Le altre voci di Olivone

«Non faccio niente qui: mangio, dormo e guardo la televisione. Esco solo ogni tanto per fare la spesa. Fuori dal centro non ho amici. Come potrei averne? La gente qui dice che gli asilanti sono tutti dei ladri». Emina Heljo ha 17 anni. Lo scorso autunno ha lasciato la cittadina di Zivinicel, in Bosnia, con la mamma e la sorella maggiore. Da poco più di otto mesi è ospite del centro di accoglienza per richiedenti l’asilo della Croce rossa svizzera a Olivone, nell’alta valle di Blenio. Con un italiano stentato, nello squallido salottino del centro riassume come può la durezza della situazione che le tocca vivere: richiedente l’asilo, giovane ospite di un villaggio in fondo a una valle di un paese sconosciuto e vittima di un’ostilità che lei e le altre 28 persone ora ospitate nel centro non hanno fatto nulla per alimentare. Prigionieri di quattro mura, il volto invisibile e la voce senza sbocchi di Emina sono soffocati da una cappa di tensione che in queste settimane ha avvolto il tranquillo paese dell’alta valle di Blenio a seguito di alcuni furti e di una rissa che hanno visto coinvolti tre richiedenti l’asilo – nel frattempo allontanati – ospiti del locale centro di accoglienza. I fatti hanno suscitato una dura reazione di condanna da parte di esercenti, commercianti, municipio e una parte della popolazione. Spinta da una preoccupazione condivisa da tutti e trascinata in una spirale di sfiducia e rabbia alimentata soprattutto dal Gruppo commercianti Olivone, la maggioranza del municipio (il sindaco Ps Marino Marini si è dissociato) ha così inoltrato poco più di due settimane fa al Consiglio di Stato una formale richiesta di chiusura del centro della Croce rossa. La lettera spedita a Bellinzona segna il culmine di un processo di radicalizzazione del quale stanno facendo le spese – oltre a tutti gli ospiti del centro, senza distinzioni – anche chi non condivide l’idea di chiudere l’ex Ristorante Alpino adibito undici anni fa all’accoglienza dei candidati all’asilo politico. Riscattare queste voci dal silenzio nel quale le confina l’opinione dominante – quella che fa notizia – diventa allora necessario e doveroso. Dialogo chiuso... Lo spazio di dialogo fra esercenti, commercianti e municipio da un lato e Croce rossa dall’altro, si è chiuso per il momento a seguito di una scazzottatura fra tre richiedenti l’asilo, un avventore e il vicesindaco (erano presenti anche tre municipali) avvenuta nella serata di domenica 6 aprile al bar Rex. Per i proprietari di ristoranti, alberghi e negozi di Olivone si è trattato della goccia che ha fatto traboccare un vaso già pieno dopo alcuni furtarelli avvenuti nelle settimane precedenti e attribuiti ad alcuni ospiti del centro di accoglienza. Esasperati, in una riunione fra le parti e i rappresentanti del Cantone convocata a metà aprile dal Municipio i commercianti hanno chiesto la chiusura dell’ex Ristorante Alpino forti dell’esito di una raccolta di firme fra i giovani del Comune al di sotto dei 35 anni (fra chi ha sottoscritto la richiesta di chiusura vi sono pure una quarantina di allievi della scuola media di Acquarossa sollecitati da un ex allievo che un venerdì aveva avuto accesso alle aule dicendo di avere l’autorizzazione, in realtà non ottenuta, del direttore...). «Ci sono dei soggetti che fanno sì che a pagare siano tutti. Se la Croce rossa non mantiene la promessa di mandare qui persone in ordine bisogna arrivare alla chiusura», dice il gestore del bar Rex Massimo Malquarti che difende con vigore i colleghi dalla velata accusa di xenofobia lanciata di recente a mezzo stampa da Marino Truaisch, granconsigliere socialista di Olivone che si «chiama fuori» dal coro e che stigmatizza quella che a suo avviso sarebbe «una soluzione di stampo “etteriano”» (Corriere del Ticino, 25 aprile 2003). ...problemi aperti In paese nessuno – nemmeno chi rifiuta l’ipotesi della chiusura – nega la fondatezza delle preoccupazioni di esercenti e commercianti suscitata dal comportamento di alcuni richiedenti l’asilo che hanno soggiornato in paese. Molti ritengono però troppo semplicistico tramutare un profondo disagio (legato ad atteggiamenti pur sempre poco frequenti e limitati ad un’esigua minoranza di richiedenti l’asilo) in una richiesta di chiusura del centro di accoglienza. Seppellire il dialogo ora è eludere la discussione sulle questioni di fondo: altre vie vanno percorse. «Dobbiamo chiedere solo ciò che legalmente possiamo chiedere. Non possiamo chiedere la luna», dice Brenno Bolla, presidente del Partito liberale radicale di Olivone. «È impossibile non vedere ciò che sta succedendo, ma chiudere il centro non risolve il problema. Si è creato un ambiente di paura e una polarizzazione tale che ogni tentativo di discussione viene eliminato. Bisogna risolvere i problemi che abbiamo, non crearne altri», afferma da parte sua la gerente dell’Osteria Centrale Emma Emck, l’unica esponente della categoria ad aver preso le distanze dal Gruppo commercianti Olivone. A lei non sono piaciuti l’accenno a una giustizia per conto proprio contenuto nella presa di posizione di esercenti e commercianti del 20 marzo e il crescente «populismo» di cui fanno sfoggio. Tanto più che