Teorie del complotto, fake news e razzismo sembrano essere di gran moda, oggi, nel 2022. Già, le bufale, mica una novità di Internet, ma un sistema di comunicazione creato un secolo fa da Mussolini...

 

Francesco Filippi, lei è uno storico della memoria, e per Bollati Boringhieri ha pubblicato “Mussolini ha fatto anche cose buone. Le idiozie che continuano a circolare sul fascismo”: non ci starà suggerendo che il mondo della comunicazione, dominato dai social, è intrecciato con un filo al periodo fascista?

Perché siamo ancora qui ad analizzare il modo di stare sulla scena di quel personaggio che è stato Benito Mussolini? Non uso le parole a caso. Quella mussoliniana è la costruzione di un personaggio attoriale, che sopravanza e vince su altri tipi di comunicazione. Se noi oggi abbiamo ancora presente e chiaro il modo di presentarsi di Mussolini è perché non fu improvvisazione, ma una comunicazione mirata, frutto di un modo nuovo di analizzare il contesto mediatico, che, sì, gli sopravvive.

 

Il duce è una figura drammaticamente centrale del Novecento, che trascina milioni di persone in una guerra fallimentare, demolisce la struttura liberale dell’Italia di allora per sostituirla con una dittatura ventennale. Mussolini ne ha fatte di tutti i colori ed è finito a testa in giù. Così attore da mantenere una sorta di leadership post mortem?

Prima di andare al governo, di tuffarsi nell’agone politico fondando i fasci di combattimento nel 1919, Mussolini era già un uomo dalle tante vite, fra cui quella del giornalista, che sarà fondamentale per costruire la sua azione politica. Negli anni in cui da semplice redattore fa la scalata del quotidiano “Avanti”, diventandone il direttore, scopre che cosa piace alla gente e costruisce ad hoc la polemica per far leggere il giornale: è un opinion maker come lo chiameremmo oggi. Questa è la base della rivoluzione della comunicazione di Mussolini, che stabilisce un rapporto tra quello che si può dire a livello pubblico e quello che la gente vuole sentire a livello pubblico. E, se guardiamo, è la base dell’algoritmo di tutti i social media che oggi utilizziamo.

 

Mussolini come un algoritmo, che architetta una comunicazione diretta senza intermediari...

Mussolini crea un rapporto diretto e, apparentemente, senza filtri tra sé e il proprio uditorio. Una rivoluzione comunicativa che si realizza attraverso uno strumento, il microfono, sfruttando la tecnologia, e un’immagine, il balcone. Il microfono utilizzato nei discorsi pubblici appiattisce e distrugge le differenze tra chi parla e chi ascolta. Attenzione, è un appiattimento illusorio, è finzione: sembra un discorso, in realtà è un monologo. La voce del duce, che inizia i suoi discorsi con “Italiani!”, crea un’eco, dando l’impressione che stia parlando con ogni singolo individuo. Mussolini usa in maniera sapiente il microfono con i suoi derivati come la radio, mettendola a disposizione degli italiani in modo che tutti all’interno delle proprie abitazioni possano ascoltare il messaggio del regime. All’uso della tecnologia unisce il sistema teatrale. Mussolini fa dell’esibizione di sé, della propria fisicità, un veicolo di propaganda, utilizzando l’impianto scenico del balcone, che ha una forza teatrale molto forte. Dal balcone di Palazzo Venezia si affaccia alla sera, all’imbrunire, in maniera molto plastica, facendo proclami, quasi come un padre che parla ai figli. L’uomo sul balcone è diventato un’icona.

 

Un inganno, insomma...

Mussolini toglie i filtri, le sovrastrutture, insinuando una falsa idea di comunicazione diretta, facendo provare l’ebbrezza ai singoli di essere parte di un organismo più grande. La rappresentazione di qualcuno che sta in alto, con qualcuno che è costretto a guardarlo dal basso, è in realtà un’idea totalitaria, che genera disparità fra chi parla e chi ascolta. Microfono e balcone creano il personaggio iconico, mentre un intero apparato di propaganda, tecnicamente strutturato, alimenta costantemente il mito Mussolini. La costruzione di questo mito comunicativo è talmente pervasiva, che l’opinione pubblica non si accorge delle forzature del modello di propaganda, che travolgerà la stessa struttura dello stato, trasformandola in una dittatura.

 

D’accordo, un grande comunicatore, ma torniamo al presente... Perché si continua a parlarne?

Questo sistema di comunicazione non solo non è stato smontato dopo il 1945, ma è stato continuamente riutilizzato per la sua efficacia: le fake news di oggi parlano lo stesso linguaggio di cento anni fa. Il fascismo è stato raccontato come la storia di un padre saggio, che prende per mano il popolo per regalargli un futuro migliore. La base perfetta per una favola come quelle di Biancaneve, che abbandonata vive con sette uomini, o di Cenerentola, la quale si riscatta attraverso un principe: narrazioni discutibili, eppure continuiamo a raccontarle ai nostri nipoti. Le bonifiche di Mussolini, smentite dalla storiografia, sono storie: un fallimento economico e sociale, che continua a trarre in inganno parte dell’opinione pubblica, perché raccontato come una bella storia senza distinzione fra ciò che è vero, da ciò che non lo è. La storia di un padre, riconoscibile perché ha una divisa, che fa produrre nuova terra, la quale a sua volta sfama. È un racconto pubblicitario, magico, difficile da distruggere nell’immaginario.

 

Che cosa resta della struttura comunicativa di Mussolini?

Che cosa è un social? Un piccolo balcone che tutti possiamo avere attraverso cui comunicare cose in modo non certo, non strutturato, ma ampiamente filtrato. I social permettono di costruire la propria immagine: non la verità storica, se ne racconta un pezzo nella creazione di una nostra memoria confezionata per gli altri. La versione comunicativa di Twitter, Facebook, Instagram, TikTok è, paro paro, cambiate tecniche e tecnologie, il tipo di comunicazione che si stabilisce fra il singolo sul balcone con il microfono e il popolo sotto. E sapete dove abbiamo imparato a mettere in risalto gli aspetti positivi, a cancellare le cose negative, a bannare, a chiudere la porta della nostra visione a quelli che non vogliamo? Lo abbiamo imparato da Mussolini, l’uomo che ha creato
la propria verità e un modello di comunicazione esportato in tutto il mondo. Un modello copiato non solo dai regimi, ma soprattutto da chi fa marketing. I social fanno di noi degli esseri comunicativi e il modo con cui vengono gestiti deriva da un cluster di inizio ’900, per il quale il dire è più importante del fare…

 

 

Intanto, Donald Trump, l’ex presidente degli Stati Uniti, ha lanciato “Truth Social”, la sua piattaforma digitale: il microfono e il balcone per raccontare la propria verità. E già.

Pubblicato il 

24.02.22
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