Svizzera

All’età di 8 anni, Marcel Jann si trasferisce con la sua famiglia a Niederurnen (Glarona) andando a vivere in una casa situata nelle immediate vicinanze dello stabilimento della Eternit, la fabbrica della morte e “cuore” della multinazionale del cemento-amianto, dove suo padre lavora come contabile. La società Eternit Ag è anche proprietaria dell’abitazione affittata dagli Jann. Involontariamente e inconsapevolmente, Marcel subisce per anni l’esposizione alle polveri disperse anche nell’ambiente circostante da questo tipo di attività industriale: la finestra della sua cameretta, che soprattutto durante la bella stagione rimane quasi sempre aperta, dà direttamente sulla fabbrica; e poi, come tutti i bambini del luogo, gli capita spesso di giocare con pezzi di lastre di Eternit, di scorrazzare attraverso i tubi in cemento-amianto (e sporchi di polvere) accatastati all’esterno dello stabilimento, oppure di andare alla stazione ad assistere allo scaricamento dei sacchi di amianto. Tutto questo avviene tra il 1961 e il 1972, quando l’uomo ormai 19enne si trasferisce. Di mestiere farà l’insegnante e non entrerà mai più in contatto con l’amianto. Ma nell’autunno del 2004 gli verrà diagnosticato un mesotelioma pleurico, il tipico cancro provocato dalle fibre di asbesto. Segue un calvario di due anni, fatto di chemioterapie, interventi chirurgici e tanto dolore fisico e psicologico. Morirà il 30 ottobre 2006 a soli 53 anni, lasciando moglie e un figlio. E senza aver ricevuto alcun risarcimento e alcuna prestazione dalla Suva perché non è vittima di una malattia professionale, avendo contratto il mesotelioma “solo” per aver vissuto vicino a quella fabbrica maledetta. Marcel Jann è un esposto ambientale.


Nel 2009 i suoi eredi inizieranno dunque una lunga battaglia giudiziaria per ottenere un indennizzo che in qualche modo ripari il torto subito, chiamando alle loro responsabilità Eternit (Schweiz) Ag (successore in diritto della società dell’allora Eternit Ag), i due ex proprietari, Thomas e Stephan Schmidheiny e le Ffs. Una battaglia giunta fino al Tribunale federale, la massima istanza giudiziaria elvetica, che lo scorso 6 novembre ha sentenziato: il caso è prescritto. Detto altrimenti: l’azione legale è stata presentata troppo tardi.


I giudici di Mon Repos hanno così confermato un’interpretazione restrittiva e non aderente alla realtà (e per questo già motivo di una condanna contro la Svizzera da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo nel 2014) della cosiddetta “prescrizione”, quell’istituto del diritto che fissa il periodo di tempo a disposizione di un cittadino per far valere una determinata pretesa davanti ad un’autorità giudiziaria. I 10 anni previsti dalla legge, ribadisce la sentenza del Tf, si calcolano a partire dal momento in cui si consuma l’evento, che nel caso concreto coincide con l’ultima esposizione alle polveri di amianto. E siccome questa è avvenuta nel 1972, al momento della presentazione della causa d’indennizzo nel 2009 il termine di prescrizione era ampiamente superato. La vittima avrebbe in pratica dovuto far valere le sue pretese al più tardi nel 1982, cioè 22 anni prima di ammalarsi di mesotelioma (patologia con tempi di latenza di regola molto lunghi) e di sapere di avere subìto un danno. È un’affermazione assurda, ma questo vogliono dire de facto le parole scritte nella sentenza: «Non è sproporzionato considerare prescritta una pretesa che viene fatta valere soltanto circa 37 anni dopo l’ultimo possibile danneggiamento», affermano i giudici di Losanna.

 

La sentenza ignorata
Il caso di Marcel Jann fa venire in mente quello di Hans Moor, morto di mesotelioma nel 2004 dopo essere stato per anni esposto alle polveri di amianto come montatore di turbine presso Asea Brown Boveri (Abb, in seguito finita sotto il controllo della francese Alstom). Amianto utilizzato all’epoca come isolante dal calore e che a Moor toccava grattare via durante i lavori di installazione e manutenzione. Anche nel suo caso tutte le istanze giudiziarie elvetiche avevano rigettato le azioni legali della sua famiglia tese a ottenere un risarcimento e una riparazione del torto morale subìto. Sempre appellandosi alla scadenza del termine di prescrizione, che a giudizio dei giudici elvetici sarebbe intervenuta dieci anni dopo aver subito l’ultima esposizione continuativa e dunque molto prima che lui scoprisse la malattia. Ma questa interpretazione, perlomeno bizzarra agli occhi di qualunque persona di buon senso, è costata alla Svizzera una condanna della Corte europea dei diritti dell’uomo, contenuta nella citata sentenza del 2014, in cui si ravvisa una violazione del diritto di ogni cittadino di avanzare delle pretese di carattere civile davanti ad un tribunale, un principio sancito dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo ratificata dalla Svizzera nel 1974. «Quando è scientificamente provato – scrive la Corte europea – che una persona è impossibilitata a sapere se soffre di una certa malattia, questa circostanza deve essere presa in considerazione nel calcolo dei termini di prescrizione». Nella stessa sentenza i giudici di Strasburgo si spinsero anche a bocciare il progetto di revisione della legge che all’epoca prevedeva di allungare la prescrizione da 10 a 30 anni: «Non è una soluzione equa», si affermava. Ma il Parlamento elvetico se ne è infischiato e ha approvato una riforma (in vigore dal 1° gennaio 2020) ancora più modesta, che prevede un termine di prescrizione relativo di 3 anni e uno assoluto di 20. In parole povere questo significa che una pretesa di risarcimento o di riparazione del torto morale in caso di morte o di lesioni gravi di una persona deve essere fatta valere entro 3 anni dal giorno in cui la vittima ha preso conoscenza del danno e del responsabile, ma in ogni caso entro 20 anni dall’atto o dal comportamento che ha prodotto il danno. Una soluzione sicuramente problematica per le malattie dell’amianto, in particolare per il mesotelioma che secondo la letteratura medica può manifestarsi anche quarant’anni dopo l’esposizione alle polveri. Il Parlamento ha rifiutato ogni soluzione specifica per questa categoria di vittime e negato l’effetto retroattivo della riforma, che si applicherà dunque solo ai nuovi casi e non a quelli passati. Per questi la Svizzera ritiene di avere trovato una parziale soluzione con l’istituzione (su base privata e volontaria) di un Fondo d’indennizzo delle vittime dell’amianto, che prevede prestazioni per coloro che si sono ammalati a partire dal 2006 e che rinunciano a ogni azione giudiziaria contro i responsabili.


