Francia

La tragedia per ora è arrivata al quinto atto. Da metà novembre si susseguono i sabati di manifestazioni, con esplosioni di violenze e interventi pesanti delle forze dell’ordine, a Parigi ma anche in molte città di provincia. Ci sono già nove morti legati alla protesta.


Il movimento dei gilet gialli è nato su Facebook, con un’iniziativa che risale al 10 ottobre, una prima protesta contro l’aumento del prezzo dei carburanti, firmata da una delle personalità di spicco del movimento, il camionista Eric Drouet. Una scintilla che ha dato fuoco a un malessere diffuso, che viene da lontano. Il 18 ottobre esce un video, sempre su Facebook, di Jacline Mouraud, che denuncia la “caccia” agli automobilisti. Poi, il 21 ottobre, c’è la petizione di Priscillia Ludosky su change.org, che raccoglie più di un milione di firme. Nascono centinaia di gruppi sulle reti sociali, che riuniscono ormai milioni di membri. Il governo, in un primo tempo, non capisce. Non sa a chi rivolgersi, il primo ministro Edouard Philippe, che è in prima linea mentre il presidente Emmanuel Macron resta in ritiro, afferma di non voler cambiare obiettivo, ma cerca dei contatti. Al primo invito a Matignon, la sede del primo ministro, non si presenta praticamente nessuno. Sociologi, politologi, specialisti si interrogano. Dal movimento emergono domande confuse, contraddittorie. La scintilla è stata l’aumento del prezzo dei carburanti, pochi centesimi sul gasolio e la benzina, in nome della lotta al riscaldamento climatico e alla produzione di CO₂. Ma poco per volta, vengono alla luce altre domande: sono richieste di un aumento del potere d’acquisto, “potere di vivere” dirà Laurent Berger leader della Cfdt, un grido di dolore di una parte della classe media francese che si sente scivolare nella precarietà, che non arriva a fine mese.

 

Sociologi ed economisti hanno individuato il problema, si tratta dell’aumento delle “spese obbligate”, come ha spiegato il sociologo Olivier Galland: «Non sono i più poveri tra i francesi (che, ricordiamolo, vivono al 66% nei grandi poli urbani) che hanno infilato il gilet giallo, anche se per il momento è difficile dare una sociologia di questa popolazione. Nelle testimonianze vediamo esprimersi la collera di una Francia dai redditi modesti, una Francia delle classi medie inferiori e delle classi popolari, che costituisce d’altronde un’ampia parte della popolazione.

 

Il 50% della popolazione ha un livello di vita compreso tra 1.139 € e 2.125 € al mese. La congiunzione di tre fenomeni ha potuto attizzare la collera di questa parte della popolazione, uno di natura congiunturale – le misure annunciate dal governo sulla tassazione delle energie che emanano CO₂ – gli altri di natura più strutturale – la stagnazione del livello di vita dalla crisi del 2008 e la crescita di una parte delle spese obbligate nel budget delle famiglie, in particolare di quelle modeste».


Questo spiega la popolarità del movimento, che ha stupito il governo, che sperava di poter lasciar marcire la situazione. Un tasso di adesione intorno al 70% anche dopo i primi atti, caratterizzati da estreme violenze, contro i simboli della ricchezza nei bei quartieri di Parigi e non solo, ma anche dalla vandalizzazione di un monumento simbolico come l’Arc de Triomphe. Solo al V atto, la popolarità decresce considerevolmente, in seguito alle proposte di Emmanuel Macron, che dopo un lungo silenzio ha presentato delle misure per migliorare il potere d’acquisto. Una collera che «viene da lontano» ha anche ammesso Macron, che è diventato il simbolo di quello che i gilet gialli detestano: colpevole del «peccato originale» di aver abolito parte della patrimoniale (quella relativa al capitale investito, mentre resta per il patrimonio immobiliare), che ha tolto 4-5 miliardi di tasse ai ricchi e le chiede ai poveri in nome dell’ecologia, per poter rispettare i parametri di Maastricht e negoziare il rilancio dell’Europa con la Germania. Macron ha concentrato sulla sua persona un odio preoccupante. “Macron dimissioni” è lo slogan unificatore dei gilet, che permette di superare tutte le contraddizioni.


Non ci sono solo Macron e il governo ad essere stati disarcionati. Anche i sindacati sono in scacco. I gilet gialli si dicono apolitici – anche se questo tipo di protesta rischia di gonfiare l’estrema destra, ben presente nelle manifestazioni – e non si rivolgono più ai sindacati per rappresentarli. Laurent Berger, del sindacato Cfdt, ha cercato una mediazione, proponendo un dibattito nazionale, che dopo tanto tergiversare è stato accettato. La Cgt è in difficoltà, il leader Philippe Martinez ha iniziato con il prendere la distanze dai gilet, per la presenza dell’estrema destra, ma poi si è reso conto che una parte consistente della sua base ha seguito la France Insoumise, molto implicata nel movimento. Macron ha imposto il completamento della Loi Travail e la riforma della Sncf (ferrovie), due sconfitte per i sindacati. I gilet gialli, da una rivolta anti-tasse sono passati a una richiesta di giustizia fiscale e sociale (e per questo la destra di governo li ha abbandonati), e Macron ha ceduto qualcosa. Adesso la Cgt e Force ouvrière cercano di recuperare la protesta sociale, per incanalarla, evitando le derive violente.

Pubblicato il 

20.12.18
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