La fine del masonismo

Dopo undici anni di quasi incontrastato dominio il masonismo parrebbe giunto finalmente al capolinea. Le decisioni prese mercoledì dal governo ticinese dovrebbero infatti aver chiuso definitivamente questa particolare esperienza di ultraliberismo ideologico (e in certa misura anche clientelare) che non ha saputo mantenere nessuna delle promesse fatte a suo tempo ai ticinesi, se non la diminuzione delle imposte. Certamente questo non significa che la destra liberi automaticamente il campo, anzi. Ma la conferma della parziale esautorazione di Marina Masoni unitamente alla sua ormai totale perdita di credibilità sul piano politico dovrebbero aprire nuovi spazi per una sana dialettica. E questo in un confronto sull’ordinamento finanziario del cantone che non sia più così pesantemente condizionato dalla direzione marcatamente ideologica e intransigente della direzione del Dipartimento finanze ed economia. Il governo che si è presentato mercoledì alla stampa è un gruppo con nuovi margini di manovra, con un nuovo spazio d’azione politica dato sia dal tramonto della stella di colei che negli ultimi anni l’ha pesantemente condizionato, sia dall’inequivocabile esito del voto del 12 marzo. Non a caso il clima della conferenza stampa del 22 marzo 2006 era ben diverso da quello del 17 ottobre 2003, giorno della parziale esautorazione di Patrizia Pesenti: stavolta tutti avevano la consapevolezza di aver preso le giuste decisioni. Un giudizio complessivo sugli anni di Masoni in governo ma anche sulla vicenda del Fiscogate appare prematuro. Una cosa però dev’essere detta: la decisione del governo di sollevare Masoni dalla direzione del fisco fino alla fine della legislatura è una pesante condanna del suo operato politico. A poco serve accreditare la tesi, sostenuta ancora mercoledì dal Corriere del Ticino, che i vecchi e nuovi avversari di Masoni abbiano preso a pretesto il caso della fondazione Villalta per liberarsi della presidente del governo. Perché l’esautorazione di Masoni si spiega con la necessità di rimettere ordine nella Divisione delle contribuzioni, operazione impossibile se alla sua testa rimane colei che è direttamente responsabile del suo degrado. In questo senso le parole del vicepresidente del governo, Luigi Pedrazzini, che mercoledì ha parlato di una situazione «drammatica» alla Divisione delle contribuzioni, affetta da «gravi problemi funzionali», sono inequivocabili. Marina Masoni ha dunque fallito nella gestione della cosa pubblica portando al cuore dello Stato, il fisco, un attacco pesantissimo. Poco importa adesso sapere se per volontà o per negligenza. O per entrambe. Stupisce la sua incapacità di reagire correttamente in questi mesi, la volontà di tacere sperando che, nascondendoli sotto un tappeto, i problemi scompaiano. Anche nel momento del suo tracollo politico non è stata in grado di capire gli umori dei ticinesi. Perché lei dalle preoccupazioni e dalle aspirazioni della maggioranza dei ticinesi è sempre stata lontana, incapace com’è d’interpretarli e di tradurli in azione politica. Ha soltanto saputo sedurli per poi abbandonarli. Molti la vollero undici anni fa, pochi ora la rimpiangeranno: chi è tradito non perdona.

Pubblicato il

24.03.2006 00:30
Gianfranco Helbling
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