L’ultimo partito di massa

Un libro sulla Lega dello storico Paolo Barcella ci racconta la crisi dei partiti, delle ideologie e del sistema produttivo italiano

Nel 1990 pochi davano credito alla Lega e al suo eccentrico leader Umberto Bossi. La Fiom-Cgil lombarda promosse però un’inchiesta tra i lavoratori per verificare quale fosse l’impatto delle rivendicazioni leghiste sulla classe operaia. Il sondaggio, condotto insieme all’Istituto superiore di sociologia, evidenziava come il 24,8% dei metalmeccanici interpellati ritenesse giusta l’idea leghista di creare un sindacato a difesa dei soli lavoratori lombardi. Il 25,6% si dichiarava parzialmente d’accordo. Questi due dati andavano di pari passo con il consenso elettorale della Lega tra i lavoratori: il 30,7% dei partecipanti al sondaggio si diceva pronto a votare Lega. Tra le donne la popolarità del movimento leghista risultava addirittura maggiore. Come sappiamo l’idea di un sindacato lombardo o padano non riuscirà mai ad attecchire, mentre il successo elettorale della Lega lombarda, trasformatasi in Lega Nord nel 1989 attraverso l’unione con la Liga veneta e altre formazioni regionali minori, sarebbe stato dirompente negli anni successivi.

 

Un sintomo

Come giustamente fa notare lo storico Paolo Barcella nel suo nuovo libro intitolato La Lega. Una Storia (Carocci editore), Il sindacato italiano, a differenza di buona parte del ceto politico e di quello intellettuale, era riuscito a percepire il malessere delle classi lavoratrici del nord Italia e la novità del discorso bossiano. Sono gli anni della caduta del muro di Berlino, della fine del Pci e della Dc, ma ci troviamo anche in un periodo storico in cui le trasformazioni produttive sono diventate evidenti. La globalizzazione dell’economia non era ancora un tema all’ordine del giorno, ma l’epoca del protezionismo economico era ormai finita. Il sistema industriale italiano iniziava a mostrare delle crepe. Le fabbriche del nord, quelle che avevano resistito alla deindustrializzazione galoppante, vennero ridimensionate e le esternalizzazioni crearono un fitto tessuto di piccole imprese, spesso a conduzione familiare, in cui si creò una prossimità tra datori di lavori e dipendenti. In un tale contesto economico, il sindacato non riuscì più a essere efficace come prima e perse la presa su parte della classe lavoratrice. In questo quadro storico Umberto Bossi, il padre padrone della Lega, «è stato un sintomo di una crisi che coinvolse diversi aspetti della società italiana. Bossi, senza possedere strumenti sopraffini di analisi politica, a cavallo tra anni Ottanta e Novanta, fu uomo del suo tempo: riuscì a porre domande diverse rispetto alle vecchie forze politiche». Il leader del Carroccio non faceva riferimento a una classe, quella lavoratrice, ma a un territorio. Il suo discorso interclassista ha fatto breccia in parte della classe lavoratrice e tra i ranghi della piccola borghesia imprenditoriale.

 

Nessun rimosso

Il libro di Barcella racconta molto di più della nascita e degli sviluppi di un partito che ha segnato gli ultimi 40 anni della politica italiana. Una formazione politica che ha utilizzato (e in parte ancora utilizza) gli strumenti tipici dei grandi partiti novecenteschi: presenza capillare sul territorio, forte militanza da parte di alcuni iscritti, soprattutto giovani, creazione di una liturgia, di nuove prassi e tentativi di penetrazione in diversi contesti sociali. Barcella nel suo libro si allontana dall’analisi politologica del partito, che ha già prodotto letteratura abbondante negli anni, e sceglie di raccontare quel mosaico di territori a nord della Penisola che trovarono nella Lega alcune risposte. Da storico delle migrazioni italiane, in particolare di quelle che hanno segnato il Novecento elvetico, si sofferma anche su quegli italiani del nord, tornati in patria dopo lunghi anni di lavoro all’estero che, dopo aver vissuto regimi fortemente discriminatori sulla propria pelle, reagirono male all’arrivo degli stranieri in Italia: «Questi lavoratori non hanno rimosso l’esperienza della migrazione, come affermava una narrazione diffusa allora e tuttora valida per alcuni, ma hanno trasformato le ferite di un tempo in un atteggiamento di chiusura se non addirittura in xenofobia. Anni fa mi trovavo a intervistare un lavoratore bergamasco in pensione che aveva vissuto anni drammatici in Vallemaggia come taglialegna. Un lavoratore oltretutto diventato cieco per un incidente sul lavoro. Per lui l’Italia era inadeguata a gestire l’immigrazione perché incapace di porre dei limiti al fenomeno, mentre le politiche migratorie elvetiche di un tempo erano considerate buone perché permettevano di operare una certa selezione tra i migranti. Quell'intervista mi ha fatto capire fino a che punto fosse radicata in molti la convinzione di una differenza tra emigrati italiani storici e immigrati recenti, con insieme la convinzione che i primi fossero moralmente e professionalmente superiori ai secondi, sempre e comunque».

 

Ricette leghiste

Al tema della presenza straniera in Italia e delle risposte leghiste, Barcella dedica ovviamente molto spazio. La Lega ha costruito infatti le sue fortune elettorali puntando molto sulla stigmatizzazione del diverso, delle marginalità sociali, sulla lotta tra poveri, sulla creazione del nemico, sulla chiusura di porti e frontiere. Il suo discorso in tal senso mutò continuamente negli anni. Nata come formazione antimeridionale, anche se ancorata ai valori dell’antifascismo, la Lega si trasformò a poco a poco in organizzazione nazionalista, sposando a volte, con Salvini, tesi non molto lontane da quelle delle formazioni di estrema destra. Quello che ai più è sfuggito, secondo Barcella, al di là della retorica e di singoli episodi più simbolici che fattuali, «è il progetto leghista volto non tanto a fermare l’immigrazione dall’estero, quanto a renderla fragile, priva di diritti. La Lega è il partito che ha introdotti i contratti soggiorno secondo una logica non lontana dallo Statuto dello stagionale. La legge Bossi-Fini, insieme alla legge Biagi, ha creato i presupposti per la profonda frammentazione e precarizzazione del mercato del lavoro attuale».

Pubblicato il

19.05.2022 09:36
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