Il nostro futuro è deciso in segreto

In questi giorni si decide se in futuro i soliti privilegiati potranno arricchirsi per la nostra sete di acqua, di sapere, di salute, di sicurezza. A Cancun, in Messico, è infatti in corso fino a domenica la quinta conferenza dei ministri dell’Organizzazione mondiale del commercio (Omc, Wto nella sigla inglese). Vi partecipano i delegati dei 146 Paesi membri dell’Omc. Numerosi sono gli argomenti all’ordine del giorno, e tutti di fondamentale importanza per il futuro assetto economico, politico e sociale del pianeta. I dossier più controversi riguardano l’apertura dei mercati agricoli (molto sentita nel ceto contadino svizzero) e l’accesso ai medicamenti. Ma l’accordo che minaccia di avere le più pesanti ripercussioni anche nella nostra vita quotidiana è però il Gats (General Agreement on Trade Services, in italiano Accordo generale sul commercio dei servizi). E questo perché di fatto esso mira a togliere il controllo pubblico su tutta una serie di servizi fondamentali, minacciando la garanzia dell’accesso a beni primari come l’acqua, la scuola, la sanità e l’assistenza. Il Gats è stato firmato nel 1994 dai Paesi che diedero vita all’Omc, e dal 2000, come espressamente previsto dall’accordo stesso, sono in corso le trattative per la sua ulteriore estensione. Cancun è una tappa fondamentale in questo processo per riordinare i dossier e accelerare le trattative verso la loro conclusione, alla fine del 2004. Il Gats è un accordo che impegna i Paesi membri dell’Omc a mettere sul mercato internazionale tutti i servizi, compresi quelli essenziali. Mettere sul mercato significa togliere i monopoli pubblici e rendere accessibili ai privati, perché ne traggano profitto, la fornitura di beni finora sotto uno stretto controllo statale. In realtà non c’è nessun obbligo per gli Stati di liberalizzare tutti i settori, compresi quelli dei beni essenziali come l’acqua, l’elettricità, l’istruzione, la salute, le poste, l’assistenza e così via. Di fatto però tutti i Paesi membri dell’Omc fanno numerose e pressanti richieste di liberalizzazione agli altri Stati per permettere alle proprie imprese di accedere ai mercati stranieri; in cambio di ogni apertura ottenuta però essi devono concedere una liberalizzazione equivalente di un proprio mercato nazionale. L’obiettivo è che il Gats regoli tutti i tipi di servizi esistenti. Il problema del Gats sta soprattutto nella clausola di non-discriminazione, che è un principio fondamentale di tutta l’azione dell’Omc. In rapporto ai servizi, questo significa che, una volta aperto un mercato, lo Stato non potrà più privilegiare un fornitore rispetto ad un altro, sia esso pubblico o privato, nazionale o estero. Ciò comporta che i poteri pubblici non saranno più in grado di regolamentare la fornitura dei servizi, con la conseguenza che, soprattutto nei Paesi più poveri, quelli essenziali non saranno più garantiti a tutta la popolazione. Inoltre diventerà sempre più difficile un vero controllo democratico sulla fornitura dei servizi, che diventerebbero merci come le altre (disponibili dunque solo per chi può pagarle) e non più risposte a diritti umani fondamentali. Questo significa che, con ogni probabilità, le tariffe aumenteranno non appena i mercati saranno nelle mani di poche grandi imprese che si accorderanno sui prezzi. E la massimizzazione dei profitti avrà come corollario facilmente prevedibile massicci licenziamenti dei dipendenti dei servizi pubblici. Che le grandi imprese fornitrici di servizi siano interessate al Gats lo si spiega con l’ormai avanzata saturazione di prodotti dei grandi mercati dell’Occidente. Le imprese dunque da un lato si gettano nella speculazione finanziaria, dall’altro cercano alacremente nuovi mercati. Come i servizi: oggi delle 100 principali multinazionali del mondo, ben 64 operano anche in questo