Italia

E sette. Dalle politiche dello scorso anno le sconfitte accumulate dal centrosinistra nelle regionali aumentano, senza alcun segnale in controtendenza.

 

Dopo aver perso Friuli, Abruzzo, Sardegna, le province autonome di Trento e Bolzano, Molise, l’ultimo schiaffo al Pd è arrivato dalle urne della Basilicata, una regione da sempre governata dal centrosinistra, passata anch’essa alla destra trainata dal solito Salvini. Come in Sardegna, al boom della Lega fa da contraltare il crollo verticale del M5S i cui voti in 13 mesi sono più che dimezzati ovunque si sia votato, ma Di Maio si dice contento perché è cresciuto rispetto alle ultime amministrative, quando il cielo sopra l’Italia era di tutt’altro colore. Anche un Pd in viaggio verso l’estinzione finge di essere soddisfatto, il nuovo segretario Zingaretti, che pure non sembra far uso di allucinogeni, vede segnali di ripresa. C’è chi, a sinistra, si interroga amaramente: avremmo forse gioito se in Basilicata, invece della destra avesse vinto il candidato del centrosinistra, ex fascista ed ex Forza Italia che continua a bearsi riascoltando all’infinito i comizi del suo beniamino, Giorgio Almirante?


L’altra Italia, invece, lasciata sola dalla politica continua a lanciare segnali di vita. Una grande manifestazione a Verona, promossa dal movimento femminista, da molte associazioni della società civile e dalla Cgil scesa in piazza schierando l’intera nuova segreteria, ha detto che i diritti delle donne non si toccano e le conquiste civili, il divorzio e l’aborto, sono insindacabili. È stata una risposta imponente alla kermesse internazionale pro-vita e per la “famiglia tradizionale” lanciata dall’estrema destra americana ed europea, sostenuta persino da Forza Nuova, tenuta a battesimo da Salvini e altri due ministri leghisti. Il gadget distribuito ai congressisti era un feto di plastica. La risposta democratica di massa, animata da giovani donne e uomini di ogni tendenza sessuale, ha costretto i pentastellati a prendere le distanze dalla provocazione internazionale imponendo il ritiro del patrocinio all’iniziativa medievale da parte di Palazzo Chigi e a promettere il blocco della legge Pillon che vorrebbe riconsegnare al maschio tutto il potere in famiglia. Fra gli striscioni più applauditi quello ironico che recitava “Le famiglie a Verona rompevano i coglioni anche ai tempi di Giulietta e Romeo”, con riferimento alla storia d’amore, cantata da Dante e messa in scena da Shakespeare, stroncata dalle famiglie rivali dei Montecchi e dei Capuleti.


Le due Italie sono divise su tutto, cioè sull’idea stessa di società e relazioni umane. Peccato che la prima abbia in mano tutte le leve del comando in quella che il vecchio socialista Pietro Nenni chiamava la stanza dei bottoni. C’è un governo a due punte, una aguzza e l’altra spuntata, basato sul litigio continuo e tenuto in vita dal fascino del potere da spartirsi, auto blu comprese, e non c’è un’opposizione politica. Quando Di Maio crolla nei sondaggi viene difeso da Salvini che così protegge il suo portatore d’acqua e di voti. Ogni tanto il cavallo ruffiano si scuote e, dopo aver fatto passare il Far West in nome della difesa della proprietà dal nemico straniero, blocca la castrazione chimica e poco d’altro.

 

L’altra Italia
L’altra Italia si prepara invece a una grande manifestazione per l’introduzione dello jus soli, cioè il diritto alla cittadinanza per un milione di italiani nati da genitori stranieri. Per Salvini e a seguire Di Maio solo gli eroi tra questi giovani hanno diritto alla cittadinanza, togliendola in cambio a chi si macchia di reati. Tutti gli altri per il nostro governo continuano ad avere il sangue infetto.

 

Recessione e povertà
Per la maggioranza degli italiani, per qualsiasi delle due Italie facciano il tifo, la qualità della vita peggiora dentro una crisi economica interminabile. Il Pil crolla per motivi esogeni (il rallentamento della Cina e i dazi di Trump) ed endogeni (le politiche liberiste del governo giallo-verde in continuità con quelle dei governi precedenti), il paese è in recessione, la povertà cresce così come la disoccupazione che sfiora l’11 per cento, mentre quella giovanile è al 33 per cento. Aumentano i falsi autonomi e crollano i contratti a tempo indeterminato. Ma di questo sembrano preoccuparsi in pochi al governo e all’opposizione, l’impegno maggiore è alla formazione delle liste per le elezioni europee di maggio.

Pubblicato il 

03.04.19
Nessun articolo correlato