La falsa dicotomia tra libertà e sicurezza

«Come ha detto Brecht, voler abbattere il fascismo senza mettere in causa il capitalismo è come voler mangiare una costoletta senza osare uccidere l’agnello. Dal 1960 al 1970, i tribunali hanno giudicato 20.000 spagnoli per ragioni politiche. […] la lotta contro il franchismo trova il suo inserimento naturale nella situazione svizzera. D’altronde per quanto ci riguarda, il fatto che oggi ci ritroviamo di fronte a questo tribunale mostra chiaramente l’esistenza di un legame fra la lotta in Svizzera e la lotta in Spagna».
Dichiarazione comune degli imputati arrestati in seguito alla manifestazione antifranchista di Ginevra del 14 dicembre 1970.

Il 2 agosto 1968 Melitón Manzanas, capo della polizia segreta di Donostia e noto torturatore di oppositori politici alla dittatura del generale Francisco Franco, è freddato con sette colpi di pistola.
Manzanas non rappresenta unicamente la prima vittima altolocata del regime dalla fine della Guerra civile spagnola. La sua morte costituisce al contempo la prima uccisione politica operata dall’organizzazione socialista e indipendentista Euskadi Ta Askatasuna (paese basco e libertà, Eta).


Attaccato frontalmente, il governo rafforza ulteriormente il suo apparato repressivo, decretando l’entrata in vigore dello stato di emergenza per la totalità del Paese Basco. Il territorio è completamente militarizzato, rastrellamenti e arresti indiscriminati sono all’ordine del giorno.


Dicembre 1970. Nel comune di Burgos ha inizio il processo che giudicherà sedici militanti legati a Eta, presunti responsabili dell’attentato a Manzanas. Il tribunale militare decreta allora sei condanne a morte e un totale di pene detentive superiore ai sette secoli di carcere.
In concomitanza con il processo le manifestazioni di protesta si moltiplicano e, in nome della sicurezza e della “lotta al terrorismo”, lo stato di emergenza è esteso alla totalità del paese iberico.
La brutale repressione messa in atto dal regime non ottiene pertanto l’effetto desiderato: con il processo di Burgos la questione basca si internazionalizza.


Parigi, New York, Buenos Aires, Caracas… in tutto il mondo hanno luogo violente proteste di solidarietà agli accusati. Il 12 dicembre a Milano, lo studente comunista Saverio Saltarelli è ucciso dalla polizia durante una manifestazione antifascista e lo stesso giorno, a Berna, il consolato spagnolo è occupato dai lavoratori stagionali.


Isolato dalle pressioni locali e internazionali, il generale Franco opta per la clemenza e revoca lo stato di emergenza. Secondo Jean-Paul Sartre, «è la prima volta che una campagna mondiale di solidarietà è vittoriosa. Così come abbiamo perso Sacco e Vanzetti, come abbiamo perso i Rosenberg, Izko e i suoi compagni sono stati salvati».


A più di quarant’anni di distanza, le mobilitazioni internazionali che accompagnarono il processo di Burgos continuano ad insegnarci una cosa: nel cammino verso la giustizia, organizzarsi e lottare resta l’unica alternativa alla falsa dicotomia che ci chiede di scegliere fra libertà e sicurezza.

Pubblicato il

03.12.2015 14:55
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