Le strozzature della globalizzazione

L’aggressione russa all’Ucraina ha sconvolto l’ordine internazionale, mettendo fine al multilateralismo avviato dopo il 1989: sono riapparsi i blocchi, tra cui quelli allineati alle sanzioni contro la Russia decretate da Stati Uniti (Regno Unito, Unione europea, Australia, Canada, Giappone e Corea del Sud) e non allineati (fra questi Argentina, Brasile, Cina, India, Messico, Arabia Saudita, Sudafrica, Turchia). Un nuovo ordine mondiale sta nascendo, incentrato  sulla difesa di interessi di “parte”. E allora l’interrogativo: saprà combinare benessere economico per tutti gli esseri umani della Terra, coesione sociale e libertà politica per tutti i cittadini?  Ovvero risolvere 3 questioni cardine.


1. Legami tra crescita economica, felicità e soddisfazione della vita. La crescita del Pil non significa una vita migliore per tutti, soprattutto nei paesi ricchi, perché non tiene conto delle disuguaglianze, delle cose che contano davvero per le persone (relazioni sociali, salute o tempo libero). Ma anche dei limiti planetari con cui dobbiamo confrontarci. Lo dimostra l’“Happy Planet Index” (Hpi) che misura il benessere sostenibile, classificando i paesi in base all’efficienza con cui offrono vite longeve e felici ai propri abitanti, utilizzando le risorse disponibili. Gli Usa nel 2019 si piazzano al 18° rango dei 152 paesi recensiti in relazione al Pil pro capite, ma solo al 122° nell’Hpi a causa dell’elevata disuguaglianza, del crescente degrado ambientale, dell’eccessivo consumo di risorse (Svizzera rispettivamente: 16° per Pil e 4° Hpi).


2. “Esternalità” e giustizia delle risorse. Non va dimenticato che il progresso dei paesi sviluppati è stato costruito appropriandosi delle risorse altrui esternalizzando costi (umani e ambientali): dapprima attraverso il colonialismo, poi con l’applicazione forzata di relazioni commerciali asimmetriche con i Paesi del sud, diventati politicamente autonomi ma sempre relegati al ruolo di fornitori di materie prime e prodotti agricoli e ora anche di cervelli e/o lavoro sottopagato.


3. Limiti ecologici alla crescita e all’equità intergenerazionale. La crisi ambientale climatica viene da lontano. Dapprima negata, oggi ancora largamente sottovalutata a livello di azioni incisive. Non è la mancanza di dichiarazioni di impegno e/o patti a far difetto, quanto piuttosto l’assenza di una politica di sviluppo sostenibile: la fissa di vincolare le azioni al mantra della crescita, libero scambio e concorrenza d’un lato, e assenza di coerenza tra le politiche settoriali. Fattori questi che di fatto fanno omettere la realtà in particolare i limiti ecologici, fisici e biologici alla crescita. Tali limiti sono determinati dall’interazione di due fattori: uso delle risorse naturali e capacità dissipatrice del sistema terra di assorbire gli scarti prodotti dall’attività umana e relativi interventi sul mondo naturale. Da decenni l’equilibrio tra uso e capacità dissipatrice si è rotto, a causa delle attività umane: immissione di azoto e carbonio nell’ambiente, littering degli oceani, distruzione biodiversità e habitat eccetera.


Il sistema dominante centrato sulla crescita, concorrenza e libero scambio risulta insostenibile, non più agibile, in termini di prosperità e benessere individuale, giustizia globale ed equilibrio ecologico-ambientale. Molti cittadini esclusi dai benefici e dalle opportunità, disillusi e inascoltati dai partiti voltano le spalle alla politica. Oggidì l’assenteismo la fa sempre più da padrone: anche in paesi esemplari come la Svizzera, riducendo i sistemi politici a mera formalità.


Futuro? Una sola alternativa: dire addio al paradigma di sviluppo dominante. Le diverse scuole di pensiero e le forze politiche ne prendano finalmente atto!

Pubblicato il

15.09.2022 16:18
Ferruccio D'Ambrogio
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