Il benessere non è consumo

Nel fine settimana in due cantoni, Zurigo e Lucerna, il popolo ha espresso un chiaro no all'estensione degli orari di apertura dei negozi. Si tratta di una doppia battuta d'arresto, l'ennesima, alle politiche di liberalizzazione del settore che dovrebbe far riflettere chi, in altre realtà, come il Ticino, si ostina a voler imporre un'idea di società votata al consumo continuo che nessuno vuole.
Per chi, a cominciare dal personale della vendita e dai sindacati che lo rappresentano, si oppone alla forte pressione liberalizzatrice sul settore del commercio al dettaglio le votazioni di Zurigo e Lucerna erano particolarmente insidiose. La prima perché si svolgeva in un cantone che più urbano e moderno non si può, un cantone che per molti versi si considera una metropoli aperta al mondo e che vive 24 ore su 24. Opporsi al progetto di nuovi orari dei negozi nel canton Lucerna era invece particolarmente difficile perché in votazione c'era una proposta di estensione tutto sommato contenuta e, in sostanza, limitata ai soli giorni prefestivi.
Eppure sia a Zurigo che a Lucerna gli elettori hanno dato ragione a chi ha raccolto le firme contro le decisioni dei rispettivi parlamenti cantonali, sconfessando la maggioranza della loro stessa classe politica. Ancora una volta il popolo ha detto che non vuole una società basata sul consumo, che il diritto di acquistare merci quando si vuole non può prevalere sul diritto del personale della vendita e dei settori annessi ad una vita sociale e famigliare sana, integrata ed equilibrata. Gli elettori hanno insomma ribadito che non misurano il loro benessere in base a quanto consumo.
Ciò che sconcerta a questo punto è la testardaggine di chi insiste nell'inventarsi i presunti bisogni dei consumatori per giustificare estensioni degli orari di lavoro che nessuno vuole. Fino a quando è la grande distribuzione che insiste passi: è l'unica che può reggere degli orari di apertura liberalizzati e dunque fa solo il suo interesse, nella speranza di spazzare definitivamente il mercato. Ma quando sono ampie maggioranze dei rispettivi parlamenti che spingono verso la liberalizzazione vien da chiedersi non tanto che interessi facciano, quanto come si rapportino con il loro elettorato, di cui evidentemente ignorano le più profonde aspirazioni.
A meno che anche la nostra classe politica non cominci a ragionare sulla base dei sondaggi. Salvo poi ritrovarsi scottata quando il popolo davvero si esprime nell'unico modo vincolante che conosce una vera democrazia, cioè con la scheda di voto. Potrebbe succedere anche con il raddoppio del San Gottardo: questa settimana un altro sondaggio dava un'ampia maggioranza della popolazione favorevole. Chi dovesse costruire la politica dei trasporti sui sondaggi della domenica rischia di ritrovarsi con un pugno di mosche quando il popolo avrà votato.

Pubblicato il

22.06.2012 00:30
Gianfranco Helbling
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