del Paese. Ad approfittare della segretezza  garantita dalla legge furono in primo luogo il regime nazista ed alcuni suoi alti rappresentanti.
Dopo la seconda guerra mondiale, cominciarono le pressioni internazionali. Le prime furono quelle degli Alleati, miranti soprattutto a smascherare i conti dei nazisti e i movimenti commerciali operati con i capitali e con l'oro del Terzo Reich. Quei primi contenziosi vennero risolti con l'Accordo di Washington del 1946, mediante il quale la Svizzera s'impegnava  nella collaborazione con gli Stati Uniti. Fece scuola la frase dell'allora consigliere federale Max Petitpierre: «Abbiamo bisogno di amici nel mondo. Il donchisciottismo non ce lo possiamo permettere». Il segreto bancario, però, sul piano formale e giuridico rimase intatto.
Nel 1958, il primo grosso scandalo: la polizia segreta del dittatore Franco entrò in possesso di una lista di cittadini spagnoli che avevano conti nelle banche svizzere. Furono arrestati e torturati. In seguito sorsero ancora tensioni con gli Usa, i quali dapprima accusavano la Svizzera di collaborazionismo con l'Urss, poi di essere diventata un Eldorado della mafia americana. Berna decise nel 1962 di introdurre l'obbligo di annunciare gli averi senza titolare dai tempi della seconda guerra mondiale.
Il consigliere federale Roger Bonvin disse, alla fine degli anni Sessanta, che erano le esagerazioni degli stranieri a creare il mito del segreto bancario svizzero. Ma a metà degli anni Ottanta l'inchiesta "pizza connection" rivelò che la mafia newyorkese di Gaetano Badalamenti riciclava i narcodollari in Svizzera. Poi venne l'affare Marcos (il dittatore delle Filippine), poi si scoprirono i conti dello zairese Mobutu e poi quelli del nigeriano Abacha. Tutti protetti dal segreto bancario.
A metà degli anni Novanta, l'affare dei fondi ebraici. E se, qualche anno prima, il popolare consigliere federale socialista Willi Ritschard lamentava  che il segreto bancario fosse diventato «inviolabile come una monaca di clausura», per il suo successore Kaspar Villiger era invece «non negoziabile». Adesso, anche per Villiger non è più sacrosanto.

Distinzioni semantiche tra frode ed evasione

L'evasione fiscale in Svizzera è denominata "sottrazione d'imposta" ed è una contravvenzione punita con la multa. Il contribuente che intenzionalmente o per negligenza fa in modo che una tassazione sia indebitamente omessa o che una tassazione sia incompleta, commette una sottrazione d'imposta. La tutela del segreto bancario secondo il diritto interno, comporta sul piano internazionale l'esclusione di qualsiasi assistenza amministrativa o giudiziaria.
La frode fiscale è invece un delitto punito in Svizzera con pena detentiva. Commette frode fiscale chi, allo scopo di conseguire una sottrazione d'imposta e di ingannare le autorità fiscali, fa uso di documenti falsi, alterati o inesatti, quali libri contabili, bilanci, conti economici o certificati di salario e altre attestazioni di terzi. La Svizzera presta assistenza giudiziaria e amministrativa a livello internazionale solo quando le autorità estere dimostrano che è stato compiuto un reato fiscale considerato tale anche in Svizzera, come la frode fiscale o la truffa in materia di tasse (principio della doppia punibilità).

Non tutti i segreti del mondo sono uguali

Il segreto bancario non è una specificità esclusivamente svizzera. Altri paesi dispongono di dispositivi più o meno restrittivi.
Belgio, Lussemburgo e Austria sono nel mirino della Commissione europea, perché invocano il segreto bancario per rifiutare di fornire informazioni ad un Paese terzo che ne fa richiesta. Ma la loro posizione è definita «collaborativa» all'interno dell'Unione Europea.
L'Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) considera Andorra e Monaco «paradisi fiscali non cooperativi», mentre il Liechtenstein collabora con l'Ue dal giugno 2008 ed ha accettato di fornire assistenza giudiziaria agli Usa.
In Gran Bretagna e negli Stati Uniti il segreto bancario è limitato, ma questi Paesi dispongono di satelliti (Jersey, Isole Cayman, Isola di Man, Bahamas, ecc.) in cui la regolamentazione è nettamente meno severa.
In Asia, infine, le autorità di Singapore hanno recentemente accennato un passo in direzione del Consiglio d'Europa e dell'Ocse. Per il caso di Hong Kong, la Cina ha già dichiarato di volersi adeguare agli standard internazionali di trasparenza fiscale.
 

Pubblicato il

06.03.2009 01:00
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