Le parole per dirlo. «Ganga» per rielaborare il vissuto dell'aborto

In attesa che il 2 giugno si attui finalmente una svolta dicendo sì alla «Soluzione dei termini» e no all’iniziativa-trappola «Per madre e bambino», la Commissione consultiva per la condizione femminile a larga maggioranza ha deciso di sostenere il Sì alla «soluzione dei termini». L’interruzione di gravidanza è condizione che le donne vorrebbero evitare ma che in taluni frangenti si trovano a vivere: spesso nell’angoscia e nel silenzio per paura di un giudizio o, peggio, di una condanna. Noi dal canto nostro proponiamo la storia di un gruppo, «Ganga». Sono donne che, avendo in comune l’esperienza dell’aborto intendono aprire una breccia nel silenzio che spesso circonda questo evento. Far sì che le donne coinvolte possano condividere le loro paure, dubbi ed emozioni. «Per molte donne l’aborto resta come un evento mai superato, taciuto, negato, di cui è meglio cercare di dimenticarsi, non parlare. Noi vorremmo aprire uno spazio - non solo fisico - per permettere a chi ne ha bisogno, di parlarne liberamente, senza il timore di essere giudicate». A parlare è Monica Albergoni, una delle fondatrici di «Ganga». Non è facile introdurre un approccio al tema dell’aborto che esuli dalla concezione manichea del pro e contro. Fatta la premessa, chiara e inequivocabile, che nessuna donna affronta l’esperienza dell’aborto con leggerezza: esistono invece delle condizioni - psicologiche, materiali e fisiche - che in taluni casi la portano a prendere la decisione di interrompere una gravidanza. Ed è indegno di una società civile trattare alla stregua di un reato l’interruzione di gravidanza, una scelta che spetta innanzitutto alla donna unica responsabile di un evento che la coinvolge totalmente e non in quanto contenitore temporaneo. E fatta ancora la premessa che finalmente il prossimo 2 giugno si dia una svolta in materia di codice penale, dicendo «sì» alla «Soluzione dei termini» e «no» all’iniziativa-trappola «Per madre e bambino». Una votazione che offre comunque lo spunto per parlare di un argomento tabù: l’esperienza dell’aborto. Ci sono delle donne in Ticino, riunite sotto il nome di «Ganga», che, avendo in comune l’esperienza dell’aborto (sia volontario che spontaneo), credono nella necessità di aprire una breccia nel silenzio che circonda questo evento. Più che costituire un gruppo vero e proprio, queste donne esprimono l’esigenza di un luogo d’ascolto. Anche il gruppo parte comunque dal presupposto che nel nostro Paese la donna possa decidere se portare avanti o meno una gravidanza in tutta serenità e senza l’ombra di una possibile persecuzione penale. «Ci siamo rese conto – afferma Monica Albergoni di «Ganga» – che in Ticino manca uno spazio che permetta alle donne, coinvolte in qualche modo nell’esperienza dell’aborto, di poter esprimere i propri sentimenti, paure, emozioni a riguardo. La maggior parte, fra coloro che hanno dovuto affrontare l’evento, difficilmente si espone o lo ammette, e questo perché alla base c’è sempre il timore di essere giudicate o, in taluni casi, colpevolizzate per non aver saputo evitare una gravidanza indesiderata. Sia ben chiaro: il nostro gruppo non intende sostituirsi od opporsi ai centri di pianificazione familiare, i servizi medico-psicologici o di aiuto alla madre, semplicemente ci proponiamo come punto d’ascolto aperto a tutte quelle donne che si ritrovano nella difficile condizione di dover decidere se continuare o interrompere una gravidanza, che si sentono sole nell’affrontare il lutto e il vuoto creati dal un aborto volontario, spontaneo o terapeutico». Il richiamo esotico del nome «Ganga» non tragga in inganno: non ci sono vocazioni strategicamente new age nella scelta. «Ganga», spiegano nel volantino che presenta il gruppo, è la dea del fiume, donatrice dell’energia vitale e della forza creatrice. «Non è stato facile trovare un nome – spiega la nostra interlocutrice – che non incasellasse in una direzione piuttosto che in un’altra la nostra visione del tema. Ganga significa approccio aperto, possibilità di condivisione per acquisire o aumentare la consapevolezza per fare ciò che veramente si sente, lontano da giudizi e condanne». Nato qualche mese fa, il gruppo intende aprirsi alle donne che lo desiderano senza preclusioni di sorta. «È importante – interviene ancora Monica Albergoni – far capire anche che non vogliamo offrire un servizio di consulenza specialistica: per questo ci sono i servizi ad hoc. Il fatto che una di noi possa essere psicoterapeuta piuttosto che impiegata è un caso, siamo qui come donne che hanno semplicemente vissuto l’esperienza. Non possiamo, né ci compete, offrire un’assistenza psicologica, una cura ma possiamo dare ascolto, comprensione e condividere le nostre storie». Insomma, le donne di Ganga, intendono andare oltre una visione manichea del tema. E in questo trovano illuminanti le riflessioni di Eva Pattis espresse nel suo libro «Aborto - Perdita e rinnovamento». L’aborto, afferma l’autrice, non può essere considerato con l’ottica del divieto o del permesso, altrimenti «il suo significato non può che venirne ridotto». «Incondizionatamente permesso - scrive ancora Pattis – rischia di diventare un evento senza senso esistenziale; indiscriminatamente vietato, rischia di non essere altro che un atto criminale». Ma ciò che preoccupa anche le donne di Ganga è soprattutto la recrudescenza degli attacchi antiabortisti in vista della votazione popolare. «Dire che loro sono per la vita mentre chi abortisce non ne ha rispetto – dice Albergoni – è un argomento insidioso e disonesto. Eppure hanno presa anche su molte ragazze che, essendo cresciute nell’era della pillola, difficilmente si ritrovano a vivere ciò che molte donne delle generazioni passate hanno vissuto: il dramma di una gravidanza indesiderata. E così chi deve scegliere di interrompere una gravidanza viene subito identificata come potenziale assassina. D’altronde gli opuscoli di propaganda antiabortista si servono di ogni mezzo per ridurre la donna che abortisce alla stessa stregua». Così come non nascondono la propria perplessità di fronte alle discussioni pubbliche che riducono il problema ad una contrapposizione fra chi si schiera pro e chi contro l’aborto. Ed a questo proposito le donne di Ganga fanno proprie le parole di Eva Pattis che scrive: «Essere incinta senza averlo voluto è una situazione irragionevole, illogica, paradossale, la quale imprigiona come un destino tragico. Non c’è nessuna vera scelta, non si è pronte per nessuna delle soluzioni possibili. Questa situazione può essere descritta dall’idea greca di “ananke”, ovvero di destino necessario, meglio che da idee di provenienza morale o psicoterapeutica, che evocherebbero prevenzioni o rimedi per un male». Chi volesse contattare «Ganga» può telefonare ai seguenti numeri: 091/745.00.00 oppure 091/630.20.25

Pubblicato il

24.05.2002 02:30
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