L’importante è esserci

In vista della grande manifestazione sindacale del 19 settembre a Berna, area ha discusso con quattro lavoratori attivi nel settore industriale sul significato della crisi, le sue conseguenze e il senso della manifestazione. Particolare non indifferente, i quattro operai sono a lavoro ridotto da marzo di quest'anno. La loro ditta, la Tri-star di Bioggio, ha chiesto l'indennità lavoro ridotto fino alla fine dell'anno.

Vi siete fatti un'idea delle origini di questa crisi?
Giuseppe: Non ci siamo resi conto di cosa stava succedendo. Il mese prima eravamo pieni di lavoro, quello dopo non ce n'era più. Da un momento all'altro è crollato tutto.
Stefano: Credo si sia perso di vista il fattore produttivo, concentrandosi su quello finanziario. L'economia del nulla ha poi travolto l'economia reale. Se fino agli anni 80 le aziende investivano nelle loro fabbriche, operai compresi, dopo investivano solo in operazioni finanziarie. Ha guadagnato solo chi ha fatto i soldi coi soldi. Chi voleva fare i soldi col lavoro, operai e aziende, ha perso.
Chi ha causato la crisi, ne sta pagando le conseguenze maggiori?
Stefano: La sensazione è che chi ha causato la crisi, la sta facendo pagare agli altri. In particolare, all'ultima ruota del carro. Se guardiamo gli utili della Golden Sachs e della Morgan Stanley (banche americane, ndr.), qualcuno ci ha guadagnato da questa crisi. Facciamogliela pagare a loro…
Come lavoratori invece, avete l'impressione di pagare la crisi?
Orlando: Nella nostra ditta, da marzo siamo al 35 per cento di lavoro ridotto. Se prendiamo ad esempio un salario di 4 mila franchi lordi al mese, significa che si perdono circa 400 franchi al mese. Se pensiamo che nel passato abbiamo fatto fior di lotte per avere aumenti ogni anno, ottenendo nel migliore dei casi 80 franchi...
Come avete reagito all'introduzione dell'orario ridotto?
Stefano: Sinceramente, l'ho vissuto in questi termini: il lavoro ridotto è un'opportunità per salvare posti di lavoro e l'azienda.
Davide: Certamente sarebbe meglio lavorare al 100 per cento, ma nel contesto attuale il lavoro ridotto è la soluzione meno dolorosa perché serve a limitare i danni.
Giuseppe: Sicuramente è la soluzione meno dolorosa, ma se vissuto nel lungo periodo, il lavoro ridotto ha un peso economico non indifferente per un lavoratore.
Oltre al vostro salario ridotto, anche le vostre pensioni sono state attaccate. Avete la percezione materiale del costo della crisi che vi viene presentato?
Giuseppe: Per forza ti accorgi. Ormai possiamo solo limitare le nostre spese: poche uscite al ristorante, invece di due settimane di ferie ne fai una, e via di seguito.
Orlando: se pensiamo al secondo pilastro, si vede chiaramente. Gli errori finanziari vengono fatti pagare a chi versa i contributi pensionistici. I tagli dell'aliquota di versamento e dell'interesse sul capitale, è evidente che sono i lavoratori a pagarla. Forse non tutti si accorgono immediatamente del problema, ma chi è vicino alla pensione si rende conto degli effetti sulla sua pensione. Le assicurazioni sociali sono una paga differita. È importante difenderle ora, perché tra venti anni ci ritroveremo senza niente.
Il sistema politico ha capito la lezione della crisi? S'intravede un cambiamento di rotta oppure no?
Stefano: Quando sento parlare di politici e banchieri, mi viene sempre in mente Ezra Pound quando diceva che «i politici sono i camerieri dei banchieri». Una frase ancora attuale.
Per voi, qual è la motivazione più forte che vi spinge a partecipare alla manifestazione del 19 settembre?
Giuseppe: Esserci. Tante volte uno pensa: "ok, noi andiamo in massa. Ma ci ascolteranno? Servirà a qualcosa?". Ma non lo puoi sapere se non ci provi.
Stefano: Io ho vissuto gli anni 80 in Italia. Anni in cui i sindacati erano forti ed erano state condotte delle lotte importanti. Le ristrutturazioni sono andate comunque in porto con molti licenziamenti. Ammetto di essere scettico sui risultati di una manifestazione come quella di Berna. Comunque ci vado.
Davide: Se abbiamo la possibilità di esprimere un nostro parere, sfruttiamola. La crisi non la dobbiamo pagare noi.
Giuseppe: Vale comunque la pena ricordare che qualche lotta ha portato a dei risultati. Penso al prepensionamento nell'edilizia. Quindi qualche speranza la possiamo avere.
Orlando: Il 19 settembre andiamo a Berna perché questa crisi colpisce soprattutto i lavoratori. È vero, hanno concesso un prolungamento temporale del lavoro ridotto, ma tutta un'altra serie d'iniziative in favore dei lavoratori sono state ignorate. Penso ai cinquantenni licenziati, e di fatto espulsi dal mercato del lavoro.  Penso a quelle misure che favoriscano la formazione, soprattutto per i lavoratori giovani. C'è poi tutta la questione delle pensioni. Insomma, a pagare sono sempre i lavoratori. Nelle grandi multinazionali gli operai vengono licenziati, mentre i manager sono sempre al loro posto.
Condizione individuale del lavoratore e risposta collettiva. Si riesce a coniugarle?
Giuseppe: Prima dell'introduzione dell'orario ridotto, nell'aria c'erano anche possibili licenziamenti. Ognuno pensava a sé stesso. Grazie al lavoro ridotto siamo riusciti a salvare i posti di lavoro, ed ora siamo più uniti.  Finito il periodo di lavoro ridotto, c'è il rischio che ognuno torni a guardare solo a sé stesso.
Orlando: Dopo questa crisi, bisogna domandarsi se anche noi lavoratori abbiamo capito la lezione. Non solo i manager o i politici, ma anche noi dobbiamo fare dei passi avanti. La risposta del lavoratore può essere solo collettiva.