di problemi con i richiedenti l’asilo nella sua osteria non se ne sono quasi mai verificati. «Io sono qui da tanti anni e non è mai successo nulla – le fa eco la cameriera Nadia Ferrari –. Prendono un caffè, comprano le sigarette, bevono e parlano come fanno tutti». Altri proprietari di ritrovi pubblici di Olivone non sono stati altrettanto fortunati in passato, e questo lo riconosce pure il sindaco Marino Marini che però ha scelto una linea diversa da quella seguita dai suoi sei colleghi di Municipio. Marini non ha sottoscritto la lettera che l’Esecutivo del comune alto-bleniese ha spedito il 22 aprile al Consiglio di Stato chiedendo che il centro di accoglienza per candidati all’asilo fosse trasferito in un altro luogo del Cantone con migliori strutture di servizio e di controllo: «È chiaro che non si può continuare così – dice il sindaco di Olivone – e che dei correttivi vanno messi, se necessario anche con prese di posizione energiche (per esempio non accogliendo persone con un profilo dubbioso). Noi però non possiamo chiamarci fuori. Cosa facciamo? Mandiamo i richiedenti l’asilo ad Aquila o in un altro comune? Sarebbe giusto? E poi non si può alzare un muro di fronte a persone che nei loro paesi ne hanno viste di tutti i colori». Non drammatizzare Adagiato in un’ampia conca ai piedi del maestoso Sosto, Olivone è un tranquillo paese di 830 abitanti che vivono essenzialmente di agricoltura e dei servizi connessi al turismo, sia invernale sia estivo. «È un paese dove si nota persino se gira una mosca con un’ala più lunga dell’altra», scherza Marino Marini. Il risalto acquisito a Olivone e sui quotidiani ticinesi dai furti e dalla scazzottatura che hanno visto protagonisti nelle ultime settimane quattro ospiti del centro di accoglienza, va letto – e quindi relativizzato – proprio alla luce dell’estrema sensibilità del contesto: l’impatto della presenza di richiedenti l’asilo è molto più accentuato nell’alta valle di Blenio che in un centro più grande dove vige un maggior anonimato. In fin dei conti, quello di Olivone è uno dei centri di accoglienza meno problematici di tutto il Cantone. Il comune alto-bleniese – a differenza di altri – è sì confrontato a problemi di ordine e sicurezza, ma non ha mai conosciuto per esempio la realtà del traffico di stupefacenti. «I fatti delle ultime settimane sono avvenuti dopo mesi e mesi di tranquillità, e questo è confermato anche dalla polizia. Il problema esiste, ma non bisogna drammatizzare», afferma il responsabile del centro di accoglienza Armando Maffioli. Inoltre, e non da ultimo, va pur detto che anche alcuni abitanti a volte ci mettono del loro. «Tutti bevono, non solo i richiedenti l’asilo: le provocazioni provengono a volte anche da alcuni olivonesi», spiega un avventore di un ritrovo pubblico. «C’è gente che attende solo il momento che i richiedenti l’asilo facciano qualcosa. In genere gli abitanti di Olivone non sono docili», dice l’esponente locale di un partito borghese. “Voglio andarmene” Seduto nella poltrona del suo ufficio, Armando Maffioli dice di provare empatia per gli esercenti e i commercianti di Olivone. Per dimostrarlo si rifà a un caso avvenuto nell’estate del 2002: sorpreso a rubare nel negozio Sarci sport, un richiedente l’asilo di nazionalità armena (nel frattempo rimpatriato) venne rinchiuso per un paio d’ore in una cabina telefonica. Prelevato la sera dalla polizia, la mattina seguente si aggirava già nei dintorni del negozio che aveva tentato di alleggerire... «Qui di problemi – soprattutto il consumo di bevande alcoliche – ce ne sono. Sono però legati a singole persone che davanti a me si comportano bene. Chi ha commesso furti in paese all’interno del centro si comportava bene», spiega Maffioli. Il responsabile del centro della Croce rossa chiede ai commercianti una maggior collaborazione («se non mi avvisano di ciò che sanno non posso fare nulla») invitando però alla prudenza: «Se non si hanno le prove bisogna andarci con i piedi di piombo – dice Maffioli. Un esempio: la scorsa settimana per un furto di un’auto la Polizia si è presentata subito qui da noi, ma poi si è scoperto che gli autori erano due tedeschi. Come crede che si siano sentiti gli ospiti?». I richiedenti l’asilo ospitati a Olivone passano in media dai 6 ai 12 mesi nel centro di accoglienza della Croce rossa. Come dice Emina, «mangiano, dormono e bevono» in attesa di una risposta che per una stragrande maggioranza di loro sarà negativa. «In tutti questi anni solo 4 o 5 persone passate di qui hanno ricevuto l’asilo, altre sono state ammesse a titolo provvisorio», dice Armando Maffioli. Un passato doloroso alle spalle, un futuro incerto davanti, con 91 franchi alla settimana in tasca, senza poter lavorare sperando di ottenere una remunerazione degna, i richiedenti l’asilo in soggiorno forzato a Olivone non sono contenti di essere dove sono, isolati in un piccolo paese in fondo a una valle. «Voglio andarmene. Non importa dove, ma via da Olivone», dice Emina. La giovane ragazza bosniaca e gli altri ospiti del centro di accoglienza hanno forse bisogno di sentirsi pure cacciati?

Pubblicato il

09.05.2003 03:00
Stefano Guerra
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