In carcere

L’inchiesta del procuratore pubblico Mario Branda sulla morte nelle carceri pretoriali di Bellinzona del minorenne nigeriano Anthony s’è chiusa con la conferma della tesi del suicidio. Non c’è motivo per dubitarne. Tuttavia quella tragica morte deve almeno servire a mantenere vivo il dibattito sulla questione carceraria, che in Ticino si tende a ridurre a problema di strutture. Ma non solo di strutture (certamente inadeguate) si tratta. Il problema è culturale, e investe la magistratura, la polizia e la classe politica non meno che i cittadini. Proprio il caso di Anthony lo dimostra in diversi modi: • Chi decide l’arresto preventivo e chi lo convalida deve, fra i presupposti, valutare se la privazione della libertà sia proporzionale alle esigenze d’inchiesta. Una questione che evidentemente né la magistrata dei minorenni né il Giudice dell’istruzione e dell’arresto (Giar) si sono posti nel caso di Anthony: perché incarcerare per piccolo spaccio per più giorni sottoterra senza ora d’aria un minorenne è manifestamente sproporzionato, dunque illegale. • Nel suo comunicato Branda rileva che ad Anthony era stato nominato un difensore d’ufficio con colloqui liberi dal primo istante della carcerazione. Anthony certamente beneficiava del gratuito patrocinio. Il problema è che agli avvocati di persone in carcerazione preventiva con gratuito patrocinio lo Stato per risparmiare riconosce sempre meno prestazioni, col pretesto che si tratterebbe per lo più d’interventi a carattere sociale non strettamente necessari alla difesa penale. Ma, al di là di pur bravi agenti di custodia, l’avvocato è l’unica persona di fiducia che chi è in carcere preventivo può incontrare. Si può quindi intuire quanto importanti siano per un giovane africano incarcerato i colloqui con l’avvocato. Contargli i minuti aiuterà a risparmiare, ma non aiuta a vivere. • Il presidente dei Giar, che di mestiere valuta la proporzionalità dell’arresto anche in riferimento alle condizioni di carcerazione e che prima di assumere questa funzione è stato per anni procuratore pubblico, ha ammesso in un’intervista che non sapeva che chi è in carcere nelle celle pretoriali non beneficia nemmeno dell’ora d’aria. Se non ci fosse di mezzo un morto verrebbe da ridere. Trent’anni fa teneva banco a sinistra il dibattito sulle istituzioni totali. Oggi quasi tutto tace. Forse si pensava che la società fosse evoluta al punto tale che tutti i problemi si risolvessero quasi da sé. Evidentemente non è stato il caso. La questione carceraria è tornata ad essere un problema acuto. Chi ha a cuore i diritti di cittadinanza deve tornare ad occuparsene.

Pubblicato il

12.11.2004 03:30
Gianfranco Helbling
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