«La vostra crisi non la paghiamo»
La disoccupazione cresce, il lavoro ridotto pure. Le ragioni sindacali della manifestazione del 19 settembre a Berna

Ad agosto erano 150 mila gli iscritti agli uffici di collocamento. 57 mila disoccupati in più rispetto all'anno precedente nello stesso periodo.

E per quelli che un'occupazione ancora ce l'hanno, le cose non vanno sempre meglio. Se a giugno dello scorso anno erano 566 le persone a lavoro ridotto, un anno dopo sono quasi 60 mila i salariati colpiti. Un incremento dell'8 mila per cento.
Le nude cifre riassumono quanto stiano pagando i lavoratori del paese la crisi venuta dalla finanza. Se la crisi finanziaria è forse passata per i più ottimisti, la crisi occupazionale resta ben viva. Per contrastarla, i sindacati hanno indetto una manifestazione a Berna il prossimo sabato, il 19 settembre. Una manifestazione per denunciare l'immobilismo del Consiglio federale, reo secondo il sindacato Unia «di non aver sin qui adottato alcun programma di rilancio congiunturale degno di questo nome: mentre non ha esitato a scucire 68 miliardi di franchi per tamponare le perdite causate da Ubs con le sue folli speculazioni, in favore del mantenimento di posti di lavoro ha concesso la misera somma di 52 franchi per ogni cittadino!».
Dall'inizio della crisi, L'Unione sindacale svizzera (Uss) ha chiesto al governo l'attivazione di misure concrete, attraverso investimenti fino a 10 miliardi, volte a combattere gli effetti negativi della crisi nell'ambito occupazionale. Fino ad oggi, il governo federale ha varato tre pacchetti di misure urgenti anticrisi per un totale di 2,35 miliardi di franchi. Per le organizzazioni dei lavoratori, è poca cosa rispetto a quanto devoluto nell'unica misura di 68 miliardi all'Ubs.
Ma non è solo la crisi occupazionale ad inquietare i sindacati. I timori arrivano dal «preoccupante processo di smantellamento delle nostre assicurazioni sociali, che va assolutamente fermato, nell'interesse delle donne, dei lavoratori, dei disoccupati, dei pensionati, degli invalidi e dei malati di questo Paese», ricorda Unia nel comunicato stampa. In particolare, il sindacato si riferisce alla maggioranza parlamentare che vorrebbe ridurre le rendite delle pensioni  per tamponare le perdite realizzate in Borsa, innalzare l'età pensionabile delle donne portandola a 65 anni e peggiorare l'assicurazione disoccupazione.
Terzo fronte che preoccupa i sindacati,  il progressivo calo del potere di acquisto dei salariati in Svizzera. Per contrastarlo le organizzazioni sindacali domandano aumenti salariali tra gli 80 e i 120 franchi in tutti i settori. Solo così, sostengono le organizzazioni dei lavoratori, sarà possibile favorire il consumo interno per facilitare la ripresa economica.
Andreas Rieger, copresidente di Unia, sottolinea come diversi settori economici svizzeri continuino a vivere da diversi anni un buon andamento degli affari. È il caso dell'edilizia e del commercio al dettaglio, dove i due principali gruppi del paese, Migros e Coop, hanno annunciato cifre record nel 2008 e un buon andamento nel primo trimestre 2009. Anche nel settore industriale, ci sono comparti, quali la farmaceutica e parte dell'agroalimentare, che godono da anni di ottima salute economica. E se nell'industria di esportazione «le ordinazioni sono certamente diminuite, le imprese hanno costituito negli anni di alta congiuntura riserve economiche considerevoli. Degli aumenti salariali tra gli 80 e 100 franchi sono dunque giustificati», osserva Rieger.



Pubblicato il

11.09.2009 01:00
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