settore, e sono tutte occidentali o giapponesi. Con lo smantellamento del sistema dei servizi pubblici si apre per loro un nuovo, enorme mercato, che comprende praticamente tutto l’Occidente e almeno la classe media e alta del resto del mondo. La posta in gioco è enorme: il valore globale del commercio dei servizi nel 1999 era stimato intorno ai 1’340 miliardi di dollari, un terzo del commercio mondiale totale. Ma è una stima per difetto: secondo l’economista Susan George il mercato dell’istruzione vale duemila miliardi di dollari, quello della sanità circa 3 mila 500 miliardi di dollari all’anno. La privatizzazione dei servizi di base è ormai un fenomeno sempre più evidente in tutto il mondo. O si stanno applicando gli accordi già conclusi, oppure si preparano i mercati nazionali alle aperture che verosimilmente si imporranno loro al termine di questa tornata di trattative. Ma tutto si svolge in gran segreto: è solo stato grazie ad una fuga di notizie che si è saputo che l’Unione europea vuole chiedere a 29 Stati la liberalizzazione del mercato dell’acqua potabile. Il segreto, appunto: è quanto di primo acchito salta agli occhi non appena ci si interessa alle attività dell’Omc. Tutte le trattative sono riservate, secondo la “tradizione di confidenzialità” dell’Omc, per cui una partecipazione in qualche modo democratica al processo di formazione delle rispettive posizioni è escluso. Nemmeno in Svizzera si chiede l’opinione delle Organizzazioni non governative o dei sindacati. Per non parlare della totale assenza di un dibattito parlamentare sull’appartenenza all’Omc e sulle rivendicazioni o sulle concessioni che in quell’ambito il nostro Paese intenderebbe fare. E questo perché si ritiene che tutto ciò che ha a che fare con l’Omc sia politica estera, dunque di stretta competenza del governo. Con inevitabili conflitti: se il parlamento decide l’introduzione di una tassa ecologica, si è di fronte, secondo i criteri dell’Omc, ad una stortura artificiale del mercato che va eliminata. Oggi quindi non si sa con precisione che cosa la Svizzera chieda ad altri Paesi e che cosa gli altri Stati chiedano a noi. Ma sembra, ad esempio, che il Giappone abbia chiesto alla Svizzera l’apertura del sistema della formazione. E proprio la formazione è un settore delicato se si considera che la Svizzera, a differenza dell’Unione europea, ha rinunciato a togliere il servizio pubblico dal tavolo delle trattative del Gats, ciò che le impedirà di introdurre limitazioni all’apertura del mercato della formazione o di prevedere la possibilità di sovvenzioni a determinate scuole, che secondo l’Omc sarebbero degli ostacoli al commercio. Ciò significa che uno Stato estero potrebbe considerare in futuro contrari al Gats le leggi scolastiche cantonali. Certo, si assicura al Seco, il Segretariato di Stato per l’economia, la Svizzera vuole escludere la formazione obbligatoria da queste trattative. Ma per far questo dev’essere disposta a fare concessioni in altri settori: per esempio l’eliminazione dei rifiuti o la depurazione delle acque. Cosa ci riserverà Cancun, è impossibile da dire. Certo è che se la Svizzera dovesse fare troppe concessioni in ambito agricolo sarebbe lanciato un referendum da parte degli ambienti contadini. Un referendum che, se dovesse avere successo, rimetterebbe in gioco tutto il pacchetto di trattative, con reazioni inimmaginabili da parte di tutti gli altri Paesi. Perché gli accordi presi a Cancun dovranno essere accettati o rifiutati in blocco, un po’ come gli accordi bilaterali. Ed è per questo motivo che è praticamente impossibile tornare su liberalizzazioni già effettuate. Insomma, sarà solo il mal di pancia a dirci quanto avvelenato sarà stato il boccone che dovremo ingoiare a Cancun.

Pubblicato il

12.09.2003 03:00
Gianfranco Helbling
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