La solidarietà come bisogno

Si possono, si devono avere tutte le riserve di questo mondo sugli slanci di generosità visti in queste settimane a seguito del maremoto che il 26 dicembre in Asia ha devastato spiagge e villaggi seminando morte e distruzione. È giusto ad esempio interrogarsi sul modello di sviluppo che ha contribuito all’enormità della catastrofe (quando mai in passato si costruivano villaggi e città in riva al mare?). Né va dimenticato che tipo di turismo, spesso del tutto irrispettoso della natura e delle popolazioni locali, molti praticano su quelle spiagge da sogno (per noi occidentali), fino ad arrivare al puro e semplice turismo sessuale. È necessario poi chiedersi perché questa tragedia sia così visibile al punto da scatenare una solidarietà planetaria senza precedenti, mentre altre catastrofi anche peggiori rimangono nell’ombra dei media e delle nostre coscienze (l’elenco può cominciare dalla malnutrizione, dalla scarsità d’acqua, dall’aids, dalle guerre; ognuno faccia il suo, non è difficile): la risposta, tanto banale quanto vera, sta nel numero di vittime occidentali e nella conoscenza che molti di noi hanno di quei luoghi. E ci si deve anche interrogare su quanto disinteressati siano certi aiuti, specialmente se di fonte governativa, con gli economisti che già pronosticano per i prossimi anni un’esplosione del Pil nei paesi più colpiti dal maremoto: come dopo una guerra si occupa il terreno per il business della ricostruzione. Tutte queste e altre domande sono giuste e sorgono da dubbi legittimi. Ma non devono oscurare gli slanci di vera, genuina compartecipazione (anzi: compassione) e solidarietà che in queste settimane milioni di persone semplici, anonime, hanno dimostrato. Come le migliaia di braccia che nel pieno della tragedia hanno salvato degli sconosciuti a rischio della loro stessa vita. O come le popolazioni locali, generose nell’aiutare i turisti frastornati, e le migliaia di volontari che contribuiscono con il loro lavoro ad alleviare il dolore. E infine ci sono tutti quelli che, lontani migliaia di chilometri, hanno ritenuto giusto, anzi doveroso contribuire finanziariamente ad aiutare le vittime del maremoto. Quasi che una tragedia così grande avesse bisogno di una partecipazione collettiva per essere sopportata. Si è così assistito ad una solidarietà certamente ingenua e in gran parte pilotata ma, in chi l’ha praticata, sincera e sentita. Un modo per essere compartecipi di un comune destino umano: un modo per sentirsi umani. Tanto da poter dire che la solidarietà dimostrata risponde ad un profondo bisogno individuale e collettivo, ed è per questo insita nella natura umana. E che è sbagliato ridurre il nostro essere sociale soltanto all’homo homini lupus come si fa da Thomas Hobbes in poi. Perché non è soltanto nella somma di interessi individuali che si realizza il bene del singolo e della collettività: come esseri umani fa parte della nostra natura essere solidali, costruire relazioni, condividere. Se la politica lo ignora, come spesso accade oggi, va contro natura, esattamente come fa quando soffoca il bisogno di libertà individuale.

Pubblicato il

14.01.2005 00:30
Gianfranco Helbling
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