Lavoro da morire

«Quanto accaduto non va classificato come infortunio o incidente o negligenza, semmai è da ricondurre al “modus operandi” della ditta per la quale il nostro amico e padre di famiglia lavorava. Ritmi massacranti, col bello e il cattivo tempo, dettati dalla necessità imprenditoriale di concludere il prima possibile il lavoro per comprimere al massimo i costi. Per denaro. Senza la cura e l’attenzione per i dipendenti». Sono le parole riportate dal giornale laRegione di uno stretto parente di Mile Bojic, operaio 44enne la cui vita è stata stroncata mercoledì 9 novembre in un cantiere a Bellinzona sotto il peso di una scala interna in cemento crollata improvvisamente dal quinto piano al sottoscala. Lascia un vuoto incolmabile nella moglie e i due figli di 16 e 9 anni.

 

«Dopo il funerale ci rivolgeremo al Ministero pubblico con una denuncia circostanziata per chiedere giustizia. Solo giustizia. Per noi quanto è successo è omicidio» ha aggiunto il parente. Oltre trecento persone hanno partecipato domenica al corteo funebre che si è fermato davanti al cantiere della disgrazia per un momento commemorativo.

In attesa di giustizia
Giustizia per i morti sul lavoro. È quanto si aspettano i parenti e amici degli ultimi due decessi mortali registrati nell’edilizia ticinese. A distanza di 22 mesi dal primo e a tredici mesi dal secondo, stanno ancora aspettando la conclusione dell’inchiesta. A inizio dello scorso anno, un operaio di 54 anni muore sotterrato dai detriti scaricati dai colleghi nel vano dell’ascensore dei piani superiori dell’ex Hotel du Lac a Paradiso in ristrutturazione.
Quasi un anno fa invece, il 12 ottobre 2021, aveva perso la vita un operaio quarantenne schiacciato sotto lo scavatore che stava guidando in una ditta di inerti e riciclo di asfalto di Osogna. Erano le 8 di sera ed era buio.


Interpellato da area, il Ministero pubblico fa sapere che l’inchiesta condotta dalla procuratrice Marisa Alfier sul caso del decesso a Osogna di tredici mesi fa è ancora aperta e al momento ci sarebbe un imputato. Invece l’inchiesta coordinata dal procuratore Moreno Cappella sull’incidente letale di Paradiso risalente a 22 mesi fa «è alle battute finali in attesa di chiarimenti di alcune questioni di natura giuridica». Gli imputati sono tre. Dai media era trapelato che si tratterebbe del collega, il capocantiere e il tecnico d’impresa. Si vedrà quanto tempo dovranno attendere i parenti di Bojic affinché possano ottenere la giustizia invocata nell’inchiesta affidata alla procuratrice Alfier.


Purtroppo nella stragrande maggioranza dei casi d’incidenti sul lavoro, raccontano fonti sindacali con lunga esperienza, la colpa ricade sull’operaio deceduto per una sua negligenza o inosservanza delle norme di sicurezza, sui colleghi per i medesimi motivi o sul capocantiere, legalmente responsabile della sicurezza del cantiere. Nella scala gerarchica, al massimo si arriva al tecnico di cantiere. Non viene (quasi) mai indagata la fretta o la compressione dei costi, il cui vantaggio economico è dell’impresa o del committente.

 

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Eppure, nei tre ultimi decessi citati, pur lasciando la magistratura fare il suo dovere, qualche domanda sul ruolo dei ritmi di lavoro o del tipo di materiale impiegato ce la si può porre. Nella morte del vano ascensore a Paradiso i sindacalisti si chiedono perché due squadre di operai stessero lavorando contemporaneamente, con una squadra sopra a buttar materiale mentre l’altra era sotto a raccoglierlo. Nel secondo incidente letale, invece, ci si chiede cosa ci facesse nel buio della notte l’operaio ancora alla guida di un escavatore.


