L'editoriale

Mentre nel paese cresce l’insofferenza verso le ingiustizie sociali, nel Palazzo continua a regnare l’indifferenza, quasi il disprezzo di fronte alle rivendicazioni della popolazione. Succede così che alle oltre 20.000 persone scese in piazza sabato per reclamare la realizzazione della parità salariale tra uomini e donne e la fine di ogni discriminazione, il parlamento risponde con una presa in giro, con una provocazione.

Questa è la “leggina” sulla parità dei sessi partorita dal Consiglio nazionale poche ore dopo l’imponente manifestazione (come se ne vedono poche in Svizzera). Una “leggina” che di fatto continua a demandare al mercato e alla buona volontà dei padroni la realizzazione di un principio che è rimasto sulla carta per 37 anni. Né controlli né sanzioni, ma solo qualche timida misura che dovrebbe favorire un «cambiamento di mentalità» nel paese, ha stabilito la maggioranza di destra, spingendosi addirittura a prevedere una durata limitata a 12 anni delle nuove disposizioni. E già questo la dice lunga sulla reale volontà politica predominante: come si fa del resto a cancellare delle norme ancor prima di applicarle e verificarne l’efficacia?


Se si va poi a guardare nel dettaglio, si trova conferma che questa revisione legislativa (sulla quale il Consiglio degli Stati in dicembre potrebbe ancora correggere il tiro) non ha più ormai nemmeno un valore simbolico. Ridicolo e aberrante è per esempio il fatto che l’obbligo di far svolgere ogni quattro anni un’analisi sull’uguaglianza dei salari riguardi solo le imprese con almeno 100 lavoratori a tempo pieno, cioè l’1 per cento del totale! Sarebbero dunque moltissime le aziende che occupano soprattutto manodopera femminile (e perlopiù a tempo parziale) a sfuggire al controllo.


In questo modo una legge già in origine timida e minimalista è stata svuotata di ogni contenuto, risultando lontanissima dalle aspettative delle donne che continuano a soffrire di uno scarto salariale del 20 per cento e a essere derubate di 300.000 franchi nel corso della loro vita professionale. Delle donne ma anche degli uomini, di ogni età, origine e professione, come ha dimostrato l’ampia partecipazione alla manifestazione di sabato scorso a Berna. Una manifestazione che prepara il terreno all’ormai inevitabile nuovo sciopero delle donne il 14 giugno 2019 (dopo quello storico del 1991), ma che è anche spia di come la misura sia ormai colma: “Ne abbiamo abbastanza!”. Di questa e di tutte le altre forme di discriminazione sociale e di attacco ai diritti delle lavoratrici, dei lavoratori e dei pensionati che si continuano a consumare dentro e fuori il palazzo. L’acuirsi delle diseguaglianze e l’incremento della povertà sono fenomeni che richiederebbero risposte diverse rispetto alla deregolamentazione, allo smantellamento delle prestazioni sociali, all’indebolimento delle tutele dei salariati e alla concessione di regali fiscali alle imprese. Anche questo hanno detto le donne e gli uomini in piazza il 22 settembre!

Pubblicato il 

27.09.18
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