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Migrazione & dintorni

L’ipocrisia dell’integrazione

La storia di Desmond, da "integrato" a espulso

di

Francesco Bonsaver

Desmond nasce nel continente africano, una terra tanto meravigliosa quanto depredata delle sue materie prime, della cui ricchezza restano solo infime briciole alla popolazione locale. Come molti altri giovani, per sfuggire alla “maledizione” che attanaglia il continente, si avventura nel viaggio della speranza per raggiungere l’Europa. Ma se le materie prime africane viaggiano liberamente verso l’Europa, a gran parte degli africani tocca un viaggio denso di pericoli e incognite. Sarà merito della fortuna o del destino, Desmond riesce nell’impresa, arrivando in Svizzera dove inoltra domanda d’asilo nel 2008. Poco tempo dopo, inizia un percorso formativo di tre anni come costruttore stradale, volgarmente detto asfaltatore. Un mestiere duro, tra il caldo rovente dell’asfalto appena posato nelle torride estati e il contrasto dei rigidi inverni, e sempre più spesso, svolto di notte per non disturbare il traffico.


A Desmond quel mestiere piace. Chi lo ha conosciuto tra i banchi di scuola, lo definisce un allievo motivato e curioso nel comprendere gli aspetti tecnici, così come nell’approfondire i temi di cultura generale. Nonostante le iniziali difficoltà della lingua, Desmond si diploma con una brillante media del 5 e mezzo. La ditta formatrice apprezza il suo lavoro e gli prolunga il rapporto dopo l’apprendistato. Col passare del tempo, gli vengono affidate mansioni di responsabilità.


E poiché l’uomo non vive di solo lavoro, Desmond negli anni si costruisce una fitta rete di amicizie nate tra i banchi di scuola o tra colleghi. Conosce dei sindacalisti di Unia durante le loro visite sui cantieri, coi quali instaurerà poi delle solide amicizie. Anche i suoi datori di lavoro si affezionano a quel ragazzo arrivato dall’Africa, diventato nel frattempo orfano avendo perso la madre, e gli affittano un appartamento sopra il magazzino dell’azienda.


A dieci anni dal suo arrivo in Svizzera, Desmond è economicamente indipendente, contribuisce col 10% del salario al fondo per la migrazione, ha una vasta rete di amicizie e il casellario giudiziario è immacolato. Non è forse un caso d’integrazione perfettamente riuscita, stando ai canoni comuni? «L’integrazione di Desmond non è suffragata, o almeno non in modo particolare, considerati gli anni di presenza in Svizzera. Nulla lascia intendere che abbia forti legami tali da poter restare nel Paese» scrive il Tribunale federale nella sentenza del 7 luglio 2018, rigettando il ricorso contro la non entrata in materia (Nem) della domanda d’asilo di Desmond. È la sentenza definitiva con cui la Svizzera lo condanna a un futuro da clandestino, costringendolo a girovagare da invisibile nel Paese o nel continente europeo.


Uno spiraglio in realtà ci sarebbe, l’intervento politico. I governi cantonali hanno un margine di manovra che consente loro di evitare l’espulsione nei casi ritenuti gravi, legalmente definiti “casi di rigore” dall’articolo 84 della legge federale sull’asilo. Pochissime eccezioni rispetto al numero dei richiedenti la cui domanda d’asilo è stata negata, ma di quelle che cambiano la vita a chi ne fa parte. Poiché nella valutazione, il grado d’integrazione ricopre un aspetto determinante, il caso di Desmond vi rientrerebbe a pieno titolo.


Purtroppo per lui (e molti altri), il Ticino ha ristretto notevolmente questa possibilità da qualche anno. Per decenni i casi di rigore analizzati si aggiravano sulla settantina l’anno. Dal 2014 c’è stato un crollo a una trentina di casi, per arrivare allo scorso anno a quattro casi (si veda il grafico e articolo con intervista al Dipartimento delle Istituzioni). Nelle statistiche della Segreteria di Stato della migrazione la drastica riduzione riguarda il solo cantone Ticino. In altre parole, le autorità cantonali hanno deciso di abbandonare al loro destino persone che solo qualche anno prima sarebbero state giudicate meritevoli.
In ossequio alla sentenza del Tf, una settimana dopo l’Ufficio migrazione del canton Ticino intima a Desmond di lasciare il Paese entro due mesi. La missiva lo sconvolge, la sua mente, comprensibilmente, vacilla e viene ricoverato all’Ospedale sociopsichiatrico cantonale di Mendrisio. Due settimane dopo la lettera del Cantone, il 5 agosto, durante una gita con gli educatori e altri ospiti dell’Osc, il corpo di Desmond viene ripescato dal Lago Ceresio privo di vita. Molti si chiedono se sia stata una tragica fatalità o un gesto volontario.

Pubblicato

Giovedì 22 Novembre 2018

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Migrazione & giustizia
22.11.2018

di 

Francesco Bonsaver

In Ticino calano vistosamente dal 2014, mentre nel resto del Paese la situazione è stabile. Stiamo parlando dell’articolo 84, capoverso 5, della Legge sugli stranieri. Una sorta di margine di manovra politico che consente di evitare l’espulsione di una persona residente in Svizzera da un lungo periodo e che risulta integrata secondo i criteri previsti (lavoro, amicizie, formazione, uso della lingua nazionale, fedina pulita ecc.) Per capirsi, il caso di Desmond. («L'ipocrisia dell'integrazione», area 18-2018)

Da una media di una settantina di casi adottati annualmente dal governo ticinese, si è passati ai quattro dello scorso anno (grafico). Da quanto appurato dal giornale, i casi trattati non giungono più sul tavolo del Consiglio di Stato affinché si esprima, ma sono filtrati a monte dagli uffici del Di. Per capire i motivi del cambio di prassi, area ha interpellato il Dipartimento delle istituzioni guidato dal 2011 da Norman Gobbi, che così ha risposto via mail.

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