Il pentimento e il paradosso

Sentite questa: «Bisogna uscire dalla contabilità tradizionale che misura unicamente il capitale prodotto, che è lui stesso il risultato del rapporto fra tre grandi capitali che sono: il capitale umano (il nostro talento individuale) il capitale sociale (come sappiamo lavorare assieme), il capitale naturale (ciò che sostiene la vita sulla terra). Bisogna saper considerare e misurare tutti e tre questi capitali. Per farlo bisogna architettare una nuova contabilità, occorre un cambiamento dello statuto della società». Lo ha detto e declamato un “gran patron” svizzero dell’industria farmaceutica, André Hoffmann vicepresidente di Roche, Aggiungendo: «È importante che un’impresa, una industria, non sia più solamente valutata sulla massimizzazione del profitto; a mio modo di vedere, è una concezione inappropriata in un mondo finito, di cui conosciamo i limiti. Abbiamo bisogno di un modello nel quale si può continuare a creare valore senza distruggere i tre capitali naturale, sociale, umano». Prescindendo dalla terminologia (i tre capitali richiamano il congegno della vecchia meccanica) è una sorta di pentimento o di autodenuncia. Ce ne fosse almeno un poco negli ambienti economici o politici cantonali nel... rifare la contabilità. Che dovrebbe significare?


È tornata l’inflazione (aumento generalizzato dei prezzi). Se ne attribuisce la causa alle due crisi di questi tempi: la pandemia e l’Ucraina. È in parte vero (energia, grano, concimi). La dinamica inflazionista era però già in atto da tempo. Le due crisi citate l’hanno evidenziata e accentuata.
Il vero perno del problema sono i profitti, pure messo in evidenza e accentuato dalle due crisi che, con scandalo e ipocrisia, hanno accresciuto di molto profitti e ricchezze, come hanno dimostrato recenti dati.


E la dimostrazione è relativamente semplice: l’inflazione attuale non è dovuta a una domanda eccessiva che è stata anzi piuttosto timorosa e stagnante. Non è neppure dovuta a una accelerazione dei salari, determinata dal ritorno di un pieno impiego (anche se i salariati chiedono adeguamenti ma i datori di lavoro rispondono che sarebbe un suicidio economico e occupazionale per i maggiori costi e la minore competitività). Essa è invece dovuta alla capacità delle imprese di salvaguardare il livello dei propri profitti, mai calati e piuttosto cresciuti, sia con la compressione dei salari reali, sia con l’aumento dei prezzi, sia con il continuo e concesso ricorso a sgravi fiscali.

 

Un recentissimo studio americano, del quotato e ufficiale Economic Policy Institute, lo dimostra ed essendo prodotto conseguenza di un sistema (come ci dice Hoffmann) ha valore anche per noi, immersi nello stesso sistema: la crescita dei prezzi unitari negli ultimi due anni è imputabile nella misura del 53,9 per cento ai profitti e solo del 7,9 per cento ai salari.


Ciò porta a dire che siamo in una inflazione diversa da quelle gravi precedenti (anni 70-80). Ma che siamo anche nel bel mezzo del paradosso della nostra epoca (paradoxe of our age, conclude lo stesso studio). E cioè: l’organizzazione economica e sociale che doveva garantire prezzi bassi in cambio della cosiddetta “moderazione salariale” (per salvare la mitica competitività e l’occupazione)... conduce ai prezzi elevati (per salvare i profitti), senza la possibilità per i salari di adeguarvisi.
Così i redditi reali crollano, le economie domestiche faticano e si trovano con minori risorse, i poveri e gli straricchi aumentano contemporaneamente.

Pubblicato il

02.06.2022 09:51
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