La mano invisibile

Il passeggero clandestino è colui che non ha pagato il biglietto. È diventato un fenomeno di studio per economisti, sociologi, politici. Sotto l’espressione, immancabilmente inglese, di free rider (“cavaliere solo”). Si tratta di un individuo che, in un gruppo, beneficia di un servizio, di un bene, di un guadagno, senza assumerne oneri e costo. Un approfittatore, insomma, il cui comportamento abusivo è ritenuto un problema per la stessa teoria economica. Infatti, il free rider contraddice l’asserzione secondo la quale è perseguendo il proprio interesse che l’individuo realizza quello della collettività. Economisti e sociologi fanno anche emergere una sorta di paradosso. Supponiamo che un movimento sociale si mobiliti per ridurre una tassa sul consumo: i maggiori vincenti saranno coloro che  non si sono scomodati, ma che alla fine beneficeranno della riduzione. Ecco il paradosso: se troppa gente ha fatto questo calcolo, il movimento fallirà, non ci sarà riduzione, non ci sarà niente da spartire.


Si dirà che l’ho presa alla larga. Ma non è così. Dapprima, perché i passeggeri clandestini sono un mal costume, abbondano (tanto in economia, quanto in politica) e sono di solito quelli che più si lamentano con chi si è impegnato. Poi, perché trovo l’approccio inevitabile dopo aver letto alcuni dati e osservazioni in “Economie suisse” (l’organo della Segreteria di stato dell’economia, Seco). Non ho la lente del sindacalista, che potrebbe essere diversa e più precisa; leggo e interpreto da economista o sociologo.


In Svizzera i Contratti collettivi di lavoro (Ccl) sono parte di una lunga tradizione e sono iscritti nel Codice delle obbligazioni dal 1911. Sono la nervatura del mercato del lavoro, il risultato di una trattativa (spesso lunga, faticosa, dispendiosa) tra i partner sociali: imprenditori-lavoratori, associazioni padronali e sindacati. Si rileva, in modo particolare, che i salari minimi sono abitualmente fissati dai partner sociali nel quadro delle convenzioni collettive di lavoro.

 

Che le convenzioni collettive sono sottoposte a grosse sfide con la terziarizzazione a detrimento del settore industriale, la mondializzazione, l’informatica, la moltiplicazione di forme atipiche di lavoro, il calo del tasso di sindacalizzazione. Nel 2018 se ne contavano 581, di cui 566 contenevano disposizioni “normative” come le prescrizioni salariali relative al salario minimo. Un’inchiesta dell’Ufficio federale di statistica  dice che ci sono attualmente meno Ccl che negli anni 90; tuttavia questi accordi regolano le condizioni salariali e di lavoro di un numero comparativamente più elevato di lavoratori che non nel passato.


Ciò che si fa però notare in modo particolare è che il tasso di copertura dei Ccl è superiore al tasso di sindacalizzazione. Questo tasso, definito “eccedentario”, è di circa il 35 per cento, due volte più elevato della media dei paesi dell’Ocse (paesi industriali, avanzati ecc.). Quanto a dire, insomma, in termini concreti, che se partner fondamentale per la trattativa di un contratto collettivo, con tutti gli innegabili benefici che comporta per il singolo lavoratore, è il sindacato, con il suo impegno e servizio, ma  il sindacato lo ignori, sei un passeggero clandestino. Tanto più se un Ccl può essere dichiarato, com’è possibile, ma su richiesta degli stessi partner sociali, di forza obbligatoria dalle autorità federali o cantonali per tutto un ramo economico (e più della metà dei salariati coperti da un Ccl sono oggi sottoposti a un cosiddetto Ccl esteso).

Pubblicato il 

26.08.21
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