Giovani, tutti uguali

C’è ancora tanto lavoro da fare per l’integrazione dei bambini e dei giovani stranieri in Svizzera. A ribadirlo è la Commissione federale della gioventù (Cfg) che ha presentato negli scorsi giorni il suo ultimo rapporto dal titolo “Punti di forza da riconoscere e valorizzare. Prospettive per una politica d’integrazione a misura di bambini e giovani di origine straniera”. Un folto documento, che accogliendo il sentimento di molti giovani immigrati – soprattutto con statuto provvisorio –, ricorda come ancora la Svizzera e gli Svizzeri continuino ad avere uno sguardo velato di pregiudizio nei loro confronti. Molti bambini e giovani stranieri «non possono scegliere le condizioni poste dall’ambiente in cui crescono», ricorda la Cfg. Si ritrovano invece a subirne le conseguenze con tutti i disagi e le frustrazioni che ciò implica. Avviata ad un processo inarrestabile, la nostra società sta diventando sempre più multiculturale, fa notare la Commissione dei giovani, ma il nostro «sistema educativo non è ancora in linea con la nostra società». Il processo d’integrazione necessita di un humus adatto su cui attecchire, ossia di condizioni che permettano la formazione adatta alle esigenze dei giovani stranieri e il loro accesso alla vita professionale. «A 24 anni, il 23 per cento degli stranieri – si legge nel rapporto – non ha iniziato un percorso professionale né proseguito gli studi, contro l’8 per cento degli svizzeri». Ciò di cui hanno urgente bisogno è una porta aperta alle loro potenzialità, risorse e competenze. E se per molti bambini, anche con statuto precario, l’accettazione nelle scuole non incontra molti ostacoli, per gli adolescenti le prospettive di futuro professionale vengono spesso tarpate da un ordine di espulsione. Statuto precario, difficoltà economiche, clima politico ostile, emarginazione e conflitti di valori fra la propria società d’origine e quella d’accoglienza, possono ostacolare se non intralciare il processo d’integrazione. Eppure gli esempi di lungimiranza nel nostro paese non mancano. E il Cfg guarda al canton Neuchâtel che nel 1996 ha votato la prima legge sull’integrazione degli stranieri in Svizzera (e «da 150 anni accorda qualche diritto politico agli stranieri»). Qui, dove il 27 per cento della popolazione non ha la cittadinanza svizzera, si lavora per processo di riconoscimento reciproco delle culture. Concretamente il governo «riconosce l’importanza delle associazioni degli stranieri nel processo d’integrazione». Per questo la Cfg ribadisce che senza diritti politici e un nuovo orientamento politico dei governi, che riconosca voce in capitolo agli stranieri, non c’è vera integrazione. E in questo la Cfg prende ad esempio l’Olanda dove i progetti per l’integrazione degli stranieri sono tra i più riusciti. Due in particolare. Il primo si chiama ’”Hopstap” ed è rivolto ai bambini tra i 0 e i 6 anni e alle loro madri (straniere). Il progetto poggia su “madri di vicinato” autoctone che, dopo aver seguito una formazione apposita, preparano piccoli e madri fino alla soglia della scuola elementare. Altro progetto riguarda l’istituzione di “mentori” (si occupano di diverse problematiche scolastiche e non), cioè di volontari (per lo più studenti e giovani donne) formati ad hoc che promuovono lo scambio di esperienze fra le comunità autoctone e quelle straniere. La Cfg da anni s’impegna in prima persona per stimolare società e governo a intensificare il proprio sostegno in varie forme a favore dell’integrazione. Nel suo ultimo seminario, tenutosi lo scorso novembre 2002 a Bienne, la Commissione ha sviscerato il tema che ha dato poi il titolo al Rapporto, partendo proprio dalle indicazioni fornite dagli stessi giovani di origine straniera riuniti in gruppi target con cui sono state affrontate approfondite discussioni. Molti passi sulla via dell’integrazione dei bambini e dei giovani d’origine straniera sono stati fatti, ribadisce la Cfg, ma il tema mantiene ancora tutta la sua urgenza. Con Filippo Jörg, responsabile del Pretirocinio d’integrazione in Ticino e presente alle giornate di Bienne della Cfg, abbiamo affrontato la questione. «L’urgenza di affrontare questi temi – rileva Jörg – è un segnale positivo, significa che un ulteriore organismo, la Cfg, ha capito che il tema dell’integrazione passa attraverso l’accoglienza e attraverso un lavoro da svolgere su e con i giovani. Io che opero a stretto contatto con i ragazzi di origine straniera, trovo sia stato importante che una Commissione di giovani abbia scelto questo capitolo mettendo l’accento sulla necessità di un intervento». Qual è a suo parere il fil rouge che dovrebbe reggere la politica d’integrazione