Il precariato dai mille volti

Affrontato nelle sue molteplici sfaccettature, il precariato è stato il filo rosso che ha unito i due cortei che hanno sfilato per le vie di Lugano in occasione del primo maggio 2006. Nel corteo mattutino organizzato dall’Unione sindacale svizzera (Uss), il precariato è stato trattato dal punto di vista del rapporto lavorativo, affiancato dalle rivendicazioni del rialzo generalizzato dei salari e del raggiungimento della parità salariale tra uomo e donna. Del secondo corteo, promosso dal Coordinamento precari esistenziali (Cpe), la precarietà è stata analizzata e criticata nelle sue conseguenze globali nella vita quotidiana, andando oltre il concetto del rapporto di lavoro, quando essa condiziona l’esistenza stessa nei suoi aspetti globali. Nel primo corteo, aperto dallo striscione “Stop alla precarietà” il concetto era chiaro. Porre un freno all’attacco generalizzato ai diritti dei lavoratori tramite l’uso della precarietà, ossia l’incertezza di mantenere un rapporto lavorativo. Un’insicurezza che, secondo i sindacati organizzati nell’USS, genera in chi la subisce paura costante di perdere il lavoro e con esso la garanzia di stabilità di un’entrata finanziaria, negando la possibilità di potersi immaginare un futuro. In altre parole, di poter sognare. L’angoscia che si prova quando non sai se fra pochi giorni avrai ancora un mestiere, che ti garantisca un’entrata finanziaria che ti consenta di poter mantenere una vita sociale, di fare cose anche semplici in compagnia di amici o parenti, quali uscire a cena, di andare al cinema o quant’altro, dato che tutto costa. In definitiva, il rischio di essere emarginati. La certezza di avere un lavoro e di essere quindi riconosciuti socialmente, considerato il fatto che anche nella società odierna il lavoro ricopre un ruolo fondamentale nella valorizzazione da parte degli altri. Il tema della precarietà lavorativa è stato dunque affrontato dal corteo sindacale nelle sue svariate modalità che assume: il lavoro interinale, il lavoro su chiamata, i contratti a termine e nelle molteplici forme di lavoro definite atipiche. Ma la precarietà in ambito lavorativo la si trova anche sotto forma di paura di perdere il lavoro perché «troppo vecchi e troppo cari» come ci dice un muratore siciliano di 58 anni. Oppure di essere troppo giovani, quindi inesperti, e dunque dopo aver partecipato a molteplici offerte di lavoro, sentirsi sempre dire di no. «Quando ti chiamano per un colloquio, se ci arrivi, ti dicono che purtroppo le tue esperienze non sono sufficienti. Pretendono che a venticinque anni tu sappia parlare correntemente 3 lingue e che tu abbia almeno 5 anni di esperienza nel settore», ci racconta un giovane laureato in storia «e allora – continua il nostro interlocutore – tra un periodo di disoccupazione, un programma occupazionale e dei lavori saltuari tramite agenzie interinali, ti ritrovi ad accettare tutto ciò che passa il convento. E a subire sul posto di lavoro». Sì, perché il lavoro procurato tramite le agenzie interinali, «gli schiavisti del nuovo millennio» come li ha definiti il muratore siciliano, creano inevitabilmente tensioni sui posti di lavoro, minando l’unità dei lavoratori. I lavoratori interinali infatti, denunciano i sindacati, sono più ricattabili e quindi spinti a rinunciare ai propri diritti, entrando in conflitto e competizione con i lavoratori fissi. Rinunciando ad esempio al diritto del pagamento degli straordinari, lavorando in condizioni di sicurezza non garantite, oppure a ritmi forsennati con la speranza di venir poi finalmente assunti o almeno di mantenere aperta la possibilità che l’agenzia interinale ti chiami ancora quando il lavoro per il quale sei lì in quella occasione sta per terminare. La seconda importante rivendicazione sindacale per il primo di maggio 2006 è il rialzo generalizzato delle paghe. Un aumento dei salari per restituire ai lavoratori un dignitoso potere d’acquisto, ossia quanto rimane in tasca del salario una volta fatte le deduzioni fiscali e i costi fissi come affitto, cassa malati, le assicurazioni e così via. In questi ultimi anni, sostengono i sindacati, si è assistito ad un aumento considerevole della produttività dei lavoratori. Eppure i soldi che restano in tasca sono sempre meno. Te lo confermano tutti gli operai presenti al corteo: «Dieci, quindici anni fa potevo risparmiare qualcosa alla fine di ogni mese. Ora è già tanto se ci arrivo alla fine del mese». Un aumento dei salari per ridistribuire la ricchezza prodotta e riparare all’iniquità dei salari dei supermanager che sono un vero schiaffo a fronte delle misere paghe di tanti categorie di lavoratori, come ricorda nel suo intervento dal palco il presidente dell’Unione Sindacale Svizzera sezione Ticino, Werner Carobbio. “Un’etica ed una morale pretesa dall’economia, in special modo dalla piazza luganese, motore economico del Cantone, che deve assumersi le sue responsabilità sociali” ha in seguito precisato Saverio Lurati, segretario regionale di Unia Ticino. Ma un aumento dei salari che passi anche, e soprattutto, attraverso il