In attesa di un nuovo processo, Casale ricorda le sue vittime dell'amianto

Al via le udienze per stabilire se Schmidheiny va processato per omicidio

Martedì prossimo 12 maggio 2015 si terrà al Tribunale di Torino la prima delle udienze preliminari per stabilire se il miliardario svizzero Stephan Schmid­heiny dovrà essere rinviato a giudizio e dunque processato per il reato di omicidio aggravato volontario, così come ipotizza la Procura torinese in relazione alla morte di 258 persone, vittime delle polveri di amianto disperse negli ambienti di lavoro e di vita dagli stabilimenti italiani della multinazionale Eternit, di cui è stato massimo dirigente tra la metà degli anni Settanta e la metà degli anni Ottanta.

 

Questo a pochi mesi dalla sentenza-beffa della Cassazione, che lo scorso 19 novembre ha annullato la condanna di Schmid­heiny per disastro ambientale in quanto il reato è stato ritenuto prescritto. In sostanza, secondo l’interpretazione dei giudici dell’alta corte, il magnate svizzero avrebbe smesso di delinquere con la chiusura delle fabbriche nel 1986.
Da allora sono trascorsi quasi trent’anni, ma a Casale Monferrato (città in provincia di Alessandria dove aveva sede lo stabilimento più grande) i cittadini continuano a fare i conti e a pagare un prezzo altissimo per quell’attività industriale e per le tonnellate di amianto smaltito e abbandonato nell’ambiente. Qui si è ancora alle prese con un difficile e costoso lavoro di bonifica e ci si continua ad ammalare e si muore di mesotelioma (il tipico cancro da amianto): in media in questa località di soli 36.000 abitanti si registrano una nuova diagnosi e un decesso alla settimana! Basta del resto osservare i manifesti funebri affissi sui muri per farsi un’idea del numero di caduti: gli ultimi due avevano poco più di 40 anni.


Qui l’amianto continua a colpire sia gli ex operai dell’Eternit (ormai quasi tutti morti) sia tanti cittadini comuni di tutte le generazioni, condannati a respirare le micidiali fibre per il semplice fatto di essere nati o di aver vissuto a Casale, non a caso ribattezzata con l’epiteto di "Martire”.


Ma Casale è al tempo stesso anche una delle città più deamiantizzate d’Europa, una realtà in cui sin dagli anni Settanta sono state condotte battaglie sindacali in difesa della salute dei lavoratori e dei cittadini senza eguali, una comunità di gente che non si stanca di lottare e che non si piega di fronte al dolore e alle ingiustizie.
È con questo spirito che lo scorso 28 aprile è stata celebrata la Giornata mondiale delle vittime dell’amianto, forse una delle più difficili degli ultimi anni dopo la già citata sentenza della Cassazione, che oltre alla condanna di Schmidheiny ha cancellato anche tutti risarcimenti alle vittime e ai loro famigliari che erano stati decisi dalle istanze inferiori. Una sentenza che ha posto fine a un capitolo giudiziario della vicenda Eternit, ma non alle battaglie per una giustizia giusta, per la ricerca di cure sempre più efficaci contro la malattia e per la bonifica del territorio.


Sono stati proprio questi i temi al centro delle celebrazioni, che quest’anno hanno visto una massiccia partecipazione degli allievi degli istituti scolastici cittadini (uniti nella rete Scuole Insieme), che si sono potuti confrontare con figure di primo piano che operano sui fronti della medicina, della ricerca e della giustizia.
Particolarmente toccante è stata per esempio la relazione della dottoressa Daniela De Giovanni, oncologa, specialista in cure palliative, che si occupa di mesotelioma sin dai primi anni Settanta, cioè da quando «esso è diventato il tumore di questa città». «La prima cosa da tenere in considerazione – ha spiegato a un’aula magna gremita di giovanissimi – è che in una persona malata, oltre all’organo, si ammalano anche l’anima e la testa». Di qui la necessità di «prendere in cura» il paziente, che significa «molto di più di curare». Significa «ascoltarlo, accompagnarlo durante tutto il percorso della malattia, mai lasciarlo solo, dirgli la verità e fornirgli tutte le informazioni che desidera ricevere».


Da questo punto di vista il servizio medico-ospedaliero di Casale è sicuramente all’avanguardia, ma deve purtroppo continuare a fare i conti con la mancanza di farmaci efficaci: «Una diagnosi precoce del mesotelioma resta difficile ed esso è molto resistente alle terapie anti-tumorali convenzionali», ha spiegato il dottor Maurizio D’Incalci, ricercatore presso l’Istituto di farmacologia Mario Negri di Milano, dicendosi tuttavia «ottimista alla luce di alcuni importanti risultati ottenuti dalla ricerca negli ultimi anni».


L’altro grande evento della giornata è stato dedicato al tema della giustizia, in particolare all’analisi della recente sentenza della Cassazione e al nuovo processo che potrebbe presto aprirsi a Torino se il giudice dell’udienza preliminare (gup) accoglierà la richiesta di rinvio a giudizio formulata dal sostituto procuratore Raffaele Guariniello.
A parlare agli studenti c’era l’ex capo della Procura di Torino, ora in pensione, Giancarlo Caselli, che ha commentato in modo severo il giudizio della Cassazione: essa «ha sempre ragione» ma solo «per convenzione», ha detto. «Alla Cassazione – ha aggiunto ricordando le «tre ore di lettura del dispositivo della sentenza di primo grado con i nomi di tutte le vittime, testimonianza diretta dell’enormità della tragedia» – «è mancato completamente il contatto con la realtà. È stata una decisione burocratico-formalista, presa in vitro, in laboratorio». E ancora, citando l’ex magistrato Vladimiro Zagrebelsky: «La Cassazione non ha saputo affermare un diritto che non oltraggi la giustizia».


«Il diritto non è la matematica. Il momento di consumazione del reato non è per forza quello indicato dalla Cassazione», gli ha fatto eco il professor Davide Petrini – docente di diritto penale all’università di Torino e legale di parte civile nel processo Eternit – spiegando come non sia stato dato «il giusto valore al fatto che l’amianto è ancora presente nell’ambiente e nel sottosuolo di Casale e che per questo motivo si continua a morire». Petrini ha anche confermato che il collegio degli avvocati delle vittime sta valutando l’ipotesi di inoltrare un ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo per contestare la legislazione italiana in materia di prescrizione, che come massimo risultato potrebbe ottenere una condanna dell’Italia. Il processo Eternit in sé è morto e sepolto, così come i risarcimenti e come le vittime dell’amianto.

Pubblicato il

06.05.2015 21:28
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