Ambiente

L’urgenza di cambiare modello economico

Le notizie di eventi meteo straordinari appartengono alla quotidianità. Non è una questione di credenza o di catastrofismo, nemmeno di fenomeni fuori norma, dopo di che “tornerà il sereno”. Al contrario: siamo entrati in una fase climatica nuova e sconosciuta. Unica certezza è la causa: il nostro modello economico sorto e sviluppatosi fino a divenire egemone con la rivoluzione industriale avviata grazie all’invenzione della macchina a vapore. Invenzione che offrì l’opportunità di moltiplicare la capacità produttiva (ovvero l’efficienza) ma anche di generalizzare e svincolare geograficamente le possibilità produttive dai limiti naturali di disporre di energia naturale (acqua, vento) e/o animale (bestie e umani) per produrre.
L’entusiasmo e la discussione che accompagnarono la diffusione e la generalizzazione del nuovo modo di produrre riguardavano soprattutto le implicazioni sociali derivanti dalla ripartizione della ricchezza creata e che nel corso dell’800 diede corpo a due ideologie e rispettive scuole economiche: liberalismo e socialismo.


In secondo piano invece riflessione e approfondimento sulle possibili implicazioni e impatti derivanti dall’uso delle risorse fossili e gli avvertimenti formulati da scientifici. Fra questi, quelli di Rudolf Clausius, padre della termodinamica, che nel 1885 scriveva: “Nell’economia di una nazione c’è una legge di validità generale: non bisogna consumare in ciascun periodo più di quanto è stato prodotto nello stesso periodo; perciò dovremmo consumare tanto combustibile quanto è possibile riprodurre attraverso la crescita degli alberi”.


Da allora e fino ad oggidì, salvo eccezioni, la sostanza non è cambiata: la “fede acritica” nella tecnologia, considerata neutrale, continua a dominare il pensiero economico. Giocoforza constatare che i due maggiori modelli economici attuali (capitalismo a declinazione occidentale e quello a declinazione asiatico-cinese) dimostrano incapacità di comprendere e affrontare la situazione.


Cade a fagiolo la domanda di Rifkin “quali sono state le conseguenze del vivere sotto un sistema economico devoto ad un universo meccanico temporale, usurato dall’espropriazione della natura, ossessionato dalla ricerca di nuovi mezzi tecnici per accrescere l’efficienza nella trasformazione ‘delle risorse naturali’ in un’orgia di consumo a breve termine, sempre con la mente rivolta all’analisi costi-benefici e alla crescita del reddito”?


Per metterla in termini termodinamici, aggiunge Rifkin “i vantaggi economici a breve termine ottenuti nel corso dei 2 secoli e mezzo di capitalismo industriale sono minimi e transitori rispetto al conto entropico a lungo termine la cui impronta e le cui esternalità negative saranno avvertite per secoli a venire”.


Oggidì ci troviamo in una situazione che ha superato gli stadi di avvertimento e di preallarme, oramai siamo nell’urgenza di agire. L’umanità deve riuscire ad approntare un sistema economico conscia che: a) il capitale della natura che abbiamo ricevuto non può crescere, ma solo essere mantenuto, b) la copertura dei bisogni umani può avvenire in modo duraturo solo garantendo l’evoluzione del complesso sistema  biologico a cui gli umani appartengono a parte intera e c) la sola fonte di energia praticamente infinita che consente al sistema biologico di funzionare è quella che la terra riceve dal sole. In altre parole: la svolta energetica è certamente un passo necessario, utile per favorire la transizione ad un sistema economico che sostituisca l’efficienza con l’adattività propria al sistema biologico. Non lo sono invece i vari progetti di Green economy che, mantenendo il ruolo centrale della crescita, dimenticano che la biosfera non può sopportare l’attuale sfruttamento materiale e tantomeno una sua ulteriore crescita.

Pubblicato il

16.11.2023 09:56
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