La ragione del manager

Nel 1997 o giù di lì ho svolto uno dei miei ultimi corsi di ripetizione: mi sono talmente rotto le balle che in tre settimane ho ripreso quei miseri 10 chili che avevo perso in tre mesi di allenamenti serali. Ed anche di più (la mia dannazione è stata la sera che hanno preparato i saucissons vaudois – probabilmente sette chili li ho messi su lì). Nel tempio dell’illogicità, un giorno in camerata parte uno di quei discorsi che puoi fare solo se frequenti il liceo o stai facendo un corso di ripetizione: si parlava di sacro e di profano. Nel gruppo c’era un ginevrino rassomigliante in tutto e per tutto al druido Panoramix che sembrava saltar fuori da un libro del periodo illuminista: da una parte era tutto un esaltare con foga la ragione e la razionalità, e dall’altra un denigrare senza ritegno la fede ed il religioso. Povero caro Panoramix, eri solo uno studente che doveva ancora confrontarsi con il mondo del lavoro. Qualche giorno fa ho pensato a te. Mi sono chiesto se anche tu hai letto l’approfondimento pubblicato su Le Monde del 5 marzo. Raccontava la storia di un imprenditore francese che ha scoperto un modo di lottare contro la mondializzazione, le delocalizzazioni e salvaguardare i posti di lavoro dei suoi vent’otto dipendenti. Non ci vuole poi molto… bastava pensarci… cioè voglio dire, è logico… basta peggiorare la qualità dei propri prodotti. Ed i clienti li comprano. La sua storia, raccontata in breve, è quella di un imprenditore la cui azienda produce lampadari e che ne ha piene le scatole di vedersi sistematicamente rifiutate le offerte perché troppo care. I suoi concorrenti hanno impiantato le loro attività nei paesi dell’est ed in Asia, dove le condizioni di lavoro sono peggiori che in Europa e consentono ai produttori di vendere a prezzi più bassi mantenendo alto il loro tasso di profitto. Preso atto di questa situazione, confrontato con la partecipazione ad un nuovo concorso di una certa importanza, il nostro imprenditore riunisce i suoi progettisti e li ricatta: “o semplificate i prodotti e mi fate risparmiare il 30 per cento pur rispettando le condizioni d’appalto, o io me ne vado in Cina”. I progettisti si mettono all’opera e modificano parte del materiale utilizzato, tolgono un pezzo di qua (tanto peggio per l’estetica) ed eliminano un meccanismo di là (con buona pace della praticità). Risultato: una lampada che costa meno ed una gara d’appalto vinta. Ora resta solo da spiegare al cliente che se prima dei ritocchi un solo elettricista poteva montare e regolare la lampada autonomamente, adesso ci vorranno due operai per fare lo stesso lavoro. Con buona pace della ragione, della razionalità e dei suoi tenori. Ai progettisti ed a tutti i dipendenti resta sì la soddisfazione di aver contribuito alla buona riuscita dell’affare, ma anche la consapevolezza di aver rinnegato una loro creazione di cui andavano giustamente fieri: un’offesa alla loro identità ed alla loro professionalità, che rischia di trasformarsi in una vera e propria presa per i fondelli dato che il loro datore di lavoro dichiara già adesso di aver solo ritardato la sua partenza per la Cina. Sai Panoramix, non l’ho mica capita ancora tanto bene la tua fede nella ragione. Chissà se intanto hai cominciato a lavorare. Cazzo, non è che per caso ora fai il manager?

Pubblicato il

18.03.2005 13:00
Mauro Marconi
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