Franco su, economia giù

La crisi finanziaria, la perdita di valore dell'euro e conseguente rivalutazione del franco svizzero, il raffreddamento della congiuntura internazionale, sono fenomeni che stanno avendo ripercussioni anche in Svizzera. Soprattutto l'industria d'esportazione, il commercio all'ingrosso ed il settore dell'edilizia si preparano ad affrontare una recessione ormai certa.

Lo prova un sondaggio condotto in ottobre dal centro di ricerca congiunturale del Politecnico di Zurigo (Kof). Gli imprenditori in  generale si attendono un peggioramento delle condizioni economiche nei prossimi mesi. I settori più toccati sono l'industria di esportazione, la grande distribuzione (escluso il commercio al dettaglio, che si mostra più ottimista) e le banche. Le imprese attive nell'edilizia sostengono che la situazione attuale sia soddisfacente, ma gli ordini sono in calo e nei prossimi tre mesi, prevede la maggior parte degli intervistati, continueranno a diminuire. Quanto alle banche, sostiene lo studio del Kof, adesso hanno un atteggiamento «nettamente negativo», mentre fino a poco tempo fa si erano mostrate «troppo ottimiste».
Naturalmente, dato il forte orientamento all'esportazione tipico dell'economia elvetica, il rafforzamento del franco svizzero – al quale la crisi finanziaria internazionale ha restituito il ruolo di moneta rifugio – contribuisce a peggiorare la situazione. Nemmeno dopo gli attentati dell'11 settembre 2001 l'euro aveva subito una così brusca svalutazione: in poco meno di una settimana, il mese scorso, la moneta europea ha perso quasi 10 centesimi, pari ad oltre il 5 per cento, per toccare il suo minimo storico a 1,43 franchi svizzeri. In passato, il minimo raggiunto era stato di 1,45 franchi nel 2002, mentre il massimo era stato toccato nell'ottobre 2007 con la quotazione di 1,68 franchi.
Ma un franco troppo apprezzato significa in primo luogo un rincaro delle esportazioni svizzere che risultano meno concorrenziali sul mercato europeo. In particolare l'industria delle macchine e degli strumenti di precisione rischia di venir penalizzata. E potrebbe ridursi fortemente anche il flusso turistico verso la Svizzera. Se la stagione invernale si prospetta di segno positivo, anche grazie al ritardo con cui questo settore risponde all'andamento della congiuntura, le previsioni sul lungo termine sono meno rosee. Il problema è legato non soltanto al rincaro dell'offerta, ma anche alla diminuita disponibilità di denaro per il consumo durante le ferie.
Vi sono però anche conseguenze positive prodotte sull'economia svizzera da un euro più debole. Ne beneficeranno in primo luogo le importazioni che, almeno teoricamente, potrebbero subire un abbassamento dei prezzi dei prodotti sul mercato elvetico. E poi, questa correzione del cambio euro/franco rappresenta una vera e propria boccata d'ossigeno per i numerosi frontalieri che, negli ultimi anni, avevano visto precipitare il loro potere d'acquisto.
Sul fronte dell'occupazione, la Segreteria di stato dell'economia (Seco) ha annunciato un incremento del tasso di disoccupazione, in ottobre e rispetto al mese precedente, dal 2,4 al 2,5 per cento. In cifre assolute, l'incremento è stato di 4'491 unità per un totale di 100'471 disoccupati.  Il tasso è aumentato anche in Ticino (+ 0,5 punti al 4,2 per cento) e nei Grigioni (+ 0,5 punti all'1,5 per cento): i due cantoni hanno registrato l'incremento maggiore a livello nazionale. La previsione della Seco è che la disoccupazione, iniziata a salire in luglio, proseguirà su questa tendenza anche l'anno prossimo.

"Ci vogliono investimenti e salari"
L'analisi di Corrado Pardini, responsabile industria Unia, e le vie di uscita dal crack.

