La stampa fa fatica, urge un sostegno

I giornali, soprattutto quelli piccoli, soffrono e la Confederazione propone nuovi indispensabili aiuti sui quali voteremo il prossimo 13 febbraio

Contro il pacchetto di aiuto ai media varato dal Parlamento lo scorso giugno è stato lanciato un referendum da un comitato di destra. In un con - testo di crisi generale della stampa, aggravata dalla situazione pandemica, la votazione del prossimo 13 febbraio sarà decisiva per la sopravvivenza dei giornali più piccoli e attivi a livello regionale, oltre che per la stampa associativa di cui fa parte anche area. La battaglia è già molto accesa, anche perché i referendisti hanno ricevuto il sostegno di associazioni economiche del calibro di Economiesuisse. Facciamo il punto della situazione e cerchiamo di capire come è composto oggi il paesaggio giornalistico in Svizzera.

 

Chiusure, fusioni, licenziamenti, calo delle entrate pubblicitarie, pressioni, crisi di credibilità: è questo, oggi, il desolante paesaggio mediatico della Svizzera. Una situazione insostenibile che ha spinto il Consiglio federale e il Parlamento a preparare un pacchetto d’aiuti da oltre 150 milioni di franchi annui. Aiuti che si aggiungono a quelli già attualmente in vigore e il cui obiettivo è quello di sostenere un settore che la crisi pande - mica ha messo ancor più in ginocchio. Una situazione, quella legata al Covid-19, che di controcanto ha però mostrato l’imprescindibilità della stampa e il suo ruolo di servizio pubblico in un contesto in cui, grazie ai social network e alle logiche degli algoritmi, controverità e propaganda s’insinuano come un virus nel sistema circolato- rio dell’informazione. Prima di vedere nel dettaglio in che cosa consistono questi aiuti, cerchiamo di capire come si è arrivati a questa situazione di crisi.

 

Meno pubblicità e meno impieghi

 

Il primo aspetto di cui tenere conto è il drastico calo delle entrate pubblicitarie. Ossia di quella benzina che – non senza conflitti d’interesse – alimenta il motore del giornalismo svizzero. In realtà, la pubblicità non è diminuita: ha semplicemente cambiato vettore. Invece che andare verso i giornali, il denaro degli annunci s’incanala sempre più verso le multinazionali tecnologiche, Google e Facebook su tutti. In Svizzera, il mercato pubblicitario cede circa un miliardo e 400 milioni di franchi all’anno ai giganti di Internet, secondo quanto riportato dallo studio sulla qualità dei media pubblicato annualmente dall’Università di Zurigo. Altri dati ci dicono che dai 3 miliardi di franchi del 2000, gli introiti pubblicitari della stampa sono scesi a un miliardo. Una riduzione di due terzi, che ha portato a tagli, chiusure, concentrazioni e pressioni crescenti sul lavoro delle redazioni. Secondo una panoramica del blog Medienspiegel, in Svizzera, tra il 2008 e il 2018, sono stati smantellati oltre 2.100 posti di lavoro nel settore mediatico (Ssr inclusa). Negli ultimi trent’anni, in tutta la Svizzera, hanno inoltre chiuso una settantina di giornali. Tutto questo è avvenuto anche perché i principali gruppi mediatici hanno preferito in questi anni distribuire i dividendi generati dai siti di commercio online anziché sostenere le proprie redazioni.

 

In questo contesto drammatico, va segnalata un’altra tendenza preoccupante. Secondo il rapporto sulle prospettive dei media della Commissione federale dei media, il 27% del pubblico svizzero non utilizza più le notizie attraverso un preciso marchio mediatico. I giovani in particolare ottengono informazioni in modo frammentato dai social network, dai motori di ricerca o da servizi di messaggistica. Il problema è che il contenuto di quanto si trova in rete non viene fornito agli utenti secondo criteri di rilevanza giornalistica. A dettare legge è il sempre più presente algoritmo messo a punto dai gestori delle piattaforme. Un algoritmo, si legge nel rapporto, che è «programmato secondo un interesse commerciale, in modo da proporre contenuti che mantengano gli utenti sulla piattaforma il più a lungo possibile». Ecco così che su questi vettori sempre più diffusi, le notizie competono e si mischiano con messaggi pubblicitari, influencer di ogni risma, campagne politiche, propaganda, disinformazione e teorie del complotto. Le conseguenze possono essere devastanti. Lo si è vi- sto negli Stati Uniti di Trump o nel Brasile di Bolsonaro. Ma lo si è potuto misurare anche in Svizzera in questo periodo pandemi- co, in particolare durante l’accesa campagna sulla legge Covid.


Interviene la politica

 

Il pericolo è che questa situazione non possa che peggiorare. I giornali regionali che per ora hanno resistito potrebbero soccombere di fronte a pochi gruppi sempre più forti e orientati soprattutto al profitto. Il Consiglio federale, seguito dal Parlamento, ha così deciso di agire attraverso un nuovo pacchetto di aiuti che si sovrappone a quanto già stanziato finora. «Questo pacchetto di sostegno assicura che la popolazione in tutte le regioni del Paese continui ad essere informata» ha spiegato Simonetta Sommaruga durante il lancio della campagna in vista del voto. Oggi sono proprio le testate regionali ad essere maggiormente sotto pressione da un punto di vista finanziario. Sono loro, quindi, i principali interessati dal pacchetto di aiuti. Un pacchetto ritenuto indispensabile anche dai sindacati: «La crisi del coronavirus ha messo in evidenza la missione centrale di servizio pubblico dei media, specialmente dei media locali e regionali. La Svizzera con la sua democrazia diretta deve poter contare su una stampa diversificata, indipendente e forte e sui media online» spiega Stephanie Vonarburg responsabile del settore media di syndicom.