La sentenza dei giudici di Strasburgo, che, al di là delle decisioni politiche adottate nel frattempo, sarebbe vincolante per i tribunali elvetici, viene citata in vari passaggi della sentenza Jann, ma il Tribunale federale insiste con la sua interpretazione: «Non si può dedurre che il diritto di accedere a un tribunale» per avanzare pretese di carattere civile «fondamentalmente escluda termini di prescrizione assoluti secondo il diritto materiale elvetico», scrivono i giudici. Insomma, il fatto che una persona dovrebbe far valere delle pretese d’indennizzo per un danno ancor prima di sapere di averlo subìto non costituisce una violazione del diritto internazionale.


Non la pensa così l’avvocato Martin Hablützel (nella foto), legale della famiglia Jann: «È una sentenza incomprensibile e scandalosa, contro cui inoltreremo un nuovo ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo per violazione del diritto ad un processo equo. Confermando che la prescrizione inizia a decorrere dal momento in cui si consuma l’evento dannoso, il Tribunale federale viola infatti la chiarissima sentenza dei giudici di Strasburgo del 2014». Sia con questa decisione, sia con quella sul caso dell’ex ferroviere (vedi articolo sotto) «il Tribunale federale dà un brutto spettacolo», commenta con amarezza Hablützel, persuaso peraltro che questo produrrà una nuova condanna della Svizzera da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo.


Il nuovo diritto sulla prescrizione che entrerà in vigore il 1° gennaio prossimo potrà avere conseguenze per le vittime dell’amianto?
Il mesotelioma ha di regola un tempo di latenza di più di 20 anni e dunque si può ritenere che il nuovo diritto praticamente non servirà purtroppo a nulla alle vittime dell’amianto per fare valere i loro diritti.

 

 

Il caso di un ex ferroviere BLS sarà riesaminato

Oltre che del caso Jann, il Tribunale federale si è occupato anche della vicenda di un ex ferroviere morto d’amianto, dando parzialmente ragione alla sua famiglia che dal 2010 cerca giustizia. Pure qui al centro di tutto vi è la questione della prescrizione, che dovrà essere riesaminata. L’uomo, classe 1936, aveva lavorato presso la compagnia ferroviaria Bern-Lötschberg-Sempione (BLS) tra il 1961 e il 1998, subendo l’esposizione alla polvere di amianto (molto utilizzato nei treni) durante la sua attività professionale. Morì di mesotelioma pleurico nel 2004, proprio nell’anno in cui la BLS dichiarava che non avrebbe invocato la prescrizione in caso di richieste d’indennizzo da parte di parenti di vittime dell’amianto. I suoi familiari nel 2010 avviarono una causa di risarcimento e riparazione del torto morale contro BLS, accusandola di aver omesso di adottare adeguate misure di protezione della salute dei dipendenti esposti alle polveri. Ricevendo però torto: il tribunale d’appello del Canton Berna aveva infatti stabilito che l’esposizione più intensa all’amianto era cessata nel 1985 e dunque la prescrizione era già intervenuta quando nel 2004 l’azienda decise di non farla più valere. Una tesi respinta dal Tribunale federale nella sentenza del 6 novembre con cui ha accolto parzialmente il ricorso della famiglia, rappresentata dall’avvocato Martin Hablützel. I giudici ritengono infatti che, nella misura in cui BLS non avesse adottato le necessarie misure di protezione secondo le conoscenze dell’epoca già prima del 1998, l’esposizione si sarebbe protratta per tutta la durata del rapporto d’impiego, cioè fino al 31 gennaio 1998. Il termine di prescrizione di 10 anni sarebbe dunque iniziato a decorrere solo da questa data e dunque nel 2004 non si sarebbe ancora esaurito. Di qui la decisione di rinviare il caso al tribunale d’appello bernese affinché riesamini la questione della prescrizione assoluta.
Una vittoria parziale per la vittima? L’avvocato Martin Hablützel fatica a definirla tale: «È assurdo che il tribunale d’appello riesamini solo la questione della prescrizione, con il rischio che tutto il processo debba ricominciare da capo dall’istanza inferiore», afferma.

Pubblicato il 

04.12.19

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