L'euro va giù e il franco si rafforza. Con quali ripercussioni sull'industria elvetica?
Le ripercussioni sono gravi. E non è solo la crisi del franco svizzero a determinarle: c'è anche il dollaro che si rivaluta. Con conseguenze importanti sul commercio internazionale e sul costo delle materie prime, e ripercussioni significative sulla nostra economia, date le nostre relazioni con l'Ue e con gli Usa. Questo prova che l'economia reale viene coinvolta in pieno: non è una crisi unicamente finanziaria, come tanti vogliono far credere. Perciò penso che per l'industria basata sull'esportazione, cioè l'industria delle macchine, l'orologeria, ma addirittura anche l'industria farmaceutica e chimica, avranno dei riscontri negativi.
Avete degli elementi di riscontro?
Abbiamo intervistato diverse aziende che sei mesi fa avevano ancora un livello confortante di ordinazioni dall'estero, e mi sembra che vi sia proprio stato un calo enorme, uno strappo incredibile nelle ultime settimane. Io penso che ci dobbiamo confrontare da una parte con il rallentamento della crescita economica, e dall'altra parte con la crescita della disoccupazione.
Si dice che la disoccupazione crescerà l'anno prossimo di 40-50 mila unità. È una previsione realistica?
Sì, è molto realistica.
Ma il franco forte produce solo danni alla nostra economia? Non rappresenta anche qualche vantaggio?
Un franco svizzero forte ha ripercussioni negative nel turismo e nelle esportazioni: due settori molto importanti per l'economia svizzera. L'unico aspetto positivo di un franco molto valutato si rivela nell'acquisto di materie prime all'estero. Ma i vantaggi di questa agevolazione non sono mai rapportabili agli svantaggi, non sono mai proporzionali alla perdita, poiché gli effetti del franco forte si combinano con la recessione in atto e con l'aumento dei costi dell'energia.
Dobbiamo allora aspettarci un periodo molto difficile?
Sì, se non sviluppiamo delle politiche intelligenti che servano ad impedire che la crisi faccia saltare tutto quello che è stato creato negli ultimi anni.
Che tipo di politiche?
Dobbiamo richiedere subito delle manovre, delle politiche adeguate. Ci vogliono, da una parte, degli investimenti a livello infrastrutturale, però d'altro canto bisogna facilitare alle aziende la possibilità d'introdurre il lavoro ridotto invece di licenziare la gente. I licenziamenti comportano  una perdita enorme di know-how, perciò bisogna far sì che questa gente venga mantenuta e che le imprese, invece di licenziare, cerchino, attraverso il lavoro ridotto, di superare questa crisi.
Quanto durerà questa crisi? C'è chi è molto pessimista, ma qualcuno dice fino in primavera.
Fino in primavera? Io dico che durerà più che fino in primavera. Dico che ci vorrà almeno tutto il 2009: un anno che sarà duro. Poi vedremo se, alla fine del 2009, saremo in grado anzitutto di stabilizzare i mercati finanziari e, in secondo luogo, di sviluppare delle politiche intelligenti a livello europeo. Lo sviluppo della Svizzera è influenzato da quello dell'Europa e da quello degli Stati Uniti. Quest'ultimi stanno slittando in una crisi economica tremenda; l'Europa bisogna vedere che passi farà nei prossimi 12 mesi. Fare oggi dei pronostici è davvero molto difficile, perché sono veramente tanti i fattori che entrano in gioco. Però dico che noi, come Svizzera, da una parte siamo esposti, ma  come nazione, sviluppando delle politiche intelligenti, potremmo disporre di ammortizzatori molto importanti: se rafforziamo il potere d'acquisto ed i consumi, rafforziamo l'economia interna. E questo è importante. Come sono importanti gli investimenti anticiclici nell'infrastruttura: occorre insomma smorzare, attenuare gli effetti di questa crisi prodotta all'estero.
E quale sarà, in questo frangente, il ruolo del sindacato?
Il sindacato gioca un ruolo determinante. Non possiamo limitarci a negoziare dei piani sociali dopo che i licenziamenti sono stati effettuati. Dobbiamo sviluppare delle politiche che rafforzino l'economia pubblica, in modo da avere delle alternative per la gente che perde il posto di lavoro, per esempio, nell'industria.
In concreto?
Aumenterà l'impegno politico dei sindacati. È importantissimo cercare di incentivare, a livello cantonale e nazionale, gli investimenti nelle infrastrutture, e di rafforzare l'economia aumentando i salari. Per questa seconda parte, siamo chiamati in primo luogo noi come sindacati. Ma occorre anche sviluppare piani d'investimento importanti nel settore industriale delle energie alternative, perché è lì il futuro dell'industria. Sono tutte cose che, con politiche intelligenti, servono a sviluppare un'economia più forte, meno volatile e meno dipendente dall'estero.

Pubblicato il

14.11.2008 02:00
Silvano De Pietro
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