Il fallimento dell’Unione europea, da sogno a incubo neoliberista

Inizialmente il progetto di un’unione europea rappresentava una visione vagamente socialdemocratica: si trattava non solo di evitare futuri conflitti dopo secoli di devastanti guerre, ma anche di creare un modello alternativo a quello spietatamente capitalista di marca anglosassone. Ma la realtà odierna è ben diversa: accordo dopo accordo, trattato dopo trattato, il sogno originale è andato trasformandosi in un incubo di marca neoliberale dove a dominare sono le leggi ferree del mercato e le regole imposte dal capitale finanziario.

A poco a poco quindi la sinistra, compresa quella svizzera, sta diventando sempre più euroscettica, dopo aver perso anche l’ultima illusione che consisteva nello sperare di poter cambiare l’Ue grazie ad una “lunga marcia attraverso le istituzioni europee”. Il colpo di grazia a questa illusione è stato inferto dalle conseguenze della rapida estensione dell’Ue all’est. Quando nel 2001 chiesi all’allora Cancelliere austriaco Gusenbauer perché ci fosse tutta questa fretta d’inglobare questi paesi, mi rispose: “Se non offriamo loro questa prospettiva, diventeranno fascisti”. Nel frattempo, anche se con gradazioni e contenuti diversi, un’evoluzione simile è avvenuta ad ogni modo, e sono stati proprio questi paesi, contrariamente agli accordi presi a suo tempo dalle potenze occidentali con Gorbaciov, a favorire l’estensione della Nato sino ai confini russi, diventando così più dei vassalli di Washington che di Bruxelles. Ciò che potrebbe far sì che l’Ue, contrariamente agli intendimenti iniziali, diventi addirittura un pericolo per la pace.


L’attuale tragica incapacità dell’Ue a gestire in modo minimamente decente la tragedia dei migranti è la dimostrazione più plateale della crisi che travaglia questa unione. Ma di questo parlerò più compiutamente magari un’altra volta.


Oggi mi interessa il dibattito attuale che scuote un po’ tutte le forze politiche europee di sinistra, ma che è ora particolarmente violento in Germania. Da una parte c’è chi per spirito caritatevole ed umanitario dice, semplificando al massimo, “dobbiamo accoglierli tutti, anche perché le migrazioni sono un fatto naturale”. Dall’altra c’è chi invece considera molte delle ondate migratorie una conseguenza di secoli di colonialismo e di imperialismo e per evitare di farne pagare le spese agli incolpevoli strati popolari europei, vuole una qualche regolamentazione dell’afflusso, anche per evitare reazioni xenofobe e razziste. Non è un caso che il dibattito sia particolarmente duro in Germania, dove l’ormai decennale inciucio della socialdemocrazia con il grande capitale ha tra l’altro causato con le “riforme di Schroeder” (sic!) ad un’esplosione dei bassi salari e delle disuguaglianze sociali. Questo dibattito sta portando la Linke all’orlo della scissione, dopo che l’icona della sinistra radicale tedesca Sarah Wagenknecht ha lanciato il nuovo movimento “Aufstehen” (alzatevi) che, facendo il verso alla France Insoumise di Mélenchon ed in parte anche a Corbyn, si schiera su posizioni euroscettiche e di regolamentazione dell’immigrazione. Sì perché qui si chiude il cerchio tra i due temi: volendo abolire, a vantaggio del grande capitale, ogni controllo sul mercato del lavoro, l’Ue rende difficilmente gestibile un’integrazione regolata e pianificata dei migranti.

 

E, per tornare a casa nostra, è in quest’ambito che va intesa la giustissima decisione dell’Unione sindacale svizzera di far saltare il banco per le trattative con l’Ue per un accordo quadro, proprio per evitare un indebolimento delle misure d’accompagnamento, quando invece queste ultime dovrebbero essere rafforzate per meglio controllare l’ingravescente dumping salariale. Ma anche su questo tema intendo ritornare un’altra volta.

Pubblicato il

30.08.2018 10:56
Franco Cavalli
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