L'impegno antifascista del dottor Pedroli

Oltre un anno di forte tensione durante la guerra, mesi e mesi vissuti pericolosamente, fino alla Liberazione (25 aprile 1945): questa l’esperienza giovanile del dottor Sandro Pedroli, forse l’unico ticinese ad aver collaborato attivamente alla lotta italiana contro il nazifascismo, entrando a far parte dei servizi ausiliari delle Formazioni partigiane Giustizia e Libertà. Ma quello fu anche l’inizio di una vita ricca di ideali, di impegno sociale e di solidarietà. Oggi 95enne, Pedroli vive a Zurigo, dove per decenni ha curato migliaia di lavoratori italiani e spagnoli.

«Eravamo Fremdarbeiter», dice raccontando della sua famiglia emigrata a Torino. Il padre Ernesto, un liberale patrizio di Bodio, lavorava alla Linoleum di Giubiasco, e verso la fine del 1923 accettò di assumerne la rappresentanza per l’intero Piemonte, e quindi di trasferirsi a Torino. Sandro (Alessandro), che ha sei mesi al momento del trasloco, trascorre l’infanzia e frequenta le scuole elementari nel capoluogo piemontese. Nel 1928 nasce il fratello Guido, futuro filosofo e storico del socialismo nella Svizzera italiana (purtroppo vivrà poco, morirà infatti nel 1962, «ma in Ticino lascerà una forte traccia», sottolinea Sandro).
Il fascismo è già fortemente radicato nella società italiana. «Io ero nei balilla», racconta Sandro, «e poi negli avanguardisti, come tutti: era obbligatorio. Poi, a un certo momento, a 16 anni non mi andava più. C’era la guerra civile in Spagna, i giornali parlavano di Franco e della sua crociata di “civiltà”, ma io istintivamente ero per i repubblicani. In seguito ho scoperto, in un angolo di una libreria, la “Storia della rivoluzione russa” di Trotsky: era contro Stalin, quindi per la censura fascista andava bene. Quella lettura mi aveva impressionato; e per Trotsky ho sempre avuto una grande ammirazione».
Nel giugno del 1942, Sandro parte con un gruppo di ragazzi svizzeri per una vacanza in patria, e viene ospitato da una famiglia di Bellinzona. Finite le vacanze, per non farlo rientrare a Torino la madre lo iscrive a un corso di francese a Losanna. Passato un anno e finito il corso di francese, in Italia cade il fascismo (25 luglio 1943) e Sandro pensa di tornare a Torino per riprendere gli studi. Deve domandarne il permesso al Consolato germanico («quello italiano non contava più niente»); e mentre lo aspetta, per qualche tempo fa l’impiegato a Bellinzona al Dipartimento del Lavoro, «guarda caso sotto Guglielmo Canevascini».
Nel gennaio del 1944 finalmente può riunirsi alla famiglia e riprendere gli studi di medicina. Ma i bombardamenti sono pesanti e la famiglia Pedroli è costretta a sfollare a Barge (a 60 km dalla città). I mezzi pubblici sono una lotteria, anche seguire le lezioni all’università è difficile: Sandro e il fratello Guido si muovono molto in bicicletta. Da studente di medicina fa pratica clinica seguendo spesso i suoi professori negli ospedali torinesi. Per caso scopre che una delle cliniche è in realtà una centrale clandestina dei partigiani. «Il mio professore (ma l’ho saputo solo dopo la guerra) era nel comitato piemontese del Partito d’Azione». (Il Partito d’Azione, di ispirazione social-liberale e repubblicana, è durato dal 1942 al 1947 e ha preso parte alla Resistenza con le Brigate Giustizia e Libertà).
Sandro si fa coinvolgere nelle attività politiche clandestine. Il suo gruppo, composto da una decina di elementi, è comandato da Carlo Casalegno (scrittore e giornalista che sarà ucciso nel 1977 dalle Brigate Rosse) e politicamente ispirato dal grande storico Franco Venturi (allora partigiano col soprannome “Nada”). L’abitazione dei Pedroli diventa un punto di riferimento: «Ogni tanto qualcuno che scappava veniva a dormire da noi una notte o due», racconta Sandro. A casa sua i partigiani installano un ciclostile per stampare volantini che poi vengono messi nelle cassette delle lettere casa per casa: distribuirli in strada è troppo pericoloso.
I rischi sono alti e costanti. Una volta Sandro viene fermato da partigiani che non lo conoscono: si salva mostrando loro la tessera dei servizi ausiliari di Giustizia e Libertà. La stessa tessera, se vista dalle persone sbagliate, può anche costare la vita. «Uno dei nostri è stato preso e fucilato in Piazza Vittorio Veneto, pochi giorni prima della Liberazione», ricorda. E prosegue: «Una sera, con il coprifuoco, mio fratello ha voluto uscire per andare a scrivere sui muri. Una pattuglia di quattro fascisti lo sorprende e lo mette al muro per fucilarlo. Per fortuna, uno dei quattro ci conosceva e lo ha salvato». I fascisti accompagnano Guido a casa e il capopattuglia, mentre gli fa la ramanzina, appoggia il cappello proprio sul ciclostile coperto da un panno nero. Se avesse guardato sotto quel pan-no, sarebbero stati guai seri per i Pedroli.
Un’altra volta a Sandro e a un suo amico viene dato un moschetto per andare a sorvegliare di notte un gasometro. «Eravamo due ragazzi che non avevano ancora sparato un colpo». Per puro caso i due non restano coinvolti in un lungo conflitto a fuoco, divampato quella notte poco lontano. Sandro riesce a cavarsela fortunosamente anche in un’altra occasione, quando, avendo con sé materiale compromettente, incappa in una pattuglia delle famigerate Brigate Nere. Lo salva il suo passaporto svizzero. Ma l’episodio più pericoloso e violento è quello che si verifica a Barge. Due altoatesini, che parlano italiano e si aggirano in paese, vengono individuati dai partigiani quali spie dei tedeschi. Ne nasce una sparatoria: uno dei due rimane ucciso, l’altro riesce a fuggire. Dopo poche ore arriva la rappresaglia delle SS: quattro morti e una sessantina di case date alle fiamme, compresa l’abitazione dei Pedroli.
Dopo la sconfitta del nazifascismo, il ritorno alla normalità. Che significa il completamento degli studi di medicina, il matrimonio, il rientro in Svizzera, la pratica clinica all’ospedale di Bellinzona. Nel 1953 Pedroli apre uno studio medico a Zurigo, dove continua il suo impegno politico nel Partito socialista zurighese. I suoi pazienti spagnoli gli chiedono di presiedere il comitato per l’amnistia politica degli oppositori di Franco (funzione svolta fino alla caduta del franchismo). In campo umanitario si impegna con la Centrale Sanitaria Svizzera e compie missioni in Vietnam e in Corea. E non poteva, lui che ha vissuto la Resistenza, rifiutare agli ex partigiani di presiedere il loro “Comitato 25 Aprile” di Zurigo.

Pubblicato il

19.04.2018 15:37
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