Il reportage

Una marcia per la giustizia climatica durata tre giorni, partita dal fondovalle a Landquart con arrivo a Davos dove si teneva il World economic forum. area ha accompagnato i partecipanti nell’ultima tappa, da Klosters, per conoscere che cosa li abbia spinti a intraprenderla.

 

Giovane, ambientalista, anticapitalista e particolarmente determinata. È il sommario identikit della manifestante che ha intrapreso la marcia per la giustizia climatica da Landquart al World economic Forum di Davos. Tre giorni di marcia per un totale di circa cinquanta chilometri nei sentieri innevati a temperature piuttosto freddine, partendo dai 529 metri di altitudine di Landquart per raggiungere la quota 1.560 di Davos. Determinata devi esserlo per forza se ambivi a riuscirci. Circa seicento persone ce l’hanno fatta. Un gruppo ha raggiunto Davos persino con le pelli di foca. VIDEO


Dal profilo logistico, l’organizzazione della marcia è stata perfetta, si evince dai resoconti dei giornalisti che li hanno seguiti lungo tutto il percorso.
All’arrivo delle due prime tappe, i manifestanti hanno trovato ad accoglierli dei pasti caldi preparati da volontari e comodi letti nei dormitori collettivi nelle palestre messe a disposizione dai Comuni. Le spese sono state coperte con un crowdfunding. Lungo il percorso, la popolazione locale ha sostenuto i manifestanti in vari modi. C’è chi li ha invitati a bere tè caldo nelle loro case o ristoranti, o chi li ha incoraggiati dai balconi o dalle finestre al loro passaggio. Nel tratto percorso insieme, siamo stati testimoni dei ripetuti fischi d’incoraggiamento suonati dai macchinisti dei leggendari trenini rossi della Ferrovia Retica o dai clacson degli autopostali.


«Lottiamo per i vostri figli» cantavano i giovani manifestanti agli impassibili agenti abbigliati in robocop-style, guardiani del traffico delle vetture dai vetri oscurati dei vip. Salvo qualche capello grigio in ottima forma fisica, ad aver intrapreso la marcia sono stati in gran parte dei giovani, femmine e maschi in egual misura. All’organizzazione promotrice “StrikeWef” (colpisci il Wef), hanno aderito una moltitudine di gruppi svizzeri ed europei, tra i quali anche il sindacato Unia. La parte del leone l’han fatta i comitati cantonali che negli ultimi mesi hanno riempito le piazze affinché alla lotta al cambiamento climatico sia impressa una rapida svolta.


«La nostra casa brucia. Non c’è più tempo, occorre agire» aveva riassunto dal palco del Wef la giovane attivista svedese Greta Thunberg, il cui esempio di attivismo ha ispirato la presa di coscienza e la mobilitazione di milioni di adolescenti in tutto il globo. Come Giulia e Anna, membri del movimento Friday for future Italia. «Siamo organizzate a livello nazionale, ma agiamo localmente. Nella nostra lista web, abbiamo girato l’informazione di questa incredibile marcia, chiedendo se qualcuno volesse parteciparvi. Ed eccoci qui, in una decina» spiega la sedicenne Giulia.
Sono arrivate da Brescia, Torino, Rimini, Toscana, Bologna e perfino Sardegna. Tre giorni di camminata al freddo e nella neve, lo avevi mai fatto? «A dir la verità, di neve ne avevo vista molto poca nella mia vita. Mi son detta che fosse un’ottima occasione per approfondire il tema» spiega sorridendo la sarda Anna, mentre camminiamo lungo il laghetto da cui s’iniziano a intravedere i primi edifici di Davos.


Ma il serpentone in marcia è una sorta di fusion tra movimenti ambientalisti e gruppi della sinistra radicale. Oltre alla questione climatica, la critica al sistema capitalista è l’altra motivazione principale che ha spinto questi giovani a camminare nel freddo per tre giorni.


I suoi partecipanti non chiedono solo di agire con urgenza per lottare contro il cambiamento climatico, ma rivendicano il cambiamento del sistema economico. Per certi versi, sono gli eredi del movimento altermondialista che originariamente portò la protesta contro il Wef di Davos. Non è un caso che il volto simbolo della protesta 2020 sia la Mafalda irriverente, proprio come lo fu nelle proteste di una ventina di anni fa.


Con qualche mese di anticipo sulla nascita mediatica del “popolo di Seattle” (o no-global), nel gennaio del 1999 fu organizzata la prima protesta di una certa consistenza dal movimento altermondialista contro il vertice economico mondiale, a cui parteciparono alcune centinaia di attivisti della sinistra radicale della scena svizzera. Gli anni seguenti fu un crescendo di partecipazione al movimento di contestazione, poi affievolitosi negli anni in seguito all’impossibilità di raggiungere la località grigionese, all’accresciuta repressione delle forze dell’ordine a cui va aggiunto il ripetersi dei “rituali” scontri manifestanti-poliziotti, mentre la riunione dell’economia mondiale proseguiva indisturbata.


Apparentemente sottotraccia, la critica è sopravvissuta lungo questi decenni e oggi torna a manifestarsi nella composizione della contestazione anno 2020. I temi della lotta alle diseguaglianze sociali e l’urgenza climatica si contaminano vicendevolmente, le relazioni personali e collettive si consolidano, diventando una cosa sola.


Se siamo agli albori di una ripresa delle contestazioni globali a ciò che il Wef rappresenta, lo sapremo solo nel prossimo futuro, alla 51esima edizione del simposio di Davos.


Nel frattempo, il movimento non si arresta. La rete di StrikeWef ha già lanciato il prossimo appuntamento all’Aia (Olanda), dal 16 al 19 maggio, giorni nei quali è prevista l’assemblea degli azionisti del gruppo petrolifero Shell. «Stiamo costruendo un grande movimento per smantellare la Shell, con ogni mezzo politico, legale ed economico necessario e questa azione di massa ne fa parte. Chiediamo una transizione giusta per i lavoratori; delle riparazioni per le comunità e gli ecosistemi colpiti e una democrazia energetica decentralizzata e socializzata per tutti», si legge nella pagina dei promotori (code-rood.org) rilanciata da StrikeWef.

Pubblicato il 

30.01.20