L’economia non può essere solo capitale

Appaiono alle volte nell’economia (intesa in senso lato) delle coincidenze che sono anche contraddizioni. Emergono allora due considerazioni: l’economia è denaro ma non può essere solo denaro; le cifre che ci si offrono saranno reali e sincere ma bisogna anche farle parlare. Diamo due esempi significativi.


Che cosa c’entra Marine Le Pen, candidata di estrema destra alla presidenza della Francia, con il franco svizzero? Sarà una coincidenza, ma c’entra: alle vicende monetarie e geopolitiche che sconcertano ora gli investitori (quindi chi manovra capitali, sposta valute o titoli, calcola il rischio) si è aggiunto, alimentato dai sondaggi, il timore che la candidata di destra possa farcela. I sindacalisti francesi non hanno dubbi: Marine Le Pen non è l’amica dei lavoratori! I lavoratori non ne sono però tutti certi e credono nelle sue promesse, soprattutto quelle sul potere d’acquisto, dente che duole. Gli ambienti economici e padronali o son rimasti guardinghi (non si sa mai) o tendenzialmente benevoli (la destra politica, pensano, finisce sempre dalla nostra parte). La prospettiva Le Pen ha comunque fortemente accresciuto da parte degli investitori la domanda della classica moneta rifugio, il franco svizzero, che finisce così sopravvalutato, creando problemi all’economia svizzera. Tanto da costringere la Banca Nazionale a intervenire sul cambio. Dove sta quindi la contraddizione? Sta nel fatto che la destra-capitalista (e chi saranno se no gli investitori che spostano capitali?) non si fida della destra o delle sue virate economiche oppure nel fatto che si teme che l’arrivo alla presidenza di una candidata di destra estrema scatenerà sommosse e rotture sociali, dimostrando appunto che l’economia non è solo capitale o denaro da far rendere o feudo di una parte, ma molto di più, da cui non si può prescindere.


Dal punto di vista statistico il mese di aprile è il mese borsistico più forte, come se si raccogliessero i frutti del mercato finanziario. Ci si annuncia così (ad esempio Raiffeisen Suisse) che «la stagione dei dividendi è aperta e le società SPI distribuiranno circa 46 miliardi di franchi» (SPI significa Swiss Performance Index ed è un indicatore generale del mercato azionario svizzero, comprende in pratica tutti i titoli negoziati in Borsa svizzera delle società con sede in Svizzera o nel Liechtenstein). Un’altra informazione, questa volta universale (Financial Time), ci dice che i dividendi mondiali dovrebbero superare per la prima volta i 2.000 miliardi di dollari. La Borsa, dovunque, sembra quindi essersi accomodata bene con quanto avviene in Ucraina. Ci sono quindi anche i dividendi della guerra, benché sembri una mostruosità più che una contraddizione. E infatti sono solo due i problemi che sembrano preoccupare gli investitori: il ritorno dell’inflazione e il rialzo dei tassi di interesse.


Ma, si diceva, le cifre bisogna anche saper farle parlare. Dagli inizi del Duemila, nonostante una grave crisi, una pandemia e ora una guerra, lo SMI (Swiss Market Index, cioè il principale indice azionario svizzero che raggruppa i 20 più importanti valori del mercato svizzero) segna un rialzo dei corsi del 70,1 per cento; se però, con calcolo appropriato (ci indica la stessa banca citata) aggiungessimo i dividendi, supererebbe il 207 per cento. E la conclusione che possiamo trarre è pressoché ovvia se confrontiamo la rimunerazione del capitale e quella del lavoro nello stesso periodo di tempo o se si ragiona, anche poco o intuitivamente, sulla distribuzione della ricchezza creata, anche dal lavoro.

Pubblicato il

20.04.2022 19:03
Silvano Toppi
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