La vita dopo lo tsunami

Un anno dopo lo tsunami, S. Sril vive sempre in una baracca provvisoria con sua moglie e due figli. Tre altre figlie sono sposate. Questo commerciante di pesci di 57 anni abitava sulla riva dell’oceano, dove l’immensa onda ha spazzato via tutti i suoi beni in pochi minuti il 26 dicembre 2004. Per la sua futura casa, gli hanno detto che potrà scegliere tra diversi modelli, ma per ora non ne ha visto nemmeno uno. Sa semplicemente che farà 46 metri quadrati, cioè quattro volte l’attuale baracca. E che nulla potrà cominciare prima della fine delle piogge, in gennaio o febbraio. «La popolazione comincia a spazientirsi», riconosce Karin Voigt, coordinatrice del Sos per lo Sri Lanka. (1) «Non vede ancora niente uscire dalla terra, come se non succedesse nulla». Nel vicino villaggio di Chempianpattu, Karin può appena far visitare un vasto terreno picchettato per delimitare delle parcelle: questo nuovo villaggio accoglierà gli sfollati che vivevano prima ai bordi della spiaggia. È situato a più di 300 metri dal mare. Così ha deciso il governo. Allora per far capire alle vittime dello tsunami la complessità delle procedure da seguire, un tabellone è stato affisso nella sala comune di ogni campo provvisorio. Vi si trova la lista di tutte le tappe precedenti la costruzione, dalla scelta del luogo al tracciato delle strade, passando dalle liste di beneficiari o l’acquisto del materiale. L’inizio della costruzione delle case arriva solamente in... 29 esima posizione! Per ogni tappa è indicata l’organizzazione responsabile. Per la prima volta, la rete Solidar di cui fa parte Sos (vedi box sotto) funziona qui sotto il proprio nome. Ciò le permette non solo di apparire come partner unico, ma anche di mettere in comune forze complementari in modo efficace. Con 1’125 case previste in tre villaggi, Solidar è di gran lunga il più grosso partner in materia di costruzione nel nord del paese. Calma precaria Questa regione di Kilinochi è stata fortemente colpita dallo tsunami, dopo aver sofferto anni di guerra tra il governo centrale di Colombo e il movimento di liberazione delle Tigri tamil (Ltte). Un po’ ovunque, case crivellate da proiettili e zone minate ricordano la violenza dei combattimenti. Dal cessate-il-fuoco entrato in vigore a inizio 2002, la regione vive una calma precaria. Un vero e proprio posto doganale delimita tuttavia il territorio sul quale regna l’Ltte. Quest’ultimo ha anche instaurato un fuso orario di mezz’ora con Colombo, allineato alla vicina India... «Il governo è l’autorità ufficiale, ma noi dobbiamo sempre informare parallelamente le Tigri. E non sappiamo sempre chi ha l’ultima parola, ciò che complica il nostro lavoro», spiega Karin Voigt. «Inoltre, perdiamo molto tempo a causa di questo passaggio alla dogana». L’Ltte, che gestisce la vita quotidiana, dispone di un organismo proprio di sostegno alla popolazione senza il quale non si può fare nulla. Solidar evidentemente non finanzia alcun progetto di quest’organismo, ma intrattiene buone relazioni con tutte le parti. L’aiuto portato da Solidar alle vittime dello tsunami si è articolato in tre fasi. L’emergenza a partire da gennaio, con la ricerca dei corpi, l’accoglienza in strutture provvisorie (scuole, tendopoli), le cure alle popolazioni, la distribuzione di cibo e acqua, ecc. Durante questi due, tre mesi, i lavori di riabilitazione hanno potuto cominciare: costruzione di abitazioni semi-permanenti, di latrine, di strade d’accesso, di scuole; insomma, tutto ciò che permette il ritorno a una vita più o meno decente. Solidar si è concentrata sui mezzi di sussistenza, la costruzione di tre campi di transito e l’elettrificazione di 17 di questi. Questa fase durera ancora qualche mese, mentre la terza tappa, consacrata alla ricostruzione in senso lato, può cominciare. Si estenderà su tre anni almeno. Solidar ricostruirà 1'125 case in sei villaggi, ma le prime fondamenta non potranno essere gettate prima che il suoli sia sminato (dalla squadra norvegese di Solidar), che i titoli di proprietà siano istituiti, o che i beneficiari scelgano