Il declino trentennale dell'Italia ha molte cause, ma una è più importante: la servitù dell'informazione. Il Paese è come un miope così forte che non riesce a trovare gli occhiali. Senza vista tutto diventa più difficile. A dircelo è la Casa della libertà, quella vera: freedomhouse.org. Creata nel 1941 dai coniugi Roosvelt e finanziata dai maggiori nomi capitalismo statunitense, la Casa della libertà è la referenza internazionale sullo stato delle libertà civili. Il suo rapporto  Libertà della stampa classifica l'Italia del 2005 come paese "semi-libero",  al 79° posto nel mondo, dietro a Bulgaria e Mongolia. «La libertà dei media – scrive la Casa della libertà – è limitata dalla perdurante concentrazione del potere mediatico nelle mani del primo ministro Silvio Berlusconi, che controlla il 90 per cento dei media televisivi sia attraverso le sue aziende private sia con il suo potere politico sulle reti della televisione statale». Chi deve ricchezza e potere a questa situazione nega che il problema esista. È grottesco però che giornalisti apparentemente equidistanti ripetano che non esiste strapotere mediatico e che anche se c'è non conta. Prodi ha vinto due volte su quattro – dicono – e la lega padana si è affermata senza potere mediatico. Il che è come dire che un carcere da cui alcuni evadono è un tempio della libertà.
Secondo la media dei dieci principali indici di sviluppo l'Italia era nel 2005 46a nel mondo. Era però 18a per reddito e 79a per libertà di stampa. È il ritratto degli ultimi 40 anni: tanti consumi, poca consapevolezza. Gran parte degli italiani si possono paragonare a bambini alla guida di una Ferrari: hanno troppi mezzi per fare danni rispetto alla loro consapevolezza e al loro senso di responsabilità. Non stupisce che nell'indice di sostenibilità ambientale l'Italia sia 69a.
Tradotto in immagine, quel 79° posto per la libertà di stampa è una macchietta che forse solo Pasolini avrebbe potuto inventare per un film surreale: un vecchio di 72 anni in camicia scura, il pubblicitario più ricco del mondo, che con barzellette e insulti ai nemici e a metà del Paese aizza una piccola folla in una piccola piazza. Eppure viene trasmesso ogni giorno per settimane sulle sette reti nazionali. L'immagine riassume i due prodotti peggiori dell'Italia degli ultimi cento anni: l'autoritarismo in camicia nera e la pubblicità totalitaria. Un'industria pubblicitaria che domina ogni momento della vita: le città, i paesaggi, i cibi, i giochi e i vestiti dei ragazzi, tutti gli sport, tutti i mezzi di comunicazione, il parlamento, il governo. Perfino le previsioni del tempo sono fatte "con il prosciutto A", il segnale orario "con il formaggio B", mentre i telegiornali sono spostati dall'ora esatta, per lasciar posto agli spot che, durante la cena, spiegano come pulire un water o come non macchiare le mutande. Anche i due monologhi della più importante trasmissione elettorale riassumono quel 79° posto dell'Italia. Il candidato più debole ha dovuto recarsi nella proprietà del candidato più forte, essere in balia delle sue regole e dei suoi dipendenti e parlare per primo. Per ogni minuto  che l'ospite parlava, il padrone di casa guadagnava denaro. I due intervalli pubblicitari hanno interrotto l'ospite per 4 minuti e l'ospitante per un minuto e mezzo: per ogni minuto di pubblicità il primo perdeva telespettatori, il secondo guadagnava soldi. Il padrone di casa si è sottratto a un confronto leale con l'ospite, come invece avviene nei Paesi liberali. Ha parlato per secondo e per ultimo, potendo così criticare e smontare (e in parte denigrare) le tesi dell'ospite, senza che questo potesse fare lo stesso con le sue. Ha promesso rigore contro la criminalità e ha esaltato come "eroe" un suo stretto collaboratore, condannato per pluriomicidio, lesioni, estorsione e traffico di stupefacenti senza che nessuno potesse replicare. Ha affermato il falso e promesso a sorpresa nuove abolizioni di tasse senza che il suo dipendente o l'ospite potessero replicare. Infine, al di fuori del tempo che gli spettava e contro ogni regola, è tornato sul proprio palcoscenico, ha interrotto il suo dipendente e su un grande pannello con i simboli di tutti i partiti ha sfiorato quello dell'ospite dicendo che facendo una croce così il voto sarebbe stato nullo.
Si sa, nei Paesi industriali, il potere più forte è quello delle grandi aziende, mentre il più debole è quello dei governi e dei parlamenti che cercano, ove vogliano, di civilizzare il potere più forte. Solo in Italia i due poteri invece di bilanciarsi si concentrano nelle mani di decine di uomini pagati dalla stessa mano per remare sulla stessa barca. La seconda anomalia italiana è che da decenni la quasi totalità dei giornali non serve i lettori ma i loro proprietari, vale a dire industrie che non c'entrano con l'editoria. A questo dominio dell'industria come padrona si aggiunge il suo dominio come inserzionista. La maggioranza dei giornalisti sa di essere al guinzaglio pubblicitario: per non essere strozzati, non bisogna mordere la mano del padrone, ma leccarla.
Per recuperare due decenni perduti servono programmi educativi, industriali, energetici ed ecologici per i prossimi cinquantanni e la capacità di guardare avanti.  L'Italia invece sarà governata guardando a 900, 90 e 50 anni fa: un medioevo incarnato da crociati e guerrieri padani che si radunano con armature, scudi e spade sguainate; un ventennio nero italiano rimpianto da un industriale e neosenatore fiero di dirsi fascista e da due vecchie e nuove Onorevoli che hanno battibeccato sui giornali su chi delle due sia più in contatto con Benito Mussolini nell'aldilà e meglio capace di portarne al governo l'eredità politica. Il tutto nel nome della "libertà". Infine, la ricetta meno antiquata del prossimo governo è quella degli anni '60: più pubblicità, più consumi, più produzione, più lavoro, più felicità. È con queste tre visioni che hanno promesso al Paese: "Rialzati Italia!".

Pubblicato il 

25.04.08

Edizione cartacea

Nessun articolo correlato