«Il guardone»

La «guerra commerciale», se così si può chiamare, tra Svizzera e Italia si fa pesante. Il ministro italiano dell’economia Giulio Tremonti ha addirittura schierato telecamere spia mobili a ridosso della frontiera con la Svizzera. La giustificazione, ovvia, è che servono a scopo dissuasivo per scongiurare una fuga di capitali dall’Italia verso le banche svizzere. Una misura discutibile da molti punti di vista. Soprattutto dal punto di vista della privacy e della libertà di movimento dei cittadini italiani (e non soltanto, perché chiunque entra in Italia potrebbe essere ripreso) che per il solo fatto di varcare il confine con la Svizzera vengono filmati (unicamente le targhe...of course). Tutto questo comporta l’avvio di una serie di accertamenti di natura fiscale e penale. Non c’è che dire, veramente un bel sistema degno di un governo «liberista» con leggera deriva autoritaria. È vero che l’occhio elettronico fa il suo «lavoro» sul territorio italiano e difficilmente si potrà parlare d’ingerenza in uno Stato estero (nel nostro caso la Svizzera). Anche l’Autorità italiana garante della privacy ci assicura che i controlli elettronici alla frontiera rientrano nelle norme che tutelano la riservatezza. «Il garante – ci dice Giovanni Buttarelli, segretario generale dell’autorità – ha redatto un decalogo, in vista di una normativa più precisa, in materia di videosorveglianza. Noi possiamo ragionare in base a un contesto normativo che reca principî di carattere generale e nessuno riferito a videosorveglianza. I controlli alle frontiere di questi giorni rispettano – fino a prova del contrario – tale decalogo e hanno in sé i parametri di proporzionalità, trasparenza e circoscrivono gli scopi a determinati illeciti». «Allo stato delle generalissime informazioni che abbiamo – continua Buttarelli –, tenuto conto della limitata normativa al riguardo, non ci sono spazi di intervento da parte nostra. I dati raccolti dovranno essere trattati in un periodo di tempo limitato e non utilizzati per scopi estranei al particolare illecito». Fin qui la voce dell’Istituzione. Ma c’è un altro aspetto da considerare. La mancanza di fiducia tra cittadini, come ci dice l’economista Silvano Toppi. «Quando un governo, per di più un governo che si auto definisce liberista – ricordo interventi di Tremonti, anche qui in Ticino, che andavano in questo senso – adotta tali misure di controllo e di sorveglianza nei confronti dei suoi cittadini, non solo è incoerente ma molto poco sicuro dell’efficacia dei suoi provvedimenti». Gli strumenti legislativi sono quelli dello «Scudo fiscale» per facilitare il rientro in Italia di capitali rifugiatisi in Svizzera. «Un altro pensiero che ho fatto spesso – continua Toppi – è che in Italia c’è un governo che ha istituzionalizzato la furbizia. Però la furbizia, alle volte, tende delle reti così sottili che si rompono da sole. In Italia si sono accorti che ci sono dei capitali in nero (mafia, evasione fiscale eccetera) nati in Italia e che trovano rifugio in Svizzera. La legge Tremonti dice che i capitali «espatriati» considerati nella sanatoria, sono quelli antecedenti all’agosto 2001. Quindi si vuole evitare che capitali sporchi italiani, vengano portati in Svizzera e con un gioco abbastanza semplice «legalizzarli». Questa potrebbe essere una giustificazione a misure tanto impopolari quanto simili a quelli già viste durante il ventennio fascista. Ma la spiegazione più ovvia, che viene alla mente, è l’insicurezza del governo italiano sull’efficacia delle sue strategie e la necessità di intensificare i controlli per rafforzarne la portata. Ma un provvedimento del genere, al di là degli intenti, ricorda in tutto e per tutto una scelta di uno Stato di polizia. E fa paura. «Certo che fa paura, – conclude l’economista Toppi – come la contraddizione che esiste tra l’esaltazione della liberalizzazione della circolazione dei capitali e quanto sta capitando.

Pubblicato il

01.03.2002 05:00
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