I divieti collettivi sono illegali

In piscina voi non ci andate. La scorciatoia che costeggia il lago per arrivare in stazione non potete prenderla. I vostri figli a scuola con i nostri? Non se ne parla proprio. I casi accaduti a Bremgarten, Nottwil, Birmensdord ed Eigenthal hanno sollevato a più riprese la questione della legittimità delle restrizioni della libertà di movimento imposte ai richiedenti l’asilo. Diversi organi di sorveglianza internazionali hanno criticato per questi provvedimenti la Svizzera, la quale ora dispone di una perizia voluta dalla Commissione federale contro il razzismo, che fissa dei paletti giuridici e lancia raccomandazioni per il rispetto di questi diritti fondamentali. Sperando che non si verifichino più eccezioni...

 

Sono questi alcuni dei discutibili episodi che hanno visto in alcuni cantoni svizzeri limitare drasticamente la libertà di movimento ai richiedenti l’asilo: una categoria già fortemente a rischio di emarginazione e vulnerabile. Privati di diritti legati alla sfera personale che non sono sanciti “solo” dalla Costituzione federale, ma pure da diversi trattati di diritto internazionale che la Svizzera ha ratificato. Non c’è quindi da meravigliarsi se diversi organi di sorveglianza internazionali siano intervenuti, criticando le restrizioni imposte dalla Confederazione elvetica.


Casi che hanno fatto clamore. E così la Commissione federale contro il razzismo (Cfr) ha approfondito il tema con un’analisi giuridica, che la sua presidente giudica «rigorosa», per fissare delle linee guida cui le autorità devono attenersi quando si tratta di libertà di movimento e rispetto dei diritti fondamentali dei richiedenti l’asilo. Lo studio è stato affidato a Regina Kiener, titolare della cattedra di diritto pubblico dell’Università di Zurigo, e a Gabriela Medici, del Centro di competenza per i diritti umani dello stesso ateneo. E così lo scorso mese di febbraio è uscita la pubblicazione “Richiedenti l’asilo nello spazio pubblico”: una perizia giuridica, che contiene una serie di raccomandazioni all’amministrazione pubblica, ma pure alle organizzazioni private, sempre più spesso incaricate di svolgere compiti di competenza dello Stato. Organizzazioni in cui la formazione non è sempre garantita: si veda il caso di Argo 1 in Ticino. Nel documento si legge testuale: «Le autorità devono provvedere affinché anche le regole vigenti nei centri di accoglienza per richiedenti l’asilo gestiti da privati rispettino i diritti fondamentali e non prevedano ingerenze anticostituzionali nella libertà di movimento degli ospiti. Dato che i relativi contratti di prestazione sono difficilmente consultabili, al momento non è chiaro a che punto le autorità adempiano questo obbligo». Dallo studio spicca inoltre che i divieti di accedere a un’area pronunciati collettivamente nei confronti dei richiedenti l’asilo in un determinato centro o in un determinato comune «violano la libertà di movimento».


Giulia Broggini, responsabile della Commissione federale contro il razzismo, in quali circostanze le restrizioni della libertà di movimento, in particolare il rifiuto d’accesso e le proibizioni a determinati perimetri, sono ammissibili?
La Costituzione federale e i trattati internazionali ratificati dalla Svizzera sanciscono la libertà di movimento e il divieto di discriminazione. Le restrizioni legali della libertà di movimento possono essere ordinate soltanto nei confronti di chi perturba o minaccia la sicurezza e l’ordine pubblici. Lo studio ricorda che le restrizioni alla libertà di movimento devono poggiare su una base legale, perseguire un interesse pubblico o servire alla protezione di diritti fondamentali altrui, essere proporzionate allo scopo e non ledere l’essenza della libertà di movimento.


Le raccomandazioni della Commissione federale contro il razzismo indirizzate alle autorità competenti a livello federale, cantonale e comunale che valore hanno?
È compito degli organi federali, cantonali o comunali competenti verificare la conformità al diritto delle misure prese. La Cfr non ha la facoltà di farlo, né di esigere l’attuazione delle sue raccomandazioni, che servono soltanto da orientamento alle autorità.


Quello dei richiedenti l’asilo è un tema sensibile, come dimostrano i casi di divieto di accesso ad alcune aree, che solleva molteplici sentimenti: la politica lo ha già cavalcato e probabilmente sarà ancora strumentalizzato a fini elettorali. Come si può limitare la propaganda fatta sulla pelle di una categoria fragile?
Che i partiti e i politici esprimano le loro opinioni, reazioni e proposte, è perfettamente legittimo. In un sistema democratico, i partiti e i politici occupano tuttavia una posizione particolare. Devono dunque tenere un comportamento esemplare e distinguere chiaramente ciò che fa parte del confronto politico, anche aspro, da ciò che invece altro non è che un mezzo per veicolare discriminazione e stigmatizzazione. E devono condannare senza mezzi termini chi pronuncia o scrive frasi insultanti, degradanti e cariche d’odio.


Gli attori privati che, citate nella vostra analisi, sempre più impiegati dallo Stato nel lavoro con i richiedenti l’asilo, non hanno in generale una formazione specifica: non è un problema soprattutto pensando al rispetto dei diritti? Che cosa si può fare?
Di norma sono le autorità statali che hanno delegato a terzi il compito di occuparsi dei richiedenti l’asilo a doverne garantire un trattamento adeguato nel rispetto dei diritti fondamentali. Questo presuppone tra l’altro anche competenze specifiche da parte degli attori. La Cfr raccomanda alle autorità di ottemperare a questi obblighi.


Queste le risposte: con tutto il rispetto, ne sappiamo poco di più...
Un punto però è chiaro: le sensazioni soggettive di insicurezza e di paura dell’altro non costituiscono un motivo sufficiente per limitare la libertà di movimento dei richiedenti l’asilo. E come se dicessero che tutti i ticinesi non possono varcare il Gottardo.
No, dai, anche i leghisti ogni tanto vanno a Berna... Non generalizziamo e non discriminiamo.

Pubblicato il

06.07.2017 19:01
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