I sindacati sostengono Kerry

Il 2 di novembre le urne americane decreteranno chi governerà gli Stati Uniti nei prossimi 4 anni. L’elezione del presidente è quest’anno più cruciale che mai per le sorti dei diritti dei lavoratori. Ad affermarlo sono i vertici del mondo sindacale, che quest’anno stanno mobilitando ingenti forze e mezzi per far sì che in novembre il repubblicano George Bush sia estromesso dalla casa Bianca e il democratico John Kerry prenda il suo posto. Non è un compito facile. Dopo la recente Convention repubblicana, Bush sembra avere il vento in poppa. Ormai il tema più dibattuto è quello della sicurezza nazionale, dove Bush è molto forte, mentre la situazione in Iraq o i problemi economici vengono relegati in secondo piano. Nei media americani si parla poco del deficit pubblico ormai a livelli record. Da quando Bush è andato al potere è aumentato il numero dei poveri e delle persone che hanno perso il diritto alla cassa malati. La disoccupazione segna il passo, il prezzo della benzina continua a crescere e i consumi, il motore di questa economia, non riprendono con la forza sperata. La ricetta del taglio delle imposte si rivela molto meno promettente di quanto avesse osannato il presidente Bush. L’arrivo di Kerry alla Casa Bianca non cambierebbe in fretta questi dati, ma i sindacati sono fiduciosi che con lui le cose potrebbero andare meglio per i lavoratori perché, nei 20 anni di attività parlamentare, il senatore del Massachusetts si è espresso nel 90 per cento dei casi in favore delle richieste sindacali. Per questo anche quest’anno, come 4 anni fa, sono molto impegnati nella campagna elettorale. Si calcola che solo i sindacati spenderanno quest’anno 150 milioni di dollari. La Seiu, il sindacato del personale sanitario, investirà 64 milioni di dollari e mobiliterà oltre 2’000 persone a tempo pieno. Secondo il suo presidente, Andy Stern, questo è il maggior sforzo fatto da una singola organizzazione, che non sia un partito, in una elezione nazionale. I rappresentanti dei lavoratori sono impegnati soprattutto negli Stati dove l’esito del voto è ancora incerto. Vale a dire nelle regioni industriali del centro nord. I sindacalisti vanno di casa in casa a convincere la gente a votare Kerry, ma soprattutto ad iscriversi nelle liste elettorali. Questo impegno ha dimostrato di dare i suoi frutti. Quattro anni fa, in America un voto su 4 proveniva da famiglie dove almeno un membro era iscritto ad un sindacato, contro il 19 per cento di 4 anni prima Quest’anno si spera di fare ancora di meglio e di arrivare al 30 per cento. La maggior parte di questi voti (65 per cento) va ai democratici. I rappresentanti dei lavoratori sottolineano che i due candidati hanno concetti molti diversi su come vogliono risolvere i problemi del paese. Kerry per esempio è convinto che l’economia americana possa creare milioni di posti di lavoro nei prossimi 4 anni, mentre da quanto Bush è al potere i posti di lavoro sono diminuiti. Il senatore del Massachusetts propone di concedere agevolazioni fiscali alle imprese che creano posti di lavoro e di abolire gli sgravi fiscali alle imprese che esportano lavoro, come invece fa Bush attualmente. Kerry poi non vuole concedere appalti pubblici ad imprese che si trasferiscono all’estero e sostiene accordi commerciali che garantiscono i diritti dei lavoratori. Il candidato democratico promette più posti di lavoro investendo nelle infrastrutture pubbliche. Vuole rinnovare la rete stradale, gli acquedotti, le ferrovie e gli edifici scolastici che negli ultimi anni sono stati trascurati perché non ci sono soldi a causa anche dei tagli fiscali. Per finanziare i suoi progetti vuole tassare di più i redditi superiori a 200 mila dollari all’anno. Questa non è una priorità di Bush, che invece vuole rendere permanenti i tagli fiscali, anche se le casse dello stato segnano rosso profondo. Propone invece di privatizzare circa 850 mila posti pubblici. Per i lavoratori interessati questo significa paghe al ribasso e minore protezione sociale. La privatizzazione può originare nuovi problemi, come lo si è visto recentemente in Iraq dove persino gli interrogatori dei prigionieri era affidato a privati. I vertici dell’Afl-Cio, la maggiore organizzazione sindacale mantello che conta circa 13 milioni di iscritti, sanno poi che se Kerry è eletto, potranno nuovamente accedere alla Casa Bianca, dalla quale sono stati di fatto chiusi fuori negli ultimi 4 anni. Sanno che Kerry appoggia la proposta di legge per facilitare l’entrata dei sindacati nelle fabbriche, la cosiddetta “Employee Free Choise Act”, mentre Bush continuerà nella sua politica di escludere sempre di più i sindacati dal tavolo delle trattative. Il presidente americano uscente vuole privatizzare la Social Security, l’equivalente dell’Avs svizzera, mentre Kerry si oppone. Il candidato democratico propone invece di risanare i conti dello stato, per non dovere in futuro tagliare le prestazioni agli anziani perché lo stato è senza soldi. Vuole anche proteggere meglio i fondi delle casse pensioni private per evitare che gente arrivi in pensione senza i soldi per pagare le rendite. La lista naturalmente è ancora lunga. Kerry per esempio propone di migliorare i controlli sui posti di lavoro per combattere la piaga degli incidenti sul lavoro, che causa ogni anno negli Stati Uniti 60 mila morti o oltre 4,7 milioni di feriti. Vuole rimettere in vigore le norme ergonomiche (Bush le ha abolite appena entrato al potere) per proteggere meglio i lavoratori che eseguono mansioni ripetitive e logoranti. Promette di aumentare il salario minimo, che ormai da anni è fermo a 5,15 dollari all’ora e si oppone alle leggi che permettono di lavorare a qualsiasi condizione salariale. Kerry poi rimetterebbe sicuramente in discussione il taglio dei compensi sugli straordinari, voluto a tutti i costi da Bush e che sta alleggerendo le buste paghe di milioni di lavoratori americani. Kerry difende la scuola pubblica, mentre Bush promuove quella privata. Sono differenze sostanziali, che aiutano i sindacati a mobilitare i loro membri per il 2 di novembre, nella speranza di riuscire a far cambiare rotta al paese.

Pubblicato il

17.09.2004 03:30
Anna Luisa Ferro Mäder
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