 

I nuovi aiuti stanziati ammontano a circa 151 milioni di franchi. Non si tratta di un unico piano, ma di diverse misure concrete. Il pilastro principale è costituito dal sostegno indiretto alla stampa, tramite la riduzione sui prezzi di distribuzione per i quotidiani e settimanali in abbonamento nonché per la stampa associativa e delle fondazioni. Già oggi la Confederazione rende più economica la distribuzione a domicilio, assumendosi una parte dei costi. Questo con- tributo oggi fissato a 30 milioni verrà aumentato di altri 20 milioni. A questo vanno aggiunti 10 milioni in più rispetto ai 20 già destinati alla stampa associativa oltre che a 40 milioni per la riduzione sulla distribuzione mattutina accordata a quotidiani, settimanali e domenicali in abbonamento.

 

La principale novità del pacchetto sono i 30 milioni stanziati per sostenere i media online. Saranno sostenuti solo i media online co-finanziati dai propri lettori e non le offerte gratuite. Questo importo sarà distribuito in base al fatturato degli abbonamenti online, e secondo una chiave decrescente: i titoli più piccoli dovrebbero ricevere proporzionalmente di più di quelli più grandi. Infine, il pacchetto prevede anche un massimo di 23 milioni per promuovere delle misure a favore di tutti (sostegno all’Ats, al Consiglio della Stampa e alla formazione). Si tratta sicuramente di un pacchetto equilibrato, come sempre frutto di un compromesso, che sostiene in particolare i media regionali e più piccoli, ma che porterà aiuti anche ai grandi gruppi. Ad opporsi a questi aiuti vi è la destra, in particolare l’Udc, che punta proprio sul fatto che gruppi come Tx e Ringier saranno anch’essi finanziati. Le vere intenzioni, però, sono altre: quelle che i milionari di destra possano influenzare l’opinione pubblica, sulla falsariga di quanto successo in Italia con Silvio Berlusconi o di quanto sta avvenendo in Francia con il candidato dell’ultradestra Eric Zemmour, sdoganato dall’impero mediatico di Vincent Bolloré.

 

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Tra potentati e predoni


Il mercato mediatico svizzero è sempre più concentrato e dominato da pochi grandi gruppi e vede protagonisti anche editori della destra conservatrice

 

Un recente articolo del settimanale Woz ha paragonato il paesaggio giornalistico svizzero a un regno medioevale: poche nobili famiglie controllano buona parte di un territorio dove, qua e là, resistono alcuni feudi più piccoli e qualche castello indipendente o ribelle. I due regni principali sono quelli di Tx Group (ex Tamedia) e di Ringier. Il primo, controllato dagli eredi della famiglia Coninx (di cui fa parte per discendenza materna il Ceo Pietro Supino), detiene Tages Anzeiger, Basler Zeitung, Bund, 20Minuten e si è espanso nelle terre romande dove possiede Tribune de Genève, 24Heures e Le Matin Dimanche. Il secondo, in mano all’omonima famiglia Ringier, controlla il Blick e riviste quali Schweizer Illustrierte, Bilanz, l’Illustré o Beobachter.

 

Entrambi i gruppi raggiungono un fatturato annuo di un miliardo di franchi. Tuttavia, l’editoria sta diventando una fonte di reddito sempre meno importante: Tx e Ringier generano ormai una parte considerevole del loro fatturato tramite siti di commercio online (Ricardo, tutti.ch, Jobup.ch, Car For You e altri per Tx; Scout24, anibis.ch e altri ancora per Ringier). Settori che rendono e generano dividendi, ma che non contribuiscono a finanziare i giornali colpiti dal calo delle pubblicità e degli abbonamenti. È così che, seguendo la logica del profitto, le redazioni vengono chiuse (L’Hebdo, Le Matin) o raggruppate (Bund e Berner Zeitung, 24Heures e Tribune de Genève). Ad aspirare alla nobiltà vi è poi il gruppo Ch Media (joint-venture tra l’Argauer Zeitung di Peter Wanner e Nzz Group) che detiene diversi giornali regionali nella Svizzera tedesca, oltre che alcune emittenti radiofoniche e televisive. In Romandia, il gruppo Esh Médias controlla tre titoli regionali (La Nouvelliste, Arcinfo e La Côte).

 

In questo contesto feudale resiste qualche giornale locale (Südostschweiz a Coira, La Liberté a Friborgo), qualche titolo storico (Le Temps, venduto da Ringier alla fondazione Aventinus), alcune isole “ribelli” (Le Courrier, Woz), qualche nuovo esperimento (Republik, Bajur, Gotham City, Bonpourlatête) e una rete di stampa associativa di cui fanno parte i giornali di Unia (Work, L’evénement syndical e area).

 

In Ticino, i signorotti locali sono rappresentati dal Gruppo Corriere del Ticino, il quale ha dapprima acquistato e poi chiuso il Caffè (sostituito da La Domenica); mentre resiste laRegione.

 

Nelle lande elvetiche si aggirano però anche pericolosi predoni: personaggi di destra che cercano di accaparrarsi prestigiose testate per farne il proprio organo di propaganda. È successo con la Weltwoche, venduta dal finanziere ticinese Tito Tettamanti a Roger Köppel, uno dei grandi tribuni dell’Udc zurighese che oggi siede in Consiglio nazionale. Va poi aggiunto che la famiglia dell’uomo simbolo dell’Udc, Christoph Blocher, controlla la Swissregio Media di Baar (Zugo): una società che detiene 25 piccoli fogli regionali nella Svizzera tedesca, dal Toggenburger Zeitung alla Kreuzlinger Nachrichten.

Pubblicato il

14.12.2021 09:12
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