La grande scalata delle donne

2019 l’anno delle donne, è proprio il caso di dirlo: dopo il grande lavoro di mobilitazione e sensibilizzazione e l’enorme partecipazione allo sciopero delle donne del 14 giugno, si cominciano a raccogliere i primi frutti e, con una presenza di candidate sulle liste elettorali che per la prima volta ha superato il 40 per cento, ecco che domenica scorsa, con l’elezione di 84 consigliere nazionali, la Camera del popolo è passata dal 32 al 42 per cento di donne.

Non siamo ancora arrivati all’obiettivo del 50-50%, ma un bel salto in avanti è sicuramente stato fatto in questa direzione, sia a livello di partiti, che in molti casi hanno presentato più donne sulle proprie liste rispetto al passato, che nei fatti, con un aumento del 10 per cento delle donne al Consiglio nazionale, dopo diverse legislature nelle quali ci si era assestati attorno al 30 per cento. Ovviamente i numeri esatti si avranno una volta definite anche le elezioni al Consiglio degli Stati, ma non ci saranno grossi stravolgimenti. Con queste nuove percentuali, inoltre, da fanalino di coda, ora la Svizzera balza dal 38esimo al 15esimo posto nella graduatoria mondiale della presenza femminile in Parlamento (stilata in settembre dall’Unione interparlamentare) superando addirittura Norvegia e Danimarca, tradizionalmente più all’avanguardia nelle questioni legate alla parità di genere.


Un risultato ottenuto grazie a diversi fattori, tra i quali sicuramente la grande mobilitazione che ha ruotato attorno allo sciopero delle donne dello scorso 14 giugno, così come le azioni interpartitiche promosse dalla Commissione federale per le questioni femminili (Cfqf) in vista di queste elezioni, e la campagna Helvetia chiama, lanciata dall’associazione mantello femminile “alliance f” e dal movimento “Operation Libero”, che ha svolto un lavoro di fondo nelle sezioni dei partiti per incitarli non solo ad aumentare le candidature femminili sulle loro liste, ma anche a valorizzarle in modo da rendere più concrete le possibilità di elezione.


E infatti le elezioni di quest’anno non sono state da record solamente per il numero di candidati in generale (uomini e donne), ma, con un incremento di 565 unità rispetto al 2015, la quota femminile sulle liste ha superato per la prima volta la soglia del 40 per cento (40,3 per cento). A livello dei Cantoni, ovunque il numero di candidate è rimasto inferiore a quello dei candidati, anche se Zugo è arrivato vicino alla parità con 37 donne e 38 uomini (49,3 per cento di donne). Negli altri cantoni la quota femminile sulle liste oscillava tra il 45,9 di Basilea città e il 24,1 per cento di Sciaffusa (in Ticino la percentuale era del 36,2 per cento, con 54 candidate e 95 candidati). A livello dei partiti, la sinistra e i verdi sono quelli che avevano quote maggiori di donne sulle proprie liste, mentre più si va a destra meno donne si trovano, con l’Udc che ha la percentuale più bassa: 22,1 per cento. Se è vero che non basta essere candidate per venir poi elette, la forte presenza o meno di donne sulle liste dei vari partiti è comunque indice dell’importanza che questi accordano alla parità di genere al loro interno.


Non sono nemmeno 50 anni che le donne hanno il diritto di essere elette a livello federale (1971) e se è vero che la loro presenza in Consiglio nazionale è costantemente cresciuta, lo ha fatto molto lentamente, passando dal 5 per cento nel 1971 al 17,5 per cento vent’anni dopo e assestandosi attorno al 30 per cento per quasi dieci anni, tra le elezioni del 2007 e quelle del 2015. Agli Stati invece la presenza femminile è sempre stata più altalenante, con addirittura una diminuzione nelle ultime due legislature (2011 e 2015). Considerando le sei uscenti che non si sono ricandidate quest’anno, su sette donne elette alla Camera dei Cantoni la scorsa legislatura, il rischio di un crollo della presenza femminile era reale, ma con cinque conferme e la presenza di diverse candidate che andranno al ballottaggio, verosimilmente la situazione non sarà peggio del 2015.


Non si è in ogni caso mai assistito ad un balzo del 10 per cento al Nazionale, come successo domenica scorsa, ma cosa cambierà in concreto con questo nuovo rapporto di forza tra uomini e donne? Lo abbiamo chiesto a Yvonne Schärli, presidente della Cfqf, ancora felicemente sorpresa del risultato scaturito dalle urne. Secondo lei sicuramente qualcosa cambierà perché, al di là dell’appartenenza partitica di ogni eletta, le donne hanno delle peculiarità diverse rispetto agli uomini: «Hanno un modo diverso di socializzare rispetto agli uomini, portano con sé altre esperienze di carriera professionale e sono generalmente focalizzate su priorità differenti, indipendentemente dal partito al quale appartengono. Questo, come Cfqf, crediamo lo si vedrà nella prossima legislatura» spiega Schärli. Pensiamo ad esempio al lavoro di cura, che in qualche modo tocca da vicino tutte le donne, che sia a livello professionale, familiare o nelle associazioni di volontariato. «Per molte donne, anche se non per tutte, la questione della conciliabilità tra lavoro e famiglia è importante. Questi aspetti della politica sociale penso saranno discussi in modo più intenso ora che ci sono più donne», prosegue Schärli, secondo cui una maggiore presenza femminile potrà aiutare a far avanzare i dossier su questi temi.


Le donne sono donne, ma sono pur sempre legate ai loro partiti, o no? «Naturalmente queste donne hanno appartenenze politiche diverse e i partiti daranno loro delle direttive su come posizionarsi rispetto alle varie tematiche, ma credo che le discussioni saranno più aperte su alcuni temi. Inoltre è provato che i team misti funzionano meglio, e questo lo si vede anche nelle commissioni: si arriva prima a una soluzione perché ci sono meno blocchi grazie alla tendenza delle donne a cercare il compromesso. In regola generale poi, si è visto che le donne che arrivano a Berna si dimostrano più indipendenti dai dettami del partito rispetto ai loro colleghi uomini», conclude.

Pubblicato il

24.10.2019 14:53
Veronica Galster
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