L'editoriale

La riforma dell’Avs (denominata AVS 21) in votazione il prossimo 25 settembre e, in particolare, il previsto innalzamento dell’età pensionabile delle donne da 64 a 65 anni, non è “solo” un furto da 10 miliardi a danno delle donne e un insulto alla dignità di lavoratrici che già patiscono enormi discriminazioni retributive sia durante sia dopo la vita attiva, con salari inferiori mediamente del 19 per cento rispetto agli uomini e pensioni più “magre” del 37 per cento. AVS 21 è una minaccia per l’intera società, in particolare per le classi meno agiate, una riforma profondamente anti-sociale, fuori dal corso della storia e non aderente alle condizioni reali del mondo del lavoro.

La principale argomentazione che ci viene presentata nel tentativo di farci digerire l’amara pillola è sempre la medesima già utilizzata in tutti i precedenti tentativi di realizzare questa parità al ribasso (nel 2004 come nel 2017): garantire il finanziamento dell’Avs ed evitarne il fallimento per effetto dell’aumento del numero di pensionati. Un’argomentazione sempre rigorosamente sorretta da previsioni catastrofistiche, che mai si sono rivelate realistiche.

 

Un solo esempio: nel 2011 l’Ufficio federale delle assicurazioni sociali prevedeva un deficit del conto di ripartizione di 1,5 miliardi nel 2020, ma questo ha registrato un beneficio di 576 milioni; il patrimonio dell’Avs (quasi 50 miliardi nel 2021, mai così elevato) veniva invece sottostimato di oltre 15 miliardi. Siamo insomma lontanissimi dalla “catastrofe”. L’Avs è sana e non mancano fonti di finanziamento alternative (si pensi agli utili della Banca nazionale) non mancano.


Il vero obiettivo di AVS 21 è quello di rompere un argine e di dare il via a riforme ancora più brutali (e già in cantiere) che prevedono di portare l’età pensionabile per tutti a 67 anni e oltre. Per esempio adattandola all’evoluzione della speranza di vita, come chiede l’iniziativa dei giovani Plr su cui saremo chiamati a votare. Un’impostazione classista, favorevole ai ricchi che potranno continuare a scegliere quando andare in pensione e contraria agli interessi umani e materiali delle salariate e dei salariati che questa scelta non se la potranno mai permettere. E se si tiene conto del fatto che le persone che fanno mestieri logoranti, con bassi redditi e con poca formazione generalmente vivono meno a lungo e sono più spesso malate, è chiaro che un aumento generalizzato dell’età pensionabile accorcerebbe ulteriormente la meritata quiescenza a coloro che hanno avuto la vita lavorativa più dura.


Ogni tentativo di allungare la vita lavorativa “per legge” è poi in totale contraddizione con un mercato del lavoro che sempre più tende a espellere i lavoratori cosiddetti “anziani”, perché malaticci o troppo costosi. Basta guardarsi attorno per rendersi conto quanto sia difficile per una persona 60enne (o anche solo 55enne e persino 50enne) rientrare nel mondo del lavoro dopo un periodo di disoccupazione o di inattività. AVS 21 andrebbe inevitabilmente anche ad ingrossare questo esercito di lavoratrici e lavoratori “fuori mercato”, condannati all’inoccupazione e all’aiuto sociale.


Non va infine dimenticato che la riforma in votazione, oltre a tagliare le già misere rendite delle donne di 1.200 franchi all’anno, prevede anche un aumento di 0,4 punti percentuali dell’Iva, la più antisociale delle imposte, che va a pesare soprattutto sui redditi più bassi. Per questi un’adozione di AVS 21 comporterebbe un’ulteriore riduzione del potere d’acquisto, già fortemente sotto pressione per i rincari in atto e quelli che ci attendono nei prossimi mesi (si pensi solo agli aumenti dei premi di cassa malati che potrebbero superare il 10 per cento stando alle previsioni).


AVS 21, oltre a essere, per sua natura, la risposta più sbagliata possibile ai reali bisogni dei pensionati, arriva insomma anche nel momento meno indicato per chiedere nuovi sacrifici alle salariate e ai salariati.

Pubblicato il 

01.09.22
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