In ogni guerra al fronte vi sono i proletari

“Dal momento che il flagello non è a misura dell’uomo, pensiamo che sia irreale, soltanto un brutto sogno che passerà. Invece non sempre il flagello passa e, di brutto sogno in brutto sogno, sono gli uomini a passare, e in primo luogo gli umanisti che non hanno preso alcuna precauzione”
Albert Camus, La Peste, 1947


Fra il 1918 e il 1920 l’“epidemia spagnola” causò dai 50 ai 100 milioni di morti su una popolazione mondiale di circa 2 miliardi di persone.
Non vi sono certezze rispetto alle origini di questo micidiale virus, ma la storiografia concorda nel definire quella che fu la tragedia della Grande guerra come una delle principali cause di diffusione. I malati, stipati nelle trincee come carne da cannone o ammassati negli ospedali da campo, non potevano di certo sottostare a un regime di quarantena.


L’orrore di un immenso conflitto industrializzato continuò a mietere vittime anche dopo che furono sparati gli ultimi colpi di cannone, mostrando al mondo l’inconsistenza di quella Union sacrée messa in atto dai padroni.
Di Union sacrée aveva parlato il presidente della Repubblica francese nell’agosto del 1914. Sindacati, socialisti, impresari, padroni e popolazione: tutto il mondo avrebbe dovuto unirsi nello sforzo di guerra. A morire al fronte però, come in tutte le guerre, sarebbero stati i proletari.


Nel marzo del 2020 hanno ragione i vari Berset, Federer e Rigozzi quando ci dicono di stare in casa, non vi è nulla di meglio per contenere una pandemia. Non tutti però si accorgono che in gran parte del paese un operaio restare a casa non può ancora.


Un lavoratore interinale su un cantiere può scegliere fra il rischio di infettare la madre uscendo di casa e il rischio di non poter riuscire a pagare l’affitto restandoci.


Perché senza ordine di chiusura da parte del governo, le assicurazioni sociali sono precluse.
Dobbiamo unirci contro il virus, ricreare una sacra unione trasversale alle classi che raggruppi tutta la popolazione, rispolverare il lessico bellico e rendere omaggio ai lavoratori al fronte. Certo. Però ieri come oggi al fronte ci sono i proletari, e quando il presidente della più grande associazione padronale dell’industria in Svizzera (lui sì che #staacasa!) si auspica che il Ticino «torni in sé» e rinunci alle chiusure delle imprese non essenziali, andrebbe comunque processato per esposizione a pericolo della vita altrui.
Quello che per anni è stato semplicemente lo slogan di innumerevoli movimenti sociali diventa oggi un principio concreto che le autorità federali dovranno capire prima di cominciare a suddividere i pazienti in cure intensive di fronte al numero di respiratori disponibili: le nostre vite valgono più dei vostri profitti. Prima, non dopo. Dopo sarà troppo tardi.
Questo “flagello” non è un brutto sogno e non passerà da solo.


Oggi applaudiamo il personale sanitario, della vendita e dei trasporti, i volontari comunali e tutti quelli che combattono contro la pandemia. Oggi, come disse Argala, dobbiamo dare tutti un poco affinché pochi non debbano dare tutto. Domani... domani dovremo chiedere i conti.

Pubblicato il

26.03.2020 16:13
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