riconoscimento della stessa retribuzione tra uomo e donna per lo stesso mestiere. “Parità salariale ora!” è lo striscione portato da un gruppo di donne durante il corteo sindacale ed è la rivendicazione sostenuta nel suo intervento da Nadia Pittà, segretaria cantonale della Vpod. Queste dunque le tre principali rivendicazioni che hanno spinto mezzo migliaio di persone a partecipare al corteo sindacale, conclusosi in Piazza Manzoni, dove un pranzo offerto ha permesso di trascorrere in compagnia del tempo piacevole, tra persone amiche con le quali si ha la sensazione di condividere uguali valori e simili problemi. Ma subito dopo il pranzo, mentre i funzionari e i militanti sindacali smontavano panchine e tavoli, iniziava la seconda parte di questo intenso primo maggio luganese. Introdotto da una rappresentazione teatrale, “Abbiamo piume azzurre e velenose” dei Giullari di Gulliver, nel quale viene efficacemente rappresentato il dramma esistenziale della precarietà, costituisce il filo rosso tra il corteo sindacale e la manifestazione pomeridiana del Coordinamento precari esistenziali (Cpe). Composto da numerosi gruppi organizzati e singoli individui, dal centro sociale autogestito il Molino, ai collettivi anarchici, al Partito del Lavoro, agli ecologisti, al Sindacato indipendente studenti e apprendisti, a Lokarno Autogestita, ai gruppi di solidarietà con gli immigrati e da tante persone che semplicemente ne condividono l’iniziativa. Il Cpe si è prefisso di analizzare e criticare la precarietà nelle sue forme esistenziali, che passano dall’educazione (il sapere), dal percepire (controllo e disinformazione), dall’ambito lavorativo (il fare), dal potere (con le guerre e il nuovo ordine mondiale), dal consumismo (avere), dalla precarietà ambientale (stare) e dalla condizione di migrante (andare). Per portare in strada la critica alla precarietà nella sua complessità, il Cpe ha scelto un corteo gioioso e musicale nella forma di una street parade, ossia con dei carri che sparano musica ognuno diversa ad alto volume mentre le persone che vi partecipano ballano. Un corteo in gran parte composto da giovani, ma nel quale non disdegnano parteciparvi anche persone più mature. C’è chi si riconosce nella precarietà, come una attivista bellinzonese impegnata nella difesa dei diritti dei senza voce, la quale ci risponde che per poter sopravvivere nella precarietà «s’impara l’arte di arrangiarsi. In fondo si può dire che si diventa artisti». C’è anche chi manifesta in questo corteo per solidarietà, come il deputato del Pdl al Gran Consiglio Fausto “Gerri” Beretta Piccoli, che confessa: «di non essere mai stato precario, ma sono qui perché voglio che nessuno lo diventi. È una condizione terribile quella della precarietà». Ci sono gli studenti, preoccupati della privatizzazione in atto nel campo dell’educazione, dove il sapere viene sottomesso alle necessità di mercato e profitto. Ci sono i collettivi anarchici, preoccupati delle svariate forme di controllo e repressione sociale che si sviluppano sempre più in questi tempi, che vengono giustificate con il clima di guerra e terrore che si respira oggigiorno. Ci sono i militanti del Partito del lavoro, che sfilano indossando una tuta con cappuccio rosso, quasi mascherati. Sulla loro schiena vi è riportata una frase: “Sono stufo di non mostrarmi per aver paura di perdere il lavoro”. Il motivo è presto detto: «Un compagno non ha potuto entrare nel comitato del partito, perché il suo datore di lavoro lo ha minacciato che se lo avesse fatto, lo avrebbe licenziato». Mentre il corteo prosegue, festoso e gioioso, fermandosi in alcuni luoghi scelti dagli organizzatori in quanto considerati simboli di una politica generatrice di precarietà quali il Casinò o l’Università, diverse persone ballano dietro ad un carro animato da un gruppo di ragazzi che organizza eventi musicali goa, al di fuori dei circuiti commerciali, rifiutando la logica del consumismo del divertimento. Ci sono personalità impegnate nella salvaguardia e il rispetto dell’ambiente tramite movimenti o organizzazioni ecologiste, felici di trovarsi in questa moltitudine che sfila per le strade della capitale finanziaria cantonale. Infine c’è chi manifesta per ricordare la precarietà data dalla condizione di migrante, magari dettata dall’incertezza quotidiana del non sapere se si potrà rimanere in questo paese per trovare finalmente pace e sicurezza. Immancabili al primo maggio i curdi, per i quali il significato di precarietà è soprattutto identitario, dovuto alla negazione del diritto di essere riconosciuti in quanto popolo. Tutto questo e molto altro, impossibile da riassumere in queste righe, ha cercato di trasmettere il colorato e vivace corteo del Cpe per questo primo maggio. Ma un sentimento, condiviso da molti, ha spinto oltre mezzo migliaio di persone a partecipare alla manifestazione del Cpe, ed è riassumibile in quanto ci ha detto un giovane locarnese: «perché odio il sistema e amo stare con i compagni. E per continuare a sognare».

Pubblicato il

05.05.2006 01:00
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