Nell’ultimo caso, è emblematica la testimonianza del parente rilasciata al giornale. «Confidandosi con me, Mile parlava di ritmi di lavoro da campo di concentramento, mancava solo la frusta usata con gli schiavi».

Una ditta conosciuta da Unia
Toccherà alla magistratura chiarire la dinamica che ha portato al decesso dell’operaio, ma la ditta di casseratura di Roveredo (Grigioni) in cui lavorava il signor Bojic è ben conosciuta dal sindacato Unia per i ritmi folli con cui prendono in ostaggio tutto il cantiere.


L’ultimo intervento sindacale risale al 30 settembre, documentato in un video (clicca qui), proprio sul cantiere bellinzonese dove è successa la tragedia. Nel breve filmato si vedono gli operai dell’impresa di Roveredo lavorare mentre diluvia sotto lo sguardo del responsabile dell’azienda. «Il capocantiere aveva spostato i muratori a dei lavori alternativi al coperto, mentre il responsabile dell’impresa di casseratura si era rifiutato di sospendere i lavori, continuando sotto l’acqua. Solo l’intervento del tecnico dell’impresa lo ha convinto a sospendere infine i lavori» racconta Paolo Casellini, sindacalista di Unia autore del filmato. I sindacalisti sospettano che in quell’azienda si lavori a cottimo, pratica legalmente vietata, ma l’omertà e la paura impedirebbero loro di dimostrarlo.

 

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Una ditta riconducibile ai medesimi proprietari dell’attuale azienda di Roveredo era stata sanzionata tempo fa dalla Commissione paritetica per 80mila franchi di multe, accumulate nell’arco di un anno di segnalazioni da parte di Unia per aver esposto inutilmente la salute degli operai facendoli lavorare sotto le intemperie. Non è servito. Gran parte delle più importanti imprese del cantone continuano ad affidare i lavori di casseratura alla ditta, semplicemente per risparmio. Costa poco e lavora in fretta, senza fermarsi nemmeno sotto l’acqua o la neve.


Ritmi e intemperie sono al centro del conflitto tra maestranze e padronato per il rinnovo del contratto nazionale. La Società svizzera impresari costruttori (Ssic) vorrebbe flessibilizzare ancor di più gli orari di lavoro (fino a 58 ore) per rispettare i tempi di consegna. Una flessibilità rifiutata dagli edili con manifestazioni e astensioni dal lavoro da settimane in tutto il Paese. Concentrare le ore di lavoro annuali in pochi periodi come auspicato dal padronato, potrebbe avere conseguenze importanti sulla salute e sicurezza degli operai, andando a gravare una situazione già allarmante.


Stando alle ultime statistiche della Suva, nella costruzione, genio civile e lavori speciali dove sono attive circa 210mila persone, nel periodo 2015-2019 (pg. 26) la media annuale dei decessi è stata di 22 persone per incidenti sul lavoro e di 47 morti per malattie professionali. Un morto ogni due settimane dovuto a incidenti nell’edilizia dovrebbe far suonare più di un campanello d’allarme.


Tra le cinque rivendicazioni operaie per il nuovo contratto nazionale, si chiedono regole chiare per proibire il lavoro in caso d’intemperie. In Ticino, una grande impresa nazionale aveva ricorso contro una multa da cento franchi per aver lavorato sotto l’acqua. L’istanza giudiziaria le aveva dato ragione e oggi per poter sanzionare un’azienda per lavoro sotto la pioggia non basta la semplice segnalazione come quella del video citato in precedenza. Nei fatti, dopo la sentenza favorevole all’impresa, il numero di multe comminate dalla Commissione paritetica ticinese è notevolmente calato. La problematica delle intemperie è particolarmente sentita dagli operai Oltralpe, dove raramente viene rispettata la sospensione dei lavori dato che non viene quasi mai sanzionata.


Pubblicato il

17.11.2022 09:45
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