dei bambini e dei giovani stranieri? Abbiamo bisogno di scelte positive e costruttive basate sull’assunzione della responsabilità da parte di noi adulti preposti all’educazione e all’accompagnamento dei nostri figli che non possono essere distinti in base alla consanguineità, colore, ecc. La società adulta ha il dovere di farsi carico di tutti i bambini e giovani, a prescindere dalle loro origini». Uno dei punti su cui il rapporto del Cfg insiste è l’incognita che grava sui giovani con statuto precario al termine delle scuole dell’obbligo… In molti cantoni, purtroppo, si assiste a frequenti abbandoni del percorso di formazione da parte di questi ragazzi che compiono i 15 anni. Ma non in tutti, per fortuna. Il Ticino, ad esempio, all’inizio degli anni Novanta, con l’arrivo dei profughi kosovari, insieme a qualche altro cantone, aveva deciso di accogliere ufficialmente anche i ragazzi 15-18enni e di sostenerli con misure di formazione ad hoc. In questa direzione, finora, a cui la Cfg plaude, si è mosso anche l’Ufficio della formazione professionale e della tecnologia che, in un documento del 2000 (alla cui stesura Jörg ha partecipato, ndr), sottoscriveva il diritto ad un ciclo di formazione dei giovani stranieri, a prescindere dal loro statuto». Nel rapporto si ricorda come i giovani stranieri siano poco “visibili” a livello sociale, e le loro competenze, viatico per la loro integrazione, poco valorizzate. È vero? «Diciamo che la visibilità cui sono soggetti spesso è quella che li vuole esclusi, identificati tutti in una categoria piuttosto che in un’altra. C’è bisogno, come sostiene la Cfg, di una visibilità che li veda contemplati nella formulazione delle leggi, nella progettazione di interventi a loro favore e non ignorati dalle statistiche perché privi di un permesso. Quando si parla d’integrazione si pensa solo ai bambini e giovani stranieri già accolti nel nostro paese; tutti gli altri, i richiedenti l’asilo o i sans papiers, rischiano il totale abbandono. Come si può pretendere che un giovane sotto i vent’anni capisca e accetti che le sue opportunità, i suoi sogni e il suo destino vengano castrati da un articolo di legge di uno stato che loro pensavano democratico e giusto? Ciò che loro capiscono (e a ragione) è l’accoglienza o il rifiuto che ricevono». Da tempo la Cfg e voi lavorate per scardinare pregiudizi nei confronti degli stranieri. Tra questi il nesso “violenza giovanile - stranieri”, respinto con forza nel 1998 nel rapporto della Cfg, duro a morire. Quanto pesa il rifiuto nel comportamento di alcuni giovani stranieri con statuto precario? «Moltissimo. Gli si impedisce di fare qualsiasi cosa e li si costringe a vivere con 12 franchi al giorno spingendoli poi nelle reti di chi li sfrutta come spacciatori. Eppure vi sono datori di lavoro disposti a prenderli pur sapendo che dopo tre mesi andranno via… Questo significa che le possibilità esistono ma che solo una parte della società è disposta ad offrirgliele, l’altra invece gliele nega». Il rapporto constata come anche nei casi di bambini e giovani d’origine straniera, le loro competenze non vengano valorizzate come si dovrebbe. «Certo è il caso di quei giovani (e sono sempre più numerosi) che arrivano qui per ricongiungersi alla famiglia. Spesso si tratta di ragazze e ragazzi che parlano già di partenza due/tre lingue, sono dotati di senso di responsabilità : a loro in molti casi compete il compito di fungere da tramite tra la famiglia e la realtà esterna. Questa capacità di mediazione unita ad un forte desiderio di apprendimento fa di loro soggetti davvero privilegiati tramite cui si può operare per l’integrazione di tutta la famiglia d’origine». Ricongiungimento familiare fino ai 18 anni, garanzia di un percorso formativo… Raccomandazioni e proposte importanti che, per divenire realtà, hanno bisogno di essere accolte presso le autorità preposte… È questo il punto. Di recente mi è giunto all’orecchio che la competente commissione del Consiglio agli Stati, impegnata nell’elaborazione della nuova legge sugli stranieri ,abbia intenzione di limitare il ricongiungimento familiare all’età di 14 anni. Se ciò dovesse attuarsi sarebbe davvero indegno e vergognoso da parte del governo! Significherebbe impedire ad un ragazzo straniero il diritto di crescere a contatto con la famiglia. È una grossa falsità sostenere che dopo i 14 anni fanno fatica ad integrarsi: la realtà dimostra esattamente il contrario. Dalla nostra esperienza possiamo dire che solo pochissimi, tra coloro che hanno iniziato un percorso professionale, si sono persi per strada.

Pubblicato il

27.06.2003 01:30
Maria Pirisi
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