La responsabilità dello sport

Le Ong hanno vita sempre più difficile in Russia, ed è solo l’inizio. L’anno scorso i miei colleghi di Amnesty International a Mosca hanno assistito alla perquisizione dei loro uffici, il direttore è stato convocato per un interrogatorio e numerosi attivisti sono stati sentiti dalle autorità semplicemente per aver firmato una lettera di denuncia. Dal ritorno alla presidenza di Vladimir Putin sono entrate in vigore leggi che limitano la libertà d’azione delle Ong, obbligate a registrarsi come “agenti stranieri” (termine che definisce anche i traditori o le spie) se ricevono fondi dall’estero o sono attive politicamente. Le perquisizioni, gli interrogatori e le molestie burocratiche sono ordinaria amministrazione.


E possiamo scommettere che, una volta caduto il sipario sui Giochi olimpici di Sochi, la repressione non farà che aumentare. Le autorità russe saranno libere di mettere a tacere le voci critiche senza che nessuno le ostacoli. L’apparato legislativo c’è. E le recenti condanne e successive amnistie delle Pussy Riot, dei militanti di Greenpeace e dell’uomo d’affari Michail Chodorkovskij dimostrano come la giustizia non sia indipendente dal potere politico.


Grossi eventi sportivi come questi – spesso accompagnati da investimenti internazionali e dalla creazione di posti di lavoro – potrebbero essere un’opportunità per la popolazione locale. In realtà sono la causa di sgomberi forzati e distruzione di case per far spazio alle infrastrutture sportive, di sfruttamento di operai sui cantieri e di limitazioni della libertà di espressione. Il Cio, sebbene se ne lavi le mani, è corresponsabile.


Le organizzazioni sportive hanno un grande potere: non possono accontentarsi di sbandierare valori come l’armonia tra le nazioni, il fair-play, la solidarietà e non intervenire affinché i paesi ospitanti rispettino i diritti fondamentali. Al momento dell’attribuzione dei Giochi olimpici o dei Mondiali di calcio potrebbero esigere che gli Stati adattino la propria legislazione sul lavoro. I paesi ospitanti dovrebbero inoltre garantire a tutti – anche a chi critica tali eventi – la libertà d’espressione, e impegnarsi a rispettare il principio della non discriminazione, ad esempio verso gli atleti omosessuali.


È indispensabile che le organizzazioni sportive dimostrino con i fatti di avere un interesse reale – e non solo di facciata – affinché lo sport contribuisca a diffondere valori di armonia tra le nazioni e di solidarietà.

Pubblicato il

05.02.2014 23:02
Sarah Rusconi
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