L’uno e venti è sotto assedio

L'attacco è concentrico, l'obiettivo è dichiarato: abbattere il corso minimo di cambio franco-euro di 1,20. Scopo dell'operazione: riportare instabilità sui mercati per permettere di nuovo all'economia finanziaria di guadagnare cifre folli speculando sulle oscillazioni dei corsi. A scapito dell'economia reale.

Che Cristoph Blocher, il profeta dell'Udc, sia un acerrimo nemico del tasso minimo di cambio del franco con l'euro a 1,20 è risaputo. Si sa anche che lo è l'amico suo giurato Oswald Grübel, ex megaboss di Ubs. Si sa che i due, con diversi loro compari, non hanno mai mandato giù la decisione della Banca nazionale svizzera (Bns) dello scorso mese di settembre di fissare ad 1,20 il cambio minimo franco-euro e di difendere tale tasso di cambio con ogni mezzo possibile: tanto che la campagna che ha portato alle dimissioni dell'ex direttore generale della Bns Philipp Hildebrand non pare essere retta soltanto da intenzioni moralizzatrici. Ha stupito però non poco, nemmeno due settimane fa, che all'assalto al tasso minimo di cambio franco-euro si siano uniti i vertici (o almeno una parte di essi) dell'Unione svizzera delle arti e mestieri (Usam), l'associazione mantello dei piccoli e medi imprenditori. Per molti dei quali la certezza di un tasso minimo di cambio è di vitale importanza.
Nel suo documento l'Usam sostiene che la Bns «non può difendere ad ogni costo il tasso di cambio ad 1,20». Per l'Usam la Bns è responsabile in primo luogo per la stabilità dei prezzi, e non deve occuparsi di questioni che concernono il mercato del lavoro. Anche perché, sempre a mente dell'Usam, fissare un tasso minimo di cambio non è utile all'economia a lungo termine: «per questo è necessario stabilire una strategia d'uscita dalla politica del tasso minimo di cambio nei confronti dell'euro». Ad aver preparato il documento dell'Usam è stato Henrique Schneider, responsabile della politica economica all'Usam e membro dell'Udc bernese. Un documento che il direttore dell'Usam, Hans-Ulrich Bigler (Plr), difende con convinzione: «un giorno o l'altro la Bns dovrà pur rinunciare al tasso minimo di cambio, tanto vale prepararsi per tempo».
Molti nella stessa Usam però non condividono queste tesi e, anzi, le avversano con decisione. Intanto perché il segnale sarebbe molto negativo: in un momento come questo tutta l'economia svizzera deve difendere il tasso minimo di cambio, altrimenti se gli speculatori vedono che c'è anche solo una possibilità di cedimento daranno un pesante assalto al franco. Con la conseguenza che il tasso minimo non potrà più essere difeso e il franco si sopravvaluterà ulteriormente. Severe critiche alle tesi di Bigler&Schneider sono giunte fra gli altri dal presidente degli albergatori Guglielmo Brentel («la Bns fa in maniera encomiabile un lavoro difficilissimo») e dalla Società degli impresari costruttori («il tasso minimo di cambio è vitale per l'industria d'esportazione, che è un pilastro importante dell'economia generale del paese e che quindi serve anche gli interessi dell'edilizia»).
Ma cosa accadrebbe se la Bns, nel pieno della più grave crisi europea che si ricordi, abbandonasse il tasso minimo di cambio a 1,20? Il franco, da moneta rifugio qual è, immediatamente si apprezzerebbe. Ben presto si raggiungerebbe la parità franco-euro (come quasi fu il caso nell'agosto 2011), e probabilmente si andrebbe anche sotto il franco per un euro. Questo avrebbe pesanti conseguenze per la nostra economia e, come immediata conseguenza, per l'occupazione in Svizzera:
•    l'economia svizzera perderebbe il 20 per cento della sua concorrenzialità sui mercati esteri, mentre la concorrenzialità dei paesi della zona euro sul mercato svizzero aumenterebbe del 20 per cento: i prodotti e i servizi svizzeri sarebbero più cari all'estero, i prodotti e i servizi europei sarebbero ancora più convenienti in Svizzera;
•    i servizi offerti da artigiani provenienti dall'Ue sarebbero molto più convenienti di quelli offerti da artigiani con sede in Svizzera, e il mercato del lavoro svizzero sarebbe molto più interessante per la manodopera europea;
•    molti più abitanti della Svizzera farebbero i loro acquisti nella zona euro;
•    l'industria svizzera d'esportazione dovrebbe ricorrere a licenziamenti e delocalizzazioni per sopravvivere;
•    il settore turistico svizzero sarebbe di fronte ad una recessione mai vista prima;
•    i patrimoni in euro detenuti all'estero da società svizzere, come le casse pensioni, si ridurrebbero di oltre 100 miliardi di franchi – l'equivalente del 19 per cento del nostro prodotto interno lordo; il rafforzamento del franco lo renderebbe però interessante come bene rifugio anche nei confronti del dollaro, con conseguenze simili anche per i patrimoni detenuti all'estero in dollari da società svizzere.

Di fronte a questo scenario è difficile comprendere come mai l'Usam si sia avventurata in tesi tanto azzardate. Certo è che chi sta orchestrando la strategia di abbandono del tasso minimo di cambio sa cosa vuole. Perché se il franco si rafforza sull'euro, ecco che per la piazza finanziaria, per i fiduciari e per i grossi capitali in Svizzera diventa molto più conveniente fare operazioni speculative e comprare imprese e partecipazioni all'estero – mandando definitivamente a rotoli l'economia reale del nostro paese.

Pubblicato il

22.06.2012 04:00
Gianfranco Helbling
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