un modello, dopo aver consultato un astrologo. E che le piogge cessino. Bisogno di sicurezza Sulla costa, le tracce delle case rase al suolo danno un’idea della violenza delle onde che si sono abbattute sulla terra ferma. E della paura che può provare la popolazione di fronte al mare. Per far cessare voci e superstizioni, il Sos ha creato un’animazione su ordinatore che spiega chiaramente cos’è successo quel funesto 26 dicembre. Presentata nei campi e nelle scuole, riscuote successo tanto che le Nazioni Unite hanno chiesto di poterla utilizzare nei loro programmi. «Non vogliamo più abitare ai bordi della spiaggia», racconta N. Emmanuel, membro di uno dei “forum di villaggio” creati dopo lo tsunami per assicurare la partecipazione della popolazione. «Le nuove case saranno più piccole delle vecchie, ma almeno saremo in sicurezza». Tra il 50 e l’80 per cento dei pescatori avrebbero ripreso la loro occupazione, lentamente però: alcuni hanno ricevuto una barca, altri un motore. Si mettono assieme, alla condizione di avere delle reti. Il prezzo del pesce è già triplicato e alimenta l’inflazione che provocano, inevitabilmente, i programmi di aiuto. Aspettando di tornare alla pesca, alcuni cercano lavoro come giornalieri. Altri, come Alisthan Sutha, 29 anni, hanno approfittato di una formazione in giardinaggio lanciata dal Sos. Piccolo programma per ora, ma con un forte valore simbolico: i beneficiari seguiranno infatti dei corsi all’estremo sud dell’isola, presso il “nemico”. «È la prima volta che frequentavo dei Cingalesi, e all’inizio avevo paura», racconta Alisthan. «In realtà sono stato accolto molto bene, non volevo più tornare!». Se non potrà tornare a pescare, tenterà di fare del suo orto una fonte di reddito. Ma soprattutto – è l’altro scopo del programma – può testimoniare ciò che ha vissuto. Alle onde distruttrici dello tsunami sono succedute le onde dell’aiuto internazionale, che hanno portato una distorsione classica: le vittime, che non rappresentano che il 5 per cento della popolazione, beneficiano di un sostegno massiccio, mentre i problemi principali del paese si chiamano povertà e guerra. Per scrupolo di trasparenza, i donatori esigono che i soldi raccolti per le vittime dello tsunami siano destinati ad essi. Le associazioni umanitarie tentano, quando possono, di estendere un po’ questo campo di intervento per non creare nuove fratture du cui il paese non ha proprio bisogno. 1) Il Sos è presente nello Sri Lanka dal gennaio 2005, dove lavora sotto l’emblema della rete Solidar, soprattutto nel nord controllato dalle Tigri tamil. Lo tsunami ha colpito un milione di persone in questo paese, circa 38 mila sono morte, 500 mila sono state costrette a sfollare e 80 mila abitazioni sono state distrutte o danneggiate. Dopo le fasi d’urgenza e di stabilizzazione, la ricostruzione in senso lato potrà cominciare. La prima volta di Solidar Solidar (www.solidar.org) è una rete di 29 organizzazioni non governative fondata nel 1951 per incoraggiare la cooperazione internazionale legata ai movimenti dei lavoratori. Conta affiliati in 16 paesi europei. All’epoca dello tsunami, due dei suoi membri avevano dei programmi nello Sri Lanka, la tedesca Asb (Arbeiter-Samariter-Bund Deutschland e.V.) e la norvegese Npa (Norwegian People’s Aid). Dal gennaio 2005 hanno immediatamente formato un “consorzio” con il Sos che ha ripreso il nome di Solidar. Si tratta di un’esperienza pilota per la rete. Questo consorzio gestisce i fondi dei donatori, coordina le sue attività con altri partner e sviluppa una vasta gamma di progetti che toccano, oltre alla costruzione, la salute, le fonti di reddito e il rafforzamento delle comunità. L’équipe del Sos conta 16 persone, integrate alle 137 che Solidar occupa nel nord. La rete sostiene altri progetti, più piccoli, in una dozzina di luoghi diversi nel paese. Il Sos fa parte di un altro “consorzio”, quello delle organizzazioni di aiuto svizzere incaricate di utilizzare i fondi della Catena della solidarietà.

Pubblicato il

23.12.